“Superfish” di F. Costa (inedito) – Cap.13

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Fortunato Costa

Il tredicesimo capitolo del libro “Superfish” di Fortunato Costa (Mario Vallone Editore)

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Capitolo 13

Fine di gennaio. Il freddo si faceva sentire anche a Tropea.

Eros uscì dal negozio verso le 12,00 per recarsi al porto; aveva voglia di fare una bella passeggiata per distendere i nervi. La mattinata era stata lunga e noiosa, spesa tra l’inventario, le bollette, i registri ed i campionari per gli acquisti in vista della prossima stagione estiva.

Raggiunse rapidamente il molo e si fermò a guardare le barche di pescatori che rientravano dalla pesca, robuste imbarcazioni con motori diesel rumorosi che entrarono nello specchio d’acqua calmo senza rispettare il limite di velocità di 3 nodi.

C’era diversa gente ad attendere l’arrivo dei pescatori. Ristoratori, pescivendoli, avventori comuni, curiosi. Si sarebbero conteso il pesce a suon di offerte.

Una donna teneva per mano una bambina molto carina sui 5 anni, vestita all’ultima moda con le scarpette da ginnastica luccicanti e due codini impertinenti che le sgorgavano come fontanelle dai lati della testa bionda.

Erano la moglie e la figlia di uno dei pescatori che rientrava dopo una lunga notte di freddo e di fatica.

La piccola, subito dopo l’ormeggio, si lanciò sulla passarella per correre da padre che le sorrise moltiplicando le rughe sul volto stanco e bruciato dal sole.

Un attimo dopo la bimba era in acqua scomparendo a peso morto; Eros agì fulmineamente, senza pensarci. Si tuffò e s’inabissò cercando e trovando un piede della malcapitata; tirò con tutte le forze e riemerse trionfante con la piccola tra le braccia. Tutto si era svolto così rapidamente che nessun altro aveva avuto a disposizione il tempo di reagire.

L’applauso sgorgò spontaneo dai presenti.

“E’ il figlio di Caroni, quello della gioielleria!” disse sottovoce un signore mentre lo indicava alla moglie.

“E’ quello che ci ha tagliato le reti, te lo ricordi?” disse un pescatore anziano al padre della bambina.

La madre aveva recuperato subito la figlioletta e la stava asciugando con una coperta sbucata come per incanto.

La piccola, di nome Romania, tossiva e piangeva senza interruzione, scioccata. La mamma piangeva felice di riavere il suo tesoro tra le braccia. Tutti parlavano, urlavano, chiedevano notizie e ringraziavano Dio contemporaneamente.

Solo due persone rimanevano in silenzio, guardandosi negli occhi senza distogliere lo sguardo: Eros ed il padre della bambina.

Poi il pescatore si avvicinò ad Eros, gli tese la mano piena di calli e questi la strinse.

“Queste cose non si dimenticano. Tu oggi mi hai fatto ricco perché mi hai ridato tutto quello che ho. Grazie Caroni, sono in debito con te. il passato è passato e ti chiedo perdono per i colpi che hai subito per quella brutta storia che tu sai…”

“Non c’è di che, figurati. Ma ora devo andare a casa.”

“Aspetta; questo è per te! Mangiali alla nostra salute” disse il pescatore porgendogli una cassetta piena di gamberoni ancora vivi.

“No, non ti disturbare, non c’è bisogno di sdebitarsi” rispose Eros.

“Mi offendo se non la prendi, Caroni. Vuoi scherzare? E’ un piccolo regalo, accettalo e corri a casa. Grazie ancora, mille grazie.”

Il giorno seguente il quotidiano La Provincia riportò la notizia del salvataggio eroico del ragazzo, elogiandolo e indicandolo quale esempio di coraggio e senso civico.

Due giorni dopo la moglie del pescatore e Romania si recarono al negozio dei Caroni. Entrarono timidamente, si diressero subito da Eros e Romania volle esser presa in braccio, gli scoccò un bel bacio e gli disse un grazie incerto guardandolo con gli occhioni neri luccicanti di gioia e di voglia di vivere.

