Le origini della festa brattiroese

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Nel 2014, col mio marchio Thoth Edizioni, pubblicai il libro “I Santi Medici di Brattirò (VV)”, scritto da mio padre, il dott. Pasquale. 

Ho avuto modo di pubblicare su questo blog tutte le foto contenute nel volume e alcuni extract (VAI AL POST).

Oggi, considerando l’avvicinamento della festa, vi propongo l’ennesimo “brano”

MarioVallone

In passato, la novena e la messa si celebravano prima dell’alba. Poi, tra gli anni ’20 e la fine degli anni ’50, la novena si celebrava la sera e la messa si celebrava al mattino, prima dell’alba. Vi partecipava tutta la popolazione di Brattirò.

Il baratto era un commercio primitivo ed elementare, consistente nello scambio di merci, senza fare uso di denaro. Il 25 settembre c’era la fiera del bestiame che si svolgeva nelle campagne di Santicocimeu e di Baruni, ricche di alberi soprattutto di fico e di ulivo. C’era la compravendita di maiali, vitelli, mucche, pecore, capre, ecc. Alcuni portavano da vendere polli, uova, galline, conigli, tacchini, fichi secchi, mais, cicerchia (fasola), formaggio, fagioli, ceci, lupini,ecc. Siccome soldi non ce n’erano, o ce n’erano pochi e nelle tasche di pochissime persone, si attuava il baratto.

Non c’erano bancarelle. Gli unici “venditori” erano i “pignatari”. Venivano dai paesi delle Serre, soprattutto da Soriano e Gerocarne, con carri trainati da buoi che portavano, protetto da felci (filici), il loro prezioso e fragile carico di oggetti di terracotta.

Si tramanda che c’erano i macellai (gucceri) che macellavano i maiali soprattutto per fare i “sotizzi” che poi appendevano ai rami degli alberi, in mostra, per venderli. 

Le massaie compravano gli oggetti di terracotta per uso domestico: teglie (tijei) per cucinare, brocche (‘mbumbuli) per l’acqua,  pentole (pignate e tiane) per i legumi (fagioli, ceci. Ecc.), boccali (cannate) per il latte, scolapasta, ecc. e, per la gioia dei bambini, l’ocarina (frisculiu).

La festa dei Santi Cosma e Damiano era nota e rinomata anche come “a festa di sotizzi”, perché all’epoca, non essendoci ancora i frigoriferi, le prime salsicce si consumavano in questa ricorrenza.

Il 26 settembre era il giorno della vigilia.

Il gran giorno era il 27 con la celebrazione della Santa Messa e poi le statue dei Santi Cosma e Damiano, venivano portate in processione perché fossero di buon auspicio per la campagna. Vi partecipavano tutte le persone del contado.

Tra la fine del 1800 e i primi anni del 1900, quando fu ultimata la costruzione della chiesa madre di Brattirò, fu qui che si celebrò la festa dei Santi Medici e non più a Santicocimeu. La curia vescovile non la prese di buon grado perché a Santicocimeu la festa era gestita dai preti di Tropea.

Ma la popolazione di Brattirò fu compatta e determinata e, sotto la guida del parroco, don Ruffa, fu formata una “commissione” di venti capi-famiglia che organizzarono e gestirono la festa, non più a Santicocimeu, ma nella chiesa madre del paese, dove furono portate le statue dei Santi.

Nella chiesa madre, la mattina del 27 settembre ci si preparava per celebrare la messa cantata. Per l’occasione si fece venire, per il panegirico, frate Paolo, dal convento di RombioloLa piazza e le vie del paese, nei giorni di festa, cioè il 25-26 e 27 settembre, erano piene di “pignatari“ (venditori di oggetti in terracotta) e “masciazzolari”, venditori del dolce tipico calabrese chiamato mostacciolo (masciazzoli). E, per le vie del paese, c’era anche la fiera con la compra-vendita degli animali: mucche, vitelli, maiali, ecc.

Il panegirico, ovvero il discorso di orazione celebrativa dei Santi Cosma e Damiano, era uno dei momenti cruciali e più attesi dai fedeli nella celebrazione liturgica.

Ma quella mattina, di quel 27 settembre, giunsero due preti della curia di Tropea in compagnia di una ventina di carabinieri. Costoro intimarono al parroco don Ruffa e a frate Paolo di non fare cerimonie religiose e di non celebrare la messa, né di fare prediche in chiesa. Tutto ciò per ordine del vescovo.

Allora i brattiroesi, furiosi, presero le statue dei Santi Cosma e Damiano e li portarono fuori dalla chiesa, sul sagrato.

Volevano che lì, sul sagrato, fosse celebrata la messa, non in chiesa. Pensarono che così il veto del vescovo non avese avuto valore!

Ma, impaurito, il parroco don Ruffa si mise a letto, si disse con la febbre alta, e frate Paolo scappò via.

Tutta la popolazione, raccolta sul sagrato, di fronte alle statue dei Santi Medici, rimase ammutolita e arrabbiata.

Gli eventi che erano accaduti avevano dell’incredibile e non c’era una spiegazione logica che potesse calmare l’ira e l’incredulità dei brattiroesi.

Consideravano illogico sia il comportamento del vescovo che quello del parroco e del monaco, condannato da tutti.

In quei momenti di indecisione e smarrimento, prese la parola l’economo Francesco Pugliese. Parlò con voce forte e sicura.

Fece una predica indimenticabile. Parlò in modo vago e intelligente dell’operato poco cristiano del vescovo.

Mise in risalto il culto, fortemente sentito, dei brattiroesi e dei pellegrini presenti.

Predicò la passio dei Santi Cosma e Damiano, ovvero il racconto edificante delle sofferenze e delle torture da loro patiti, e raccontò la loro vita al servizio del prossimo e le loro virtù a modo di panegirico.

I presenti ascoltavano in silenzio e con profonda e sentita partecipazione.

Alcuni si battevano il petto, altri si strappavano i capelli, molti si inginocchiarono.  Tutti avevano lo sguardo rivolto verso le statue dei Santi e il volto di tutti era segnato dallo sgomento e, in tutti, le lacrime scendevano copiose.

Piangevano anche quelle persone dal cuore duro che, mai nessuno, aveva visto piangere. Piangevano, in ginocchio, anche i carabinieri.

Ad un tratto, uno dei due preti della curia di Tropea, mandato dal vescovo, si avvicinò all’economo Francesco Pugliese e piangendo, lo abbracciò. Poi si vestì dei paramenti sacri e, tra il tripudio generale, tutto emozionato, celebrò la Messa.

A seguito di questo evento successero due cose importanti: 1) la festa dei Santi Cosma e Damiano non la organizzarono mai più i preti della curia di Tropea, ma un comitato di cittadini di Brattirò, nominati di anno in anno; 2) il parroco di Brattirò si appropriò della chiesetta di Santicocimeu e, per aggraziarsi i preti di Tropea, regalò loro la statua di Santo Stefano.

Pasquale Vallone

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