…È un filo rosso
di Antonio Mungo
riflessioni di Andrea Runco
L’opera, “…È un filo rosso”, di Antonio Mungo della quale ci occupiamo in questa dissertazione, per sommi capi si può dire che nella parte iniziale, tratti principalmente alcuni temi all’autore tanto cari magistralmente editati secondo la tecnica espositiva del prosimetro.
Si può notare la profondità poetica dei componimenti e la delicatezza sottolineata dalle figure retoriche che a volte vengono invocate per meglio far comprendere il suo stato d’animo, non disdegnando per ciò, neanche il richiamo di alcuni miti deiformi dell’antica civiltà greco-romana.
Inoltre il succedersi dei versi è così ben calibrato che ci permette di immaginare senza alcuna difficoltà, l’ambiente e il fiat in cui si svolge l’azione descritta, specialmente in quelle scene che parlando del suo paese di nascita (Lattarico), sanno tanto di bucolico, impreziosite ulteriormente dalla filiale quanto nostalgica confessione nella quale si nota il grande desiderio di poter rimanere per continuare a udire il frinio delle cicale, come fosse la colonna sonora non solo di tutte le terre solatie del sud, piagate da quell’arsura che sembra far crescere l’aridità del mondo, ma soprattutto continuare ad essere il sottofondo musicale della sua vita.
L’accorata richiesta è come se provenisse da persona colpita da diaspora, la quale deve lasciare il luogo natio per una sorta di obbligo o di necessità dell’esistere, alla quale non può ne vuole derogare, pur sapendo che nella lontananza la nostalgia lo distrugge pensando a quelle pietre aguzze delle vie soleggiate e dei vicoli, che mai scaldati, sono in eterna penombra, come lo è il cuore che soffre lontano al ricordo di tanta semplicità così disarmante della quale, una volta acquisita alla nascita si rimane contaminati per sempre.
Infatti chi sperimenta uno stato di esule o simile a questo, spesso rivanga i ricordi della fanciullezza, per Antonio quelli del gioioso mese di maggio quando in compagnia di altri ragazzi andava in giro per le campagne a gustare i prodotti della terra, ciliegie rosse, latte appena munto, formaggio da poco rappreso, e sopratutto godere dell’umana disponibilità della gente e delle bellezze della natura con le tante ginestre in fiore, luminose come piccoli soli posati qua e la sui costoni dei poggi. Solo che in queste rivisitazioni il poeta spesso è tentato di fare dei confronti, tra quel passato e i giorni d’oggi, ed oimeh, deve constatare che la bellezza di allora era un eden, lontano ricordo da custodire per sempre, mentre il panorama odierno è costituito d’abitazioni rurali o di periferia, ingrigite e cadenti, e una società che a quei ragazzi felici di allora, contrappone giovani dai bracci lividi con lo sguardo assente e svuotati di tutto, che sembrano appartenere a un nuovo girone di quell’inferno dantesco dove satana offre rifugio ad altre anime dannate.
L’attaccamento al paese di appartenenza riecheggia in altri componimenti nei quali, l’emigrante, che è lontano e senza affetti, nei momenti di solitudine, si ricorda dei suoi famigliari lasciati così lontani per l’amaro pane, e anche di lui sul pendio della collina, immaginando che nella vallata possa raccogliere fiori d’asfodelo per offrirli ai suoi cari defunti con la certezza che lì troverà anche la pace, continuando a godere della sua vista quando non emigrerà più. Ma l’ignaro destino lo fa tornare cieco e non può ammirarlo come un tempo, se non rivangando le immagini custodite nella memoria.
Parallelamente al tema di appartenenza al paese di nascita, Antonio ci parla degli amori in cui si è imbattuto durante la vita, per sua sfortuna molto travagliati e con profondo rammarico li ha visti sfumare uno dietro l’altro, mettendo in crisi la passione amorosa. Tra questi, uno si palesò all’improvviso, travolgente come un uragano, ma esauritosi con altrettanta sollecitudine, gli lasciò un immenso vuoto e i cocci da raccogliere.
Molti di questi innamoramenti si sono succeduti nel tempo che muta ogni cosa, e dà origine anche a quella metamorfosi a cui sono soggetti pure gli umani per il trascorrere degli anni. Questo, è ciò che Antonio notò in una sua ex che vide di sfuggita, con lo sguardo assente dietro gli occhiali che indossava, e seppur il momento è stato fugace, gli bastò per rinnovare il ricordo di quanto male gli aveva procurato, e col dubbio che anch’ella lo avesse riconosciuto, preferì andar via per salvare la memoria di quelle poche cose positive che erano successe tra loro.
In altro componimento, l’autore, suo malgrado ha capito da uno sguardo, che l’amore tra loro era finito e nelle mani di lei si sentiva manipolato. Anzi l’unica nota positiva di questo rapporto è quella di aver trascorso un periodo d’illusione durante il quale sembrava che ogni asperità fosse superabile, ma evidentemente non è bastata la reciproca comprensione a spazzare via le difficoltà per il raggiungimento di una sana convivenza.
Egli esprime anche tutto il suo dolore per un amore durato poco nel quale aveva riposto la speranza che fosse per sempre, invece il logorio del tempo lo ha consunto e i loro sguardi sono divenuti vuoti e senza luce sul futuro. Nonostante ciò, egli confessa che nel profondo del cuore ha ancora un cantuccio dove ha depositato le felici giornate di quell’amore che doveva durare eterno.
Ma resosi conto che quel sentimento era terminato come gli altri, con dovizia cerca di cancellare ogni cosa di lei anche negli angoli più remoti del proprio essere, per non cedere al dolore che si manifesta ogni volta che ella riaffiora alla mente elargendogli l’amarezza del ricordo, costringendolo a domandarsi (perché, se tutto è gia finito?).
Infine, il poeta dimostra una spiccata dirittura morale, poiché alla compagna con la quale hanno vissuto più intensamente e a lungo il loro amore, anch’esso svanito nel nulla, umilmente le chiede di aiutarlo a dimenticarla, affinchè esca per sempre dalla sua vita per lasciare spazio alla pace di cui ha tanto bisogno.
Il nostro poeta non fa neppure mistero nel palesare che tra gli affetti più cari, uno spazio di primaria importanza, lo occupa la figura del padre, per la profonda umanità e disponibilità nei confronti del prossimo, nonché per i suoi modi pacati nell’appianare ogni cosa e per infondere pace e serenità in chi gli stava intorno.
L’artista ricorda di quando ragazzo, allettato per malattia, durante la notte è certo di aver ricevuto la visita del genitore morto, che era tornato a vegliare su di lui, e poggiandogli la mano sulla fronte lo consolò dandogli il sollievo di cui aveva bisogno.
La seconda parte dell’opera segue lo stesso fil (rouge) di tutti quegli amori che il poeta iniziò con grande speranza, e oimeh finiti male. A questa fatalità sono accomunati i personaggi dei racconti che seguono, ciò dimostra che quando il destino infierisce su qualcuno, non necessariamente la colpa è da addebitare a chi riceve tanto male. A dimostrazione di ciò, Antonio ci regala due chicche narrative ambientate durante il periodo imperiale di Roma, e vista la sua conoscenza dell’idioma latino, le ha rese più attraenti usando alcuni lemmi con i quali indica gli oggetti della quotidianità di quel tempo. La prima è ambientata nel territorio di Pompei e dintorni al tempo dell’eruzione del Vesuvio, e i personaggi principali sono “Aulus e Claudia”, i quali stavano vivendo un’intensa storia d’amore, ma per un’errata valutazione degli eventi in corso, rimasero sepolti sotto le ceneri e il fiume di lava che scorreva lungo le strade.
L’altra storia i cui personaggi sono “Davide e Lucilla”, anche loro da poco tempo innamorati alla follia, essendo Davide di fede cristiana, convince anche lei a farne parte. Ma il padre di Lucilla, che per questo non vuole vedersi sminuito al cospetto dell’imperatore, dà mandato ai suoi armigeri di uccidere il giovane il quale dopo che è stato colpito a morte, nell’estremo tentativo di difenderlo, anche lei cade esanime.
Grazie a una formazione culturale classica, Antonio ha avuto modo di conoscere il mondo greco come fosse quello latino. Questo l’ha portato ad avere due patrie, l’Italia per nascita e la Grecia per elezione, alle quali, egli volge sempre il pensiero con eguale sentimento, smisurato ed elargito a piene mani.
Questo per dire che Antonio oltre che donare al mondo la sua arte, offre anche la sua amicizia sincera alle persone che ha avuto modo d’incontrare durante i suoi numerosi viaggi in Grecia, dove si sente a casa propria dato anche dal fatto che le due popolazioni sono legate da tempo immemorabile dal punto di vista culturale e scambio di genti, dovute alla vicinanza dei territori, ai commerci, alle conquiste reciproche avvenute in molte occasioni.
Concludiamo dicendo che l’opera di Antonio ci pone nelle condizioni di riflettere sulla vita e quanto ci ruota attorno, e una volta tratte le conclusioni, è bene che ognuno reagisca per contrastare le situazioni di malessere che possono derivare dalle crudeltà del destino, perché è giusto che chiunque abbia la sua occasione per sollevarsi dalle difficoltà ed essere vincente, o quanto meno trascorrere in pace i suoi giorni.
Andrea Runco
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MarioVallone