“Sono io che devo ringraziarti” disse Eros “ perché mi hai fornito l’occasione di tuffarmi nuovamente. Senza di te probabilmente non l’avrei più fatta.”

Romania capì ben poco di quel discorso e gli sorrise con aria innocente. Eros la portò accanto alla vetrina dei coralli e le fece scegliere un paio di orecchini come regalo.

“Quando ti farai più grande e li potrai indossare passa a salutarmi. Ti aspetto!”

La madre di Romania porse un pacchetto ad Eros.

“Questo è un dolce, l’ho fatto con le mie mani. Scusate se è poco.”

Antonio li guardò commosso; non era mai stato così fiero di suo figlio e gli pose una mano sulla spalla sottolineando in tal modo la sua piena approvazione per il gesto. Aveva conservato gelosamente una copia del quotidiano del giorno prima nella cassaforte della gioielleria e già l’aveva fatto leggere a tutti i suoi amici.

Valentina ed Evelyn giunsero più tardi; la ragazza aveva gli occhi gonfi di pianto ma tutti fecero finta di niente per non ritornare sull’accaduto. La sera prima era successo qualcosa che aveva causato un forte dolore alla ragazza.

“Pronto, Evelyn?”

“Ciao Nico, come va?”

“Bene e male. Dovrei parlarti. Stasera vengo a Tropea. Dovrei essere lì per le otto.”

“E’ successo qualcosa? Non mi far preoccupare…”

“A stasera Eve. Ciao”

La panda si fermò fuori del giardino e Nicola attese per almeno dieci minuti buoni.

Evelyn, bellissima come ed anche più del solito, giunse correndo e si catapultò in macchina ed esclamò: “Che sorpresa!”

“Aspetterei un poco prima di parlare di sorprese!”

“Sei tenebroso stasera. Sei stanco del viaggio; cosa c’è che vuoi dirmi?”

“Andiamo via di qui” disse Nicola mettendo in moto.

Quando giunsero a Grotticelle il parcheggio sulla spiaggia era deserto; un cane in lontananza abbaiava e la luna era una falce luminosa che tagliava il buio con uno squarcio preciso, una ferita bianca luccicante.

“Evelyn, io non so come dirtelo…”

“Sabrina? Mi vuoi lasciare perché sei innamorato di Sabrina, vero?”

Nicola la guardò stupito.

“Noi donne abbiamo un sesto senso in queste cose. L’ho sempre saputo ma mi sono illusa dicendomi che sbagliavo, che sono esagerata, troppo gelosa ma…avevo ragione. Parla, non esasperarmi con questo silenzio!”

“E’ così, l’hai detto. Sono stato uno sciocco, mi sono lasciato prendere la mano. Tu sei così bella, esuberante, sincera. Forse c’entra anche il mio narcisismo, forse sono un cretino. Non so più cosa sono. Quando Eros e Sabrina flirtavano io ne soffrivo, ero geloso ma non volevo ammetterlo. Poi sono successe tante cose…”

“Ammetto che la colpa è stata in gran parte anche mia. Ti ho sempre visto come una figura rassicurante, un uomo diverso dagli altri; sempre così serio ed impegnato, con la testa persa tra i tuoi studi e le tue speranze di ricercatore. Ti ho forzato la mano, si: lo ammetto. Non so chi sia il più stupido dei due. Ed ora questo è il conto che mi si presenta da pagare. Non preoccuparti per me, ce la farò, passerà.”

“Evelyn, io non avrei mai voluto farti del male, ti voglio bene ma…non posso continuare a fingere, a tradirti ed a tradirmi. Io vorrei solo che tu mi perdonassi, che restassimo amici, che tu non mi voltassi le spalle dopo questa sera…”

“Forse andrà così, ma non ora. Ora soffro troppo e non sopporterei di starti accanto come semplice amica. Quando sarò pronta mi rifarò viva io, non preoccuparti. Se non c’è altro riaccompagnami a casa. Questa luna così bella è fatta per coloro che si amano, non per quelli che si lasciano.”

Quando Eros vide Evelyn triste e sconsolata le andò incontro e l’abbracciò, rassicurante, senza chiederle nulla. Aveva già capito tutto leggendo il dolore negli occhi della sorella.

