Intervista al prof Antonio Mungo: scuola, libri, radici, identità… CULTURA

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Nell’ambito delle mie, ormai consuete, interviste con personaggi della cultura calabrese ho “incontrato” il prof Antonio Mungo, docente in pensione, assai stimato, autore di tanti libri.

Trovate intervista nel prosieguo: leggetela, leggetela con interesse e attenzione.

m.v.

Salve prof.

Iniziamo a parlare di lei, della sua infanzia, delle sue origini.

Parlare, per me, dell’infanzia è come rituffarmi in un passato, in cui, tutto è innocente ed è come se ogni negatività si dilegui per dare vita ad un mondo edenico che la realtà, invece, sconvolge e amareggia, deturpandone i contenuti. È bello ricordare i momenti in cui, da bambino, vivevo protetto nel mio nido e tra le mie cose, i miei libri, i miei giocattoli. Mi ero costruito un mondo tutto mio, dal quale mi era difficile staccare. Amavo la lettura, il disegno e poi, la mitologia che mi rendevano vivi gli uomini e gli dei antichi, con i quali spesso avevo un dialogo. Non vi sembri strano: questo è stato il mio mondo “bambino” a Lattarico, il paese che è stata la mia culla nella quale mi sentivo protetto. Forse ero troppo impegnativo per quell’epoca, ma non ero soltanto libri e mitologia. Il momento per il gioco c’era, soprattutto quello riservato ai viaggi nelle zone vicine al paese, al fiume che scorreva sotto casa, alla montagna che sovrastava il paese. Erano le mete preferite di noi ragazzini.

Di coetanei in realtà ne ho avuti pochi, compagni di scuola tanti, ma amici si contavano sulle punte delle dita. Tranquillità assoluta in una libertà, sempre vigilata dagli occhi di un padre che amava noi figli di amore severo. Bastava un cenno dell’occhio, per capirlo, per comprendere il messaggio che aveva voluto lanciare. Nel paese non c’era granché. Il televisore era un possesso per pochi. A noi piccoli bastava uno spiazzo per giocare e quello diventava il nostro mondo. Col passare degli anni venne la TV dei ragazzi, con i cartoni animati e questi, soprattutto, entravano prepotentemente nella vita di me, ragazzino, che amava i libri, leggere e sostanziare quelle interminabili giornate estive, durante le quali era permesso uscire solo ad un determinato orario. Non mi ha mai pesato, comunque, e ho saputo sempre sostanziare la giornata, alternando lettura e gioco.

Quali le prime letture, i primi approcci con la cultura…

Come dicevo, ho sempre amato la lettura e soprattutto, mia cura, è stata quella di proiettarmi nei protagonisti dei libri che leggevo. Il primo in assoluto che ricordo è stato “Pinocchio”, letto più per disperazione che per altro e vi spiego il perché. Il sabato precedente la festa che si teneva al palazzello di Lattarico, con i compagni eravamo stati in montagna a raccogliere more di rovo e more di gelso. Molto più tardi dell’ora di cena, mi sono presentato a casa come un combattente ferito in mille punti: effetto delle more di gelso che sembrava sangue colante. Risultato, domenica in punizione. Festa e fiera della Madonna del Carmine, un sogno. Quella domenica pomeriggio ho iniziato “Pinocchio” e non ho alzato gli occhi fino all’ultima pagina. Lo ricordo ancora questo momento e mentre leggevo le pagine del libro, sentivo i miei compagni ridere e scherzare osservando le bancarelle di tanti colori. È solo un aneddoto.

Ho iniziato, poi, alle medie, con i classici della letteratura russa.

Era una lettura pesante per l’età, ma mi ci sono avventurato con una tale tenacia che i “Fratelli Karamazov” di Dostoevskij o i romanzi di Tolstoj o di Čechov erano pane quotidiano per me. Leggevo e Lattarico si trasformava in Mosca o San Pietroburgo e, d’estate, mentre leggevo la descrizione degli inverni rigidi russi, provavo brividi di freddo.

E poi ho continuato con i classici francesi e spagnoli. Il libro formativo, per me, sono stati “I Promessi Sposi” che ho, poi, affrontato al ginnasio, con molta disinvoltura. E quindi Verga e i veristi. Un’estate intera a leggere Pirandello, che non capivo in tutti i suoi passaggi, ma mi affascinava. E, come regalo di compleanno ho ricevuto “Zorba il greco”, il capolavoro di Nikos Kazantzakis, che è tutt’ora il mio libro da comodino insieme al “Gattopardo” di Giuseppe Tommasi di Lampedusa e “La luna e i falò” di Cesare Pavese. Ricordo questi testi e rivedo me bambino quasi naufrago a cercare un significato o i significati dei vari messaggi che gli autori hanno dato all’umanità.

Arriviamo agli studi, fino alla laurea.

Superata la terza media, mio padre mi propose l’Istituto Tecnico per Geometri. Risposta mia tassativa: “o il Telesio (il Liceo Classico di Cosenza) o farò l’idraulico, papà…”. Un carattere deciso!

Il primo impatto con il Telesio è stato traumatico: proveniente da un paesino, tutto in città mi sembrava più grande. Le aule dell’Istituto lo erano realmente. Noi alunni sembravamo addirittura più piccoli se commensurati con quella struttura veramente gigantesca. Cinque anni felici quelli trascorsi tra palpitazioni, normali a quell’età, e la gioia di apprendere la lingua degli dèi e la cultura del passato. Le lingue classiche mi hanno sempre affascinato e conoscerne i rudimenta mi sembrava una conquista. Gli anni sono passati e li ricordo come un sogno, adesso. Così come ricordo il mio primo incontro con la Federico II di Napoli. L’avevo scelta a dispetto di ogni cosa. Doveva essere il mio Ateneo, a costo di tanti sacrifici da affrontare. Non ricordo eccessive difficoltà perché la scelta di Lettere Classiche era mirata: doveva essere l’unico mio indirizzo. Forse non avrei saputo fare altro.

Entra, quindi, nel mondo della scuola. Quali le prime esperienze, le prime sensazioni?

Era una fredda mattinata di ottobre… avevo precedentemente fatto domande presso vari istituti di Cosenza e zone viciniori. Nella cassetta delle lettere nella mia casa di via Panebianco a Cosenza, dove nel frattempo ci eravamo trasferiti, trovo una lettera. La mia prima supplenza! Avevo realizzato i miei sogni! Combinazione, la scuola, dove avrei dovuto prendere servizio, era quella di Lattarico. Avevo lasciato da adolescente il mio paese, rimasto sempre nel mio cuore, vi ritornavo come insegnante. Un’emozione grande! E così è iniziata la mia avventura nelle mie realtà scolastiche tra scuola media e poi, come scelta finale, i licei classici, avendo, nel frattempo, partecipando ai debiti concorsi nazionali. Il mio sogno in realtà sarebbe stato quello di proseguire all’università, ma la trafila sarebbe stata troppo lunga e le cose a casa erano cambiate e non in meglio, dopo l’improvvisa scomparsa di mio padre. Ho abbandonato il sogno di insegnare alla Federico II. Restando con i piedi per terra, ho scelto la strada più idonea e, quindi, dopo una trafila in tutti i licei della provincia, finalmente il trasferimento al “mio” Telesio e combinazione, nella mia gloriosa sezione C, frequentata da ragazzo. E nella C, tutta la mia vita, con una piacevole esperienza in altro corso, dove si sperimentava il liceo classico europeo e poi, sempre nella C, fino al momento della pensione. Una parentesi felice è stata anche quella dell’insegnamento parallelo nel liceo parificato Aniello Calcara di Cosenza, dove per anni ho conservato 6 ore di greco che accumulavo a quelle della cattedra del Telesio.

Poi, infine, arriva al liceo Telesio di Cosenza dove rimane fino alla pensione…

Come tutti i docenti, da tempo ormai, i primi anni sono un continuo altalenare tra sedi disparate e scuole di vario ordine e grado. Ho conosciuto quasi tutte le scuole della provincia, ma in un continuo andirivieni di supplenze di pochi giorni. Poi, fortunatamente, il precariato termina e arrivo al Telesio, dove sono rimasto fino alla pensione.

Che rapporto ha avuto coi suoi alunni? Molti ancora a distanza di anni la apprezzano e la seguono, la seguono anche come autore di libri…

Per i miei alunni di ieri!

E, poi, improvvisamente,

ci si ritrova!

Non più in un’aula,

al suono della campanella,

bensì,

lontani

dai rumori fastidiosi

della vita,

nella intimità

del nostro vivere.

Sono volati gli anni,

il tempo ha macinato

i nostri giorni

e oggi ci ritroviamo,

voi, nel pieno

della vostra gioventù,

io,

nel mio autunno inoltrato!

Il dialogo tra noi

non si è mai interrotto.

Gli eventi e gli impegni

ci hanno solo

in apparenza

diviso.

Quando si crea,

magicamente,

un rapporto sincero

questo

non può essere strappato.

Non si interrompe mai!

Ogni alunno è il futuro!

È uomo di domani

e avrà nelle sue mani

le sorti di ciascuno!

Prima di rispondere, mi è sembrato più consono farlo con i versi della poesia che ho dedicato ai miei alunni di sempre, dei primi incontrati in quel freddo giorno di ottobre agli ultimi accompagnati agli esami di maturità in quel caldissimo luglio dell’anno della pensione. Li ricordo tutti e quando, magari, in un ufficio, in una banca, in qualsiasi posto, mi sento dire: “Ma scusi, lei…” rispondo subito io “Sei tu l’alunno che faceva mille escamotage pur di non studiare?” esplicitando nome, cognome ed anno di maturità. I primi che ora sono quasi miei coetanei li ho ritrovati padri o madri felici e adesso nonni. Il tempo è passato… sono tutti nel mio cuore, da quello meno studioso a quella o quello che seguiva con interesse il dialogo. Tutti. Per me è stata una famiglia la scuola ed in una famiglia, non ci sono solo figli esemplari, ma anche i discoli vanno bene… l’interessante è averne avuto cura e averli amati. Però sempre di amore severo.

Ci dica qualcosa di più sui suoi libri, ce li illustri brevemente, uno per uno.

Non mi ricordo in quale anno, ma con una piccola casa editrice della città ho pubblicato un opuscoletto che non si trova più in giro, per me molto interessante. Si intitola “I poeti non lo cantarono” e trattava di un excursus sulle città antiche e soprattutto, sulla degradazione che in queste si viveva. Il confronto tra una città dove i poeti o gli scrittori hanno presentato i lucidi marmi e gli splendidi templi, ma hanno trascurato di fare il punto sui bassifondi che magari si incontravano a pochi metri dal Partenone di Atene o di un qualsiasi monumento venerabile di Roma o di Pompei. Era uno spaccato di vita narrato attraverso la mia voce e la voce di autori classici che forse, per distrazione, trascurarono di celebrare le bellezze della propria città per trattare i luoghi malfamati, dove la vita era un continuo pericolo. È stato un unicum e poi la vita mi ha sempre assorbito tra compiti da correggere, consigli d’istituto e di docenti, lezioni da preparare e lavori di vicepresidenza a cui far fronte…

Diventato “libero cittadino”, ho pensato di lasciare qualcosa di me. Non servirà a nessuno ovviamente, ma a me ha dato conforto. Mi sono messo così a scrivere libri e ad agosto ‘24, è uscito l’ultimo, sempre con i tipi di Mario Vallone Editore, al quale non vorrei fare una lode sperticata, ma reputo il mio editore la persona più retta, puntuale e premurosa che mai avrei potuto incontrare su un campo minato come l’editoria.

