Il libro del Prof. Antonio Mungo “Soltanto elucubrazioni? Riflessioni e Appunti, Mario Vallone Editore, è un’opera di elevato contenuto poetico, letterario, narrativo, storico, lirico, realizzata lontano da fonti di ispirazione o tendenza plagiaria dei più grandi poeti quali Omero, Dante, Leopardi, Manzoni, Carducci, Pascoli, Foscolo ed altri ancora. A tal punto, mi corre l’obbligo di fare l’elogio alla poesia e poi all’affascinante e profonda autobiografia illustrata nella seconda e ultima parte del libro dalla quale, per la sua indiscussa magistralità, permette di ricavare tesoro culturale a chiunque lo legga o, meglio, più volte lo rilegga. La poesia, a mio avviso, esercita nell’essere umano un benefico effetto psicoterapeutico in quanto lo sottrae dal ritmo snervante del clamore insensato della vita moderna. Essa è lo strumento che fornisce serenità e racchiude l’uomo nella sublime meditazione assecondandolo al raggiungimento dei valori spirituali. Essa rappresenta, quindi, una forma di rigenerazione, ovvero palingenesi catartica. La poesia dell’autore, nel suo genere è unica, singolare, semplice, incisiva, non a rime baciate ma libera, creata dalla fonte di ispirazione connaturata nel crogiuolo dell’animo dell’autore, quale fonte mirata alla scoperta delle ragioni umane volte al riscatto delle identità nelle realtà esistenziali. Essa è come un tacito ruscello che scorre in mezzo a una natura idilliaca per seguire gioioso un percorso che lo conduce ad una meta ambita: quella di ricongiungersi a un mare magnum che lo processa dalle caratteristiche terrene, e lo versa nella declinazione di una catarsi liberatoria. Si discosta, essa, dagli enjambement, da metafore, ossimori, a volte enigmatici. Da Omero in quanto quest’ultimo narra fatti umani, gesta eroiche sottoposti all’arbitrio determinato e inconfutabile degli dei falsi e bugiardi in cui si risalta l’astuzia, la crudeltà a squarciagola, le trame, le vendette che dominano nelle guerre in un teatro di orrende realtà. Da Dante in quanto sommo poeta che descrive, a rime baciate, tutta la storia del tempo contemporaneo alla sua esistenza e quello antecedente, nonchè la narrazione di tanti altri acuti argomenti umani, religiosi, politico-sociali accentuati da metafore e sferzate di raffinate ironie. Dal Leopardi in quanto descrive il dolore quale predominio sulle gioie illusorie e la natura crudele e indifferente dinanzi alle umane pene e che avvolge le sorti degli uomini in un manto oscuro senza una reversibile liberazione, come viene citato nella poesia “A Silvia” nel verso in cui declama e si scaglia con tono esclamativo:” O natura, o natura perché non rendi poi quel che prometti allor, perché di tanto inganni i figli tuoi… Col Manzoni qualcosa in comune c’è dal punto di vista ideologico sulla possibilità di alleviare pene e dolori umani, nutrendo come fondamento la fiducia per il riscatto dai mali, come illustrato dal poeta nell’apparirgli in sonno la nobile figura di Carlo Imbonati, ritenuta sacra e gloriosa la quale suggerisce al poeta come segue:”I guai vengono bensì spesso, perché ci si è dato cagione , ma la condotta più cauta e innocente non basta a tenerli lontano, e che quando vengono, o per colpa o senza colpa, la fiducia in Dio li raddolcisce e li rende utili per una vita migliore”. Col Carducci, Pascoli e Foscolo c’è un punto di coesistenza riguardo al dolore, mentre le gioie risultano quasi inