Tantissime persone hanno partecipato domenica scorsa alla festa per i 100 anni di Rosa Pugliese.
I festeggiamenti si sono svolti a Brattirò nello spiazzo nei pressi dell’abitazione dell’anziana, a poche decine di metri da Largo Palumbo.
Ho preso parte anch’io all’inconsueta ricorrenza.
Volti sorridenti, una montagna di dolci e fiumi di bevande, addobbi colorati, e nonna Rosa seduta a osservare quanto stava accadendo, incredula, intenta a stringere mani, abbracciare, e intrattenersi a parlare con tutti coloro che le porgevano gli auguri. E già, perché nonna Rosa, nonostante l’età, è ancora lucidissima.
Appena mi sono avvicinato le ho stretto la mano e le ho dato un bacio ed un abbraccio. Lei mi ha subito riconosciuto. Mi ha sorriso e mi ha detto: “Tu sei il giornalista che mi ha intervistato qualche anno fa.” “Proprio così”, le ho risposto. Rosa è stata, infatti, tra le protagoniste del documentario girato nel 2010 dal regista tropeano Enzo Carone sulla rinomata festa in onore dei Santi Medici. Allora decidemmo con Enzo di far visita a tutti i più anziani del paese per cogliere la loro testimonianza sulla ricorrenza brattiroese. Nonna Rosa era stata tra queste. “Vi siete comportata magnificamente durante quell’intervista – ho aggiunto, rivolgendomi di nuovo a lei- avete fatto un figurone. Nei prossimi giorni verrò a trovarvi per chiacchierare ancora un volta, per farmi raccontare la vostra vita e scrivere un pezzo per farlo leggere a tutti e farlo rimanere nella storia del paese.” Così, ho preso appuntamento con lei e nel tardo pomeriggio di martedì sono andato a trovarla in compagnia del suo nipote più grande, Mommo, mio fraterno amico, della sua compagna Sabrina e del piccolo Francesco, il nipote più piccolo di nonna Rosa, figlio -appunto- di Mommo (siamo alla quarta generazione).
Erano passate da poco le sei. Nonna Rosa si trovava nella sua camera da letto, con una signora che negli ultimi tempi le fa compagnia e l’assiste. Era seduta su una poltroncina vicino al balcone che dà sulla via principale del paese. L’ho salutata e mi sono seduto accanto a lei.
Mi sono intrattenuto per un’ora circa.
Le ho chiesto dapprima le sue impressioni riguardo la festa. Mi ha detto che ha apprezzato tantissimo l’omaggio organizzato dai suoi 4 figli e dai suoi numerosi nipoti. Ciò l’ha fatta realmente emozionare.
Nella nostra lunga chiacchierata abbiamo parlato di molte cose. Mi ha raccontato tutte le fasi salienti della sua vita, di com’era il paese, di come è cambiato nei decenni, e mi ha,inoltre, riferito alcuni piacevoli ricordi riconducibili ai miei nonni e ai miei parenti.
Con lei bisognerebbe intrattenersi ore ed ore, “punzecchiarla” su alcuni ricordi e annotare quello che dice perché è un vero e proprio scrigno di aneddoti ed informazioni spesso rare, curiose e interessanti, per non dire uniche e preziose.
Nelle sue parole, nei suoi ricordi, è prevalsa una costante: l’amore; l’amore per suo marito, l’attrazione per “i suoi bellissimi occhi”, incrociati un giorno di fronte alla chiesa del paese quando lei faceva ritorno a casa dalla funzione religiosa e il suo futuro marito se ne stava seduto sui gradini dell’edificio religioso. Da allora il suo pensiero è stato uno solo: vivere con quell’uomo e trascorrere la sua vita con lui in qualunque posto: “Per amore di Antonio sarei andata fino all’altro mondo”. Da quel giorno, l’amore verso Antonio non l’ha più abbandonata; un amore che dura tutt’ora. “Ch’è forte l’amore, ma ch’è forte”, mi ha più volte ripetuto battendosi il petto.