Il primo è stato molto tormentato come scelta. Perché tormentato? Ho voluto mettere uno dopo l’altro, i frammenti della mia vita, quasi incollarli per raggiungere, poi, quell’unicum che è impossibile poter attuare. È Frammenti di un’anima ed essendo la “prima creatura”, è proprio questo, il testo che prediligo. Ho voluto poi, quasi come una sfida a me stesso, attualizzare il mondo classico da me sempre sognato, e riportarne in vita le creature più rappresentative, quelle che però la storia ha trascurato…

Ho dato spazio alle donne che hanno affiancato mariti o fratelli o amanti molto più famosi di loro e che dinanzi a loro e per loro, si sono eclissate…

Sono nate così 50 figure di donne che la storia ha trascurato e che io ho voluto far rinascere. Non so fino a che punto ci sono riuscito. Ma ci ho provato. Il titolo del libro è Il cuore non cambia. Mai! ed è significativo perché ho voluto sottolineare l’eternarsi dell’animo umano in una realtà dove spazio e tempo macinano tutto, uomini e cose.

Poi il terzo, dove la mia anima forse ha vibrato di più: già dalla foto della copertina s’intuisce l’alone di “sacro”. È una foto sbiadita, volutamente sbiadita di mio padre che vi campeggia. Quando parlo di mio padre, anche alla mia età veneranda, non so che farci, non è debolezza, semplicemente un amore smisurato che ho voluto far conoscere agli altri. Forse per eternarne la memoria.

Il titolo è Soltanto elucubrazioni? e già nella frase s’intravede un lavoro fatto in modo puntuale, per la materia trattata, quasi come avveniva nel passato, alla fievole luce di una fiammella che promette di spegnersi.

L’ultimo nato poi è… è un filo rosso che vuole essere una risposta ai “Frammenti”. Il filo infatti dovrebbe fare dei frammenti della mia anima un qualcosa di solido, ma non so se ci sono riuscito. Lo diranno coloro che l’avranno letto.

Il suo rapporto col padre, una figura eternamente presente. Ha anche deciso di inserire una sua foto nella copertina di un libro…

È più forte di me, se parlo di mio padre che ho perduto quando aveva 54 anni, anche alla mia età, le lacrime escono senza che me ne accorga. È stato un faro e per me racchiude ogni forma di affetto.

Un tema costantemente presente nelle sue opere è certamente – non poteva essere altrimenti, visto i suoi studi e il suo lavoro – quello della cultura classica…

È “il filo rosso” della mia vita il mondo classico. Sognato appena bambino, è stato vissuto in tutta quanta la mia vita, con la stessa intensità e con lo stesso amore. Può sembrare esagerato questo mio trasporto verso il mondo classico, però se io penso a qualsiasi cosa, la misuro attraverso l’insegnamento che ne ho ricevuto. Sarà stata la presenza della mia vita di validi docenti, sia al ginnasio che al liceo, ma il dialogo con il passato l’ho sempre ritenuto fondamentale per comprendere il presente e tutte le sue problematiche. Letto attraverso l’esperienza di ieri, il presente diventa un qualcosa che già si è vissuto. Perderà sicuramente di immediatezza, ma la lezione lo farà sembrare più vero e più tangibile.

Una parte rilevante – anche qui non poteva essere altrimenti – è riservata all’amore, agli affetti…

È una parte riservata, intima, che è difficile aprire agli altri, visto che i sentimenti appartengono a chi li vive e condividerli significa minimizzarli, svilirne la portata. I sentimenti muovono l’animo di una persona, la fanno palpitare, la rendono viva, ognuno se ne può nutrire, ma è bello custodirlo gelosamente, riviverli come in un film e dopo tante “visioni”, riescono forse a fare meno male. I sentimenti muovono il cuore ed è difficile monitorarlo. E poi ci sono gli affetti che legano ai propri cari, di quello sia superfluo definirne la portata: si vuole bene e basta.

E una parte anch’essa rilevante – e non poteva essere altrimenti, lo ripeto per la terza volta – è la sua terra…

Mi risulta sempre difficile spiegare a me stesso e agli altri che cosa rappresenta il mio paese per me, la mia Lattarico. Non ho parole per descriverlo, anche se a dire il vero, nei suoi confronti mi sento come un ladro perché l’ho abbandonato quasi scappandomene, non sapendo che il mio cuore è rimasto lì, sepolto tra i vecchi ulivi che brillano con il loro argento al sole, in quelle strade senza sole, in quelle vecchie mura erose dal vento c’è amore sviscerato verso la mia terra perché la guardo con gli occhi innocenti di un bambino, quasi volendone ricavare concetti assoluti per me che non saprei esprimere a parole. Non è ovviamente un’infatuazione per il mio paese, è amore puro.

