Una delle primissime pagine del romanzo “Il garibaldino di Brattirò” scritto da Michele Furchì, da me pubblicato nel novembre 2018 col marchio Mario Vallone Editore (vai alla scheda del libro).
m.v.
Scendendo più a valle si incontravano i paesini, quali Caria e, ancora più giù, Brattirò.
Quest’ultimo paese si estende su di un piano in cima ad una grande vallata che divide due comuni: Ricadi e Drapia.
Nelle sue profondità scorre il torrente Ruffa.
Composto e ben costruito, Brattirò era formato da due strade che dalla chiesa si dividevano fino a formare un triangolo che copriva una piccola piazzetta dove di mattina e di sera, si incontravano gli amici che, augurandosi il buon giorno, andavano nei campi a lavorare e ritornando la sera, alla fine del duro lavoro della giornata, si davano la buona notte.
Ma la domenica, dopo la santa messa, quella piccola piazza era gremita di gente.
Tutti si riunivano in gruppi raccontandosi gli eventi della settimana.
Questo, a volte, era motivo di qualche litigio che finiva, come sempre, con un abbraccio.
I cittadini di questo paese si dividevano in famiglie.
Le più numerose erano i Rombolà, che per distinguersi, avevano soprannomi diversi.
Alcuni chiamati Milingiana, altri i Mpranna e altri ancora Zocculanti.
Quando succedeva che qualche intruso di altri paesi, specialmente di Tropea, arrecava qualche danno o faceva il prepotente, tutto il paese si mobilitava, e per il malcapitato non vi era scampo se non fuggiva a gambe levate, o per lui erano botte da orbi.
Era un paese molto unito.
Intanto, Cecilia allungava il passo…
Michele Furchì