E nel racconto di quel periodo della sua vita sono emersi diversi aspetti del mondo di allora, delle usanze e della mentalità. Ad esempio il modo in cui si svolgeva il corteggiamento: gli uomini attendevano le donne all’uscita della chiesa e poi passeggiavano dietro a loro, comunque a distanza, “accompagnandole” fino all’entrata della loro abitazione. Era questo il modo per manifestare apprezzamento, per far capire che vi era interesse. E poi il fidanzamento ufficiale, le modalità attraverso cui si concretizzava, le imposizioni, talvolta l’imposizione di sposare una determinata persona (ma non è stato affatto, per fortuna, il suo caso). Insomma, usi e costumi di un tempo che non c’è più; parecchi aspetti positivi, ma anche negativi. Tuttavia, secondo Rosa, la gente in passato era più solidale. I sentimenti di condivisione, di aiuto reciproco nelle difficoltà, di compassione a volte, ebbene questi sentimenti un tempo erano più palpabili, prevalevano. Ma sono stati via via spazzati (o quasi) dalle trasformazioni sociali ed economiche.
Rosa, quindi, si sposò con Antonio, ed insieme andarono a vivere in campagna, in località cosiddetta “Vizzuni”, a pochissima distanza dal bivio di San Rocco. Ma presto scoppiò la guerra, il secondo conflitto mondiale; ed il suo amato fu costretto a partire per il fronte. Per anni non ebbe notizie di lui. Continuò sempre a pregare, a credere e sperare nel suo ritorno. Intanto Antonio si imbarcò per l’Africa, combatté in Libia, e poi dal SudAfrica gli inglesi lo portarono in Gran Bretagna, da dove, finalmente, riuscì ad inoltrare sue notizie ai familiari.
“Mi recavo ogni giorno in paese a piedi, alla posta, per verificare se era arrivata qualche lettera”, ha specificato nonna Rosa, con gli occhi emozionati e lucenti. Ogni giorno due km per andare e due per tornare. Senza mai perdere la speranza. Mi ha confessato anche che fece un voto a San Giuseppe. Ed un giorno, quando la guerra era finita da più di un anno, il cosiddetto “Officiali” del paese, cioè il titolare della posta, si affacciò dal balconcino dell’ufficio, allora situato a poca distanza da dove si trova oggi, annunciando a squarciagola che il marito della signora Rosa era vivo, che era giunta una lettera da lui stesso inviata.
La lieta notizia si propagò immediatamente ed un bambino si mise in sella ad una bicicletta per recarsi dai parenti del reduce e riferirla. Momenti che Rosa ripercorre con dovizia di particolari e con tanta emozione.
Emozione che è ancora più evidente quando racconta l’incontro col marito di ritorno, dopo anni, dalla guerra: si abbracciarono, senza dire niente, solo un abbraccio e nessuna parola.
La vita riprese, e Antonio riuscì ad ottenere un posto nelle Ferrovie dello Stato. Rosa diede alla luce 4 figli e si trasferirono in paese, dove tutt’ora vive. La sua vita, a fianco del suo uomo, fu sempre piacevole e loro furono felici.
Oggi nonna Rosa trascorre le sue giornate tranquillamente, con le sue abitudini delle persone anziane e sagge. Di continuo vengono a trovarla i figli ed i nipoti, come pure gli amici. Lei, con i suoi modi raffinati, la sua voce gentile, rivolge dolci sorrisi a tutti.
Suo marito è morto da circa 10 anni. Nonna Rosa lo cita sempre ed ancora oggi si emoziona pensando a quei “bellissimi occhi” che la fecero innamorare…
MarioVallone
TANTISSIMI AUGURI DA PIA, ARMANDO, TOMMASO!!! GRAZIE PER LE BELLE PAROLE CHE MI HAI DETTO IL GIORNO CHE SONO VENUTA A TROVARTI. DA PIA PULICARI