Veniamo alla cultura contemporanea. Una domanda specifica, riguardante la cultura a livello regionale. Mi dica un autore che la emoziona ed anche un poeta.

Un’altra mia malattia, la “calabresitudine” che insieme alla “napolitudine” e all’azzurrità della mia Grecia sono tre momenti fondanti della mia vita. Non riesco a capire cos’è per me la Calabria. Riesco a vederne però gli aspetti meno belli, ma soprattutto, penso alla gente che stenta la propria esistenza quasi come una maledizione biblica. Il calabrese vive la sua giornata e il suo atteggiamento nei confronti della vita arrancando, servendosene contempo di una sua filosofia, attraverso la quale egli è capace di conoscere l’umanità perché più di ogni altro, il calabrese ha stentato la vita, avendo sempre come compagna la sua valigia di cartone dietro l’uscio pronto per partire là “dove il pane è più caldo” e non sa di sale e stenti. Sono elementi quelli che ho esplicitato che ho ricavato dalla lettura di Corrado Alvaro, forse uno dei più grandi calabresi. Poco conosciuto, relegato in un cantuccio, Corrado Alvaro riesce a parlare all’uomo di sempre; è quello che ha saputo scavare nell’animo del calabrese e ne ha individuato il vigore creativo. Nei lunghi silenzi dell’Aspromonte c’è il grido disperato, ancora, delle persone che si sentono “smarrite” e che si sentono disperate. Sanno che nessuno può aiutarli e quindi, ancora di più, il grido disperato, si leva verso la Madonna della Montagna.

E poi, un’altra grande voce risponde a quella di Corrado Alvaro: quella di Leonida Repaci, il figlio della Calabria che ha visto nella sua regione un capolavoro creato da Dio, nel momento in cui ha pensato di dare una forma a quel pugno di 15.000 chilometri di argilla verde con riflessi viola.

Il Creatore ha concepito per la Sila il pino, per l’Aspromonte l’ulivo, per Palmi il fico, per Crotone Pitagora, per Celico Gioacchino da Fiore, per Paola San Francesco, per Cosenza Telesio…

E poi, il sole, il sole, per tutte le stagioni. Si è dovuto, però, scontrare con l’opera del maligno, con i terremoti e con le profonde calamità che il diavolo ha escogitato, per deturpare tanta bellezza. E il male non ha la meglio sulla Calabria. Il calabrese ha sempre viva dentro di sé la speranza è questa lo aiuterà sempre quando, dinanzi al male che lo affligge, dice a sé stesso: “spunta subito o giorno che la notte è passata”.

Per me, essere nato in Calabria lo ascrivo a privilegio.

Rimaniamo sul tema Calabria-Cultura. Come valuta il panorama odierno, mi riferisco soprattutto alle istituzioni, cosa si fa in concreto per la cultura in ambito regionale e cosa farebbe lei, cosa propone?

Mi ero, per un attimo distratto, rapito dalla magia della Calabria, cantata dai grandi calabresi.

Parlare della Calabra di oggi è come voler rivedere un film dinanzi quale, però, non si ha la forza di continuare e si chiudono gli occhi. Non mi esprimo sulla Calabria di oggi. Lascio parlare Dante: “È nave senza nocchiero in gran tempesta.”

Dov’è la politica sana?

Dove sono quei vecchi politici che hanno voluto bene alla Calabria, che hanno lottato per ridarle dignità. Dopo la purtroppo breve parentesi di governo Santelli e all’indomani della una gestione piuttosto felice di Spirlì, io di politica in Calabria non ne intravedo nemmeno l’ombra.

Ultimissima battuta. Starà sicuramente continuando a scrivere…

Tranquillizzo il mio editore Dott. Vallone! “Ho sfogliato bene il calendario” e “al momento non so usare il computer per scrivere”! Però ho molta fede. Credo nei miracoli!

m.v.

TUTTI I LIBRI DI ANTONIO MUNGO (vai al sito)

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