“Siamo proprio fratelli io e te: sfortunati in amore ma…guarda che bella famiglia siamo! Coraggio sorellina mia, tutto passa. Il tempo gioca a nostro favore.”

Antonio e Valentina, avendo saputo della rottura, facevano finta di niente ma erano addolorati ugualmente perché Nicola era uno di casa e gli volevano sinceramente bene. Una situazione difficile, delicata, da trattare con le molle.

“Settimana prossima chiudiamo. Ferie, meritato riposo, tre settimane. Indovinate dove si va tutti insieme?” disse Antonio tirando fuori un depliant da sotto il bancone.

“Dove papi?” chiese Evelyn con scarso entusiasmo.

“Andiamo in Brasile! Rio, San Paulo, Rio delle Amazzoni, Iguacu, Brasilia, Fortaleza. Tra sei giorni il volo da Roma, son già prenotati quattro posti. Tutti insieme, come quando eravate piccoli.”

“Ci farà bene cambiare aria” soggiunse Valentina guardando i figli con un velo di preoccupazione negli occhi.

“Com’è andata?” Sabrina ruppe il silenzio.

“E’ andata. Aveva intuito tutto, mi ha sorpreso davvero. Ma era così evidente?” disse Nicola interrompendo la ricerca in atto.

“Solo tu non avevi capito niente. Io non so come hai potuto essere così cieco in questi tre anni.”

“Ed io che credevo di non piacerti, di esserti indifferente!” rispose il ricercatore guardandola con un lieve disagio.

“Perché hai sempre la testa fra le nuvole. O dentro il mare!” disse Sabrina sorridendo felice.

“In effetti la tua breve love story con Eros mi ha definitivamente aperto gli occhi. Sapessi che attacchi di gelosia mi facevate venire! Non mi è scoppiato il fegato per miracolo.”

“Missione compiuta. Sono fiera del risultato, un po’ meno del metodo, ma devi sapere che ero stata chiara con Eros: gli avevo detto sin dal primo momento che era una cosa passeggera. Mi ha mollato per questa ragione, credo; in definitiva sentiva che non ero sua e non ha resistito a questo stato di incertezza.”

“Sei diabolica, lo sai? A guardarti non si direbbe ma sei diabolica sul serio” disse Nicola sfiorandola con un bacio.

“Per te avrei mosso mari e monti, non l’hai ancora capito? Ed ora ho un altro problema.”

“I problemi sono come gli esami: non finiscono mai. Avanti, spara, cosa c’è?”

“Flora.”

“Ahi…tutti lo vogliono, tutti lo cercano ma nessuno lo vuole” disse Nicola riferendosi a se stesso.

“Quella ragazza ti ha messo gli occhi addosso, lo sai bene; almeno questo l’hai capito!”

“Se tu fossi stata chiara sin dal primo momento forse avrei capito qualcosa molto prima” disse Nicola piccato.

“Buongiorno” disse Flora entrando nello studio con entusiasmo.

“Lupus in fabula” mormorò Sabrina tra i denti.

“Come, scusa?” chiese Flora che non aveva sentito.

“Benvenuta Flora; stavamo parlando di te in questo preciso momento. Oggi laboratorio; con me, ovviamente” disse Sabrina alzandosi e facendole segno di seguirla.

La studentessa guardò Nicola improvvisamente imbronciata.

“Ho fatto qualcosa di male? Perché in tal caso non me ne sono accorta” abbozzò sfidando Sabrina con lo sguardo.

“Non ancora. Andiamo che c’è da lavorare parecchio. Non perdiamoci in chiacchiere” rispose la ricercatrice facendo non vista l’occhiolino a Nicola, divertito.

“Volevo dirti che domani partiamo. Andiamo in Brasile, tutti insieme, e resteremo via per circa tre settimane. Sai, la chiusura invernale, per ricaricarci in vista del tour de force estivo. Come stai?”

Eros aveva telefonato a Nicola per salutarlo. Non si erano ancora sentiti da quando Evelyn e l’amico avevano rotto.

“Ah, bene. Sono contento per voi, un bellissimo viaggio. Come va con il mare?”

