La perdita di un artista stimato

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Silenziosamente, quasi in punta di piedi, ci ha lasciato Giuseppe Pugliese.

Era nato a Brattirò di Drapia nel 1922.  Scultore apprezzato e stimato, ha lavorato sia sul legno che sulla pietra viva.

Le sue opere sono state più volte esposte in manifestazioni culturali. Di esse è stato realizzato un catalogo esauriente che ha ricevuto molti riconoscimenti.

La sua produzione artistica era basata principalmente sull’espressività dei volti, colti nella loro spontaneità e immediatezza, fissati per sempre sulla  materia dal suo tocco unico e personale. Ha vissuto una vita carica di avvenimenti particolari e di vicende spesso dolorose e tragiche che hanno segnato la sua esistenza e plasmato la sua sensibilità di artista.

Arruolatosi nell’Arma dei Carabinieri, prese parte alla seconda guerra mondiale. Deportato in un campo di concentramento vi rimase fino alla fine del conflitto.

La drammatica esperienza di prigioniero si è andata consolidando nel tempo: un ricordo incancellabile da trasmettere quale testimonianza diretta degli orrori vissuti da un’ intera generazione vessata dalla barbarie dei totalitarismi. La sua vicenda è diventata un libro dal titolo “Mio padre nel lager”che il figlio Antonio, docente di Clinica Medica Veterinaria presso l’Università di Messina, ha recentemente pubblicato riscuotendo un notevole successo. Ritornato al paese natio, si sposa e si dedica principalmente al lavoro nei campi ed alla famiglia.

Viene in seguito colpito dalla morte della cara moglie, deceduta prematuramente. Tale luttuoso avvenimento lo induce ulteriormente a trovare conforto e rifugio nell’arte della scultura. Prende corpo così una feconda vena artistica. Una specie di catarsi, di liberazione dal dolore, alla ricerca di una trasfigurazione della realtà che potesse colmare, anche e soprattutto, il suo vuoto interiore e affettivo.

Un’altra dote, che lo rendeva altrettanto singolare, era la sua percezione di rabdomante. Pugliese si rendeva sempre disponibile con i contadini del posto quando dovevano scavare un pozzo. Con due bacchette di legno, legate da un filo di rame, era in grado di individuare nella profondità del suolo la presenza dell’acqua. Con il trascorrere degli anni la sua vita diviene sempre più raccolta e solitaria. Passa le sue giornate in un capanno nel suo podere, dove ha scolpito la maggior parte delle sue opere. Si reca in paese solo per i bisogni strettamente necessari, mantenendo comunque un rapporto di amicizia discreta con gli abitanti di Brattirò.

Il sonno della morte lo ha portato via quasi senza preavviso. Ma lui continuerà a vivere attraverso le sue opere, poiché da quel  lungo momento di solitudine della sua ispirazione di artista potrà nascere il messaggio di un mondo più vivibile per la bellezza che gli infonde l’arte in tutte le sue forme.

Mario Vallone

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