“Meglio, grazie. La paura è un po’ scemata ma sono lontani quei giorni in cui mi lanciavo pazzamente in mare aperto in cerca di avventure. La lezione è stata dura. Evelyn è ancora a pezzi, come potrai immaginare, ma è giovane e bella: si rimetterà presto dalla delusione. Ma non voglio parlarne, ormai è andata così. Ti voglio bene come sempre, non è cambiato nulla. Quando torneremo magari potremmo vederci e stare insieme. Che ne dici, amico mio?”

“Contaci, Eros. Sono ancora un po’ imbarazzato a parlare con te ma purtroppo al cuore non si comanda. E la salute? Stai bene?”

“Si, benissimo. Qualche dolorino in addome a sinistra, dove mi hanno rimosso un po’ di roba, ma tutto sommato va bene. Vuoi che ti porti qualcosa dal paese di Ordem e Progresso?”

“E’ la scritta della bandiera verde-oro, vero?” chiese Nicola.

“Si. Hai fatto centro. Allora?”

“Scatta delle foto, poi me le mostrerai. Sono curioso di vedere con i tuoi occhi quel grande paese!”

“Va bene, vecchio mio. Ti saluto, stammi bene. Salutami anche Sabrina.”

“Sarà fatto. Buon viaggio.”

A quanto pareva le cose si stavano aggiustando per il meglio; quella telefonata rasserenò Nicola non poco. Si sentiva finalmente più sollevato: che diamine, tutti possiamo sbagliare!

Un sms si fece strada sul display del telefono.

“Domani parto con i miei. Volevo salutarti ed augurarti buon lavoro. Evelyn.” A Nicola vennero le lacrime agli occhi.

“Grazie, grazie di cuore Eve. Divertiti, distraiti e riposati. Nico.” fu la risposta.

Dopo qualche giorno cominciarono ad arrivare le foto di Eros su WhatsApp.

Paesaggi visti mille volte alla televisione o su YouTube, inconfondibili e già confidenziali ma, si sa, le istantanee sono un’altra cosa. C’è sempre una persona sconosciuta sullo sfondo, un’auto parcheggiata male, una nuvola fuori posto, un cane che annusa qualcosa. Il sapore è diverso e Nicola le guardò attentamente godendosele nei minimi particolari.

Quando Sabrina le vide disse subito: “Quando facciamo un viaggetto romantico anche noi?”

“Invitiamo anche Flora?” rispose Nicola beccandosi subito uno schiaffo sulla nuca.

“Violenza domestica!” urlò lui abbracciandola. Tutto era perfetto, tutto fantastico ed irripetibile.

“Quando ti trasferisci qui da me?” le chiese il ricercatore mentre giacevano a letto sotto il piumone, abbracciati anche per riscaldarsi un po’.

“Stai correndo, Nico. Ho una famiglia cui rendere conto, non posso andar via così di punto in bianco. Mio padre è all’antica, devo dargli il tempo di digerire i cambiamenti.”

“Speriamo che non abbia la digestione lenta. A proposito, riferendomi al viaggetto: che ne diresti di andare a Parigi?”

“Non sarebbe male, potremmo organizzarlo per Pasqua: che ne dici?”

“Andata! Ai biglietti ci penso io; tu dovresti occuparti delle prenotazioni. Sugli alberghi sono una frana, non so decidere ed alla fine sbaglio sempre.”

“Agli ordini, capo. Parigi: arriviamo!”

Intanto in Brasile, dall’altra parte del mondo, la famiglia Caroni si godeva quel viaggio così pieno di spunti interessanti, di paesaggi mozzafiato e di novità accattivanti.

I mesi di gennaio e febbraio sono caldi ma umidi; il clima tropicale e le piogge continue possono ostacolare i turisti e le loro escursioni ma tendenzialmente non riescono a rovinare le vacanze se ti sai organizzare. La fine del viaggio, il rientro, era fissata per il 25 febbraio; quindi avrebbero avuto l’imperdibile occasione di partecipare al carnevale brasiliano con puntate sia a Rio de Janeiro che a San Paulo dove si sarebbero svolti i defilee, principalmente di sera.

Le favelas di Rio si rivelarono impressionanti, sia per estensione che per mille altri motivi folcloristici. Vedere dal vivo tutte quelle case, poco più che baracche nella maggior parte dei casi, strette le une alle altre, dava la sensazione di guardare un enorme alveare colorato.

Prudentemente si aggregarono ad una visita guidata di gruppo non avendo alcuna chiara percezione dei possibili pericoli insiti in quegli agglomerati urbani dove droga ed omicidi erano all’ordine del giorno.

Acquistarono qualche gadget di stampo turistico, mangiarono dell’ottima carne alla brace, ammirarono i murales artisticamente realizzati da pittori del posto, ammirarono i costumi in preparazione nelle botteghe artigianali in vista dei prossimi festeggiamenti del carnevale, furono rattristati da alcune scene di estrema povertà.

La musica era presente ovunque. I brasiliani quando camminano ballano, quando parlano cantano, quando muovono le mani lo fanno a ritmo. Se fosse possibile dosare la musica nei campioni di sangue, i brasiliani avrebbero la ‘Musichemia’ alle stelle!

Quando andarono a visitare l’Amazzonia rimasero sconcertati dalla enorme portata del Rio delle Amazzoni, una vasta distesa di acqua marrone in movimento lunga 6992 chilometri, così lungo da avere le sorgenti in Perù ed il delta nell’oceano atlantico.

Decisero di prendere un battello nella città di Manaos tramite il quale avrebbero raggiunto la città di Belem sull’Atlantico, fine del viaggio, in quattro giorni.

Questa città di origine coloniale, sbucata all’improvviso dalla foresta come una città fantasma che compare per magia, possiede un centro storico un po’ fatiscente ma è ricca di edifici moderni e di attività commerciali. Il teatro Amazonas è un edificio imponente di color rosa, molto ben tenuto, dotato di una cupola verde oro che svetta sulla città ed è considerato il simbolo più vero di Manaos.

 La cosa più divertente, prima del viaggio, fu quella di comprare un’amaca ciascuno. Sui battelli non esistono che pochissimi letti, tutti riservati in piccole cabine, e ci si arrangia come si può; rimasero stupefatti nel vedere tutte quelle amache sospese alle sbarre che erano state collocate sul soffitto del secondo ponte per quello scopo. Avrebbero dovuto prestare particolare attenzione ai bagagli perché erano frequenti piccoli furti durante la notte.

Il secondo spettacolo che li colpì furono le acque dei due fiumi Rio Negro e Rio delle Amazzoni che non si mescolano, creando così una barriera di due colori diversi, dovuta alla diversa acidità e densità delle rispettive acque.

Ovviamente fecero amicizia con tutti i passeggeri in breve tempo; i brasiliani sono ciarlieri ed accoglienti e tendono a raccontarti un sacco di cose, anche se tu non ci capisci un’acca. In particolare Valentina si affezionò subito ad una piccola brasiliana dal viso dolce, con le treccine coloratissime, che era già in grado di cantare benissimo delle canzoni complicate con la sua vocina armoniosa. Il contrasto tra la pelle scura, le labbra rosse ed i dentini di un bianco abbagliante erano una attrattiva irresistibile. L’ultima notte sul battello Beatriz, così si chiamava la piccola, volle a tutti i costi dormire con Valentina nella stessa amaca e quando si salutarono versò tutte le lacrime che aveva di riserva.

La musica era onnipresente, dalla mattina alla sera; molti giocavano a domino ovunque un ripiano fosse disponibile, qualcuno improvvisava una danza e tutti partivano con il samba e le sue tipiche movenze.

I villaggi lungo il fiume erano un diversivo allettante; quando il battello si fermava in prossimità di qualcuno di essi, subito veniva raggiunto da venditori, su barche a motore esili e slanciate, che salivano a bordo per proporre ai viaggiatori le loro mercanzie, tipicamente noci di cocco e gamberi di fiume.

Eros più di una volta fu tentato di tuffarsi in quelle acque scure; la tentazione nasceva dal fatto che ogni tanto si vedevano affiorare e saltare i Boto, i magnifici quanto spettacolari delfini rosa. Ma Evelyn faceva buona guardia e riuscì a dissuadere il fratello da una nuotata piena di insidie.

All’altezza dell’isola di Marajò il battello fu preso d’assalto da una miriade di bambini che pagaiavano su piccole canoe. Presto fu chiaro che si aspettavano qualche dono dai turisti che non si risparmiarono nel gettare loro buste colme di doni; le buste vennero fornite dall’equipaggio, già preparato a quel tipo di esperienza.

Nei pressi di Belem, poco prima della fine del viaggio, presero un autobus che li portò nel parco nazionale del Lencois Maranhenses; qui ebbero la sorpresa di trovarsi in pieno deserto! Le dune, a perdita d’occhio, in quella stagione piovosa presentavano dei laghetti naturali di acqua limpidissima che, con il passare del tempo, si sarebbero prosciugati in attesa della prossima stagione ricca di precipitazioni.

E finalmente giunse il carnevale.

I Caroni riuscirono ad accaparrarsi i posti migliori, i camarotes, sulla gradinata più vicina alla strada che attraversava il Sambodromo, la famosa Marques de Sapucai. Il Sambodromo è una struttura a gradinate di cemento armato, progettata da Oscar Niemeyer, che costeggiano dal 1984 la strada dove sfilano le dodici scuole di samba con carri allegorici, costumi stratosferici e ritmi scatenati.

Le varie scuole di samba impiegano un anno intero ad organizzare la sfilata carnevalesca, che durerà in media dagli ottanta ai novanta minuti, e contano almeno tremila partecipanti attivamente impegnati nel contribuire alla riuscita dell’avvenimento noto in tutto il mondo. Evelyn aveva deciso di vestirsi in modo provocante quella sera ed aveva preso a nolo uno splendido vestito tutto lustrini che lasciava ben poco alla fantasia corredato da un fantasioso quanto vistoso copricapo adorno di magnifiche piume color fuxia. Quando il carro della scuola Imperatriz Leopoldinese sfilò accanto alla loro postazione uno dei partecipanti si avvicinò ad Evelyn e la catturò, malgrado le deboli proteste della ragazza. I colori erano, manco a farlo apposta, gli stessi della scuola di samba ed Evelyn cominciò a ballare con loro rientrando in una coreografia ben precisa.

La cosa andò avanti per un buon quarto d’ora fino a quando, sfinita, Evelyn fece ritorno al suo posto applauditissima dal pubblico.

Fu una notte magnifica.

“Hai visto le foto del carnevale? Guarda quanta gente! Che colori…Evelyn è vestita come uno di loro!” Sul display dello smartphone di Nicola scorrevano decine e decine di immagini inviategli da Eros quella notte.

“Si, vedo. Era magnifica, una vera bellezza. Ma adesso dovremmo concentrarci sul plancton e sulla dentatura delle foche. Biagini arriva più tardi e vuole vedere che progressi abbiamo fatto” rispose Sabrina andando a sedersi alla sua postazione ed accendendo il computer.

“Non essere gelosa, non dovresti. L’ho lasciata per te, non il contrario.

Rilassati, siamo amici, tutto qui. Avanti, cosa abbiamo in definitiva sulla foca cancrivora?”

“I Lobodon Carcinophagus, famiglia Phocidae, sono una specie minacciata di estinzione a rischio minimo. Meno male. Gli adulti pesano mediamente tra i 200 ed i 300 kg e sono lunghi almeno due metri. Vivono nell’Antartide in gruppi numerosi quando sono giovani, a piccoli gruppi da adulti. Il mantello si schiarisce con l’età fino a diventare quasi bianco negli esemplari anziani. Proprio come noi, Nico, fanno capelli e barba bianchi!”

Sabrina leggeva e scriveva al contempo la relazione da produrre all’attenzione del professore con cui avrebbero, poi, discusso l’orientamento definitivo del lavoro che sarebbe servito come materiale per una tesi compilativa.

“E’ notevole questo dato. Sono le foche che più si allontanano dal mare addentrandosi nell’interno del continente antartico. Fino a 100 chilometri dalla costa! E non hanno paura di salire sulle montagne di ghiaccio.”

“E sulla dentatura? Che mi dici?”

“La dentatura è unica nel suo genere, nel senso che nessun altro animale sul pianeta ha quei denti. Guarda queste foto…”

“Incredibile! Ogni dente ha lungo il profilo esterno numerosi dentini separati che consentono la filtrazione del krill. Sembrano merletto. Ma questo non le pone in competizione con le megattere?”

“Proprio così. Il krill costituisce il 90% della loro dieta; per il restante mangiano pesci e cefalopodi. Le orche sono molto interessate alle foche cancrivore: ne mangiano a bizzeffe!”

“Ma non erano le foche leopardo le vere predatrici di Lobodon? Ricordo qualcosa che ho letto anni fa …”

“Hai ragione, Nicola. Le foche leopardo, Hydrurga Leptonix, sono dei predatori eccezionali. Mediamente pesano 400 kg ma possono raggiungere i 500 kg ed i 4,5 metri di lunghezza. Sono animali solitari, feroci carnivori; la loro dieta è composta quasi esclusivamente da foche, pinguini e pesci. Ma qui viene riportato anche un attacco ad una ricercatrice inglese, Sirsty Brown di 28 anni, nel luglio del 2003. Mentre era al largo delle isole Falkland, a circa 1290 km di distanza, si è immersa per il rilevamento di alcuni dati oceanografici ed è stata trascinata ed affogata sott’acqua da una grossa foca leopardo. Gli altri componenti del gruppo di ricerca nulla hanno potuto per scongiurare questa sciagura.”

“Brrr. Mi vengono i brividi quando penso che potremmo fare la stessa fine una volta di queste!”

“Se ci fosse Eros nelle vicinanze saremmo più sicuri. Scherzavo. Continuiamo.”

Il professor Biagini fece la sua apparizione.

“Dio vi benedica, figlioli! Come state? Dottoressa Sabrina, lei si fa sempre più bella. Si è innamorata per caso? Va bè, va bè; non sono affari miei, lo so. Allora, stavo pensando che ci vorrebbe un caffè ma Carbone non si vede. Sapete che fine ha fatto?”

“E’ vero. Non l’ho visto stamattina, ed è strano. Ora vado a cercarlo” disse Nicola uscendo in cerca dell’uomo.

Dopo un buon quarto d’ora rientrò con un foglietto ed un numero di telefono.

“Non l’ha visto nessuno. Mi sono procurato il suo numero di telefono; adesso chiamo.”

Compose il  numero e rimase in attesa.

“Pronto, casa Carbone? Buongiorno, sono un amico, tu sei la figlia? Volevo sapere come mai non è venuto oggi al lavoro. Ci sono problemi?”

Nicola rimase in ascolto per qualche minuto cambiando repentinamente espressione e colorito del viso.

Poi salutò con un mesto ‘ Grazie, scusami, mi dispiace tanto’ e sedette avvilito guardando i presenti senza vederli.

“E’ morto. Stanotte.”

“Cosa?” dissero all’unisono Biagini e Sabrina.

“Ha avuto un ictus, l’hanno trasportato d’urgenza al Cardarelli ed è morto dopo due ore!”

“E si è portato via la simpatia, l’allegria, la dolcezza e l’odore di caffè! Poveretto, mi addolora questa perdita” disse Sabrina piangendo.

Biagini era rimasto impietrito e, per una volta tanto, non disse nulla ma scuoteva il capo rattristato ed incredulo.

“Non so cosa dire. Tutto quel che mi viene in mente è banale, le solite frasi di circostanza, le solite menate. Ma sono profondamente addolorato. I funerali ci saranno domani; abitava a Fuorigrotta, nei pressi dello stadio San Paolo. Io ci andrò” disse Nicola andando accanto a Sabrina ed abbracciandola per confortarla.

“Oh, bè, per oggi la tesi può aspettare. Se fate un telegramma, una corona di fiori in memoria del compianto Carbone, contate sulla mia partecipazione mi raccomando. Ora vado, scusate” disse Biagini ed uscì in silenzio, senza dimenticare la borsa questa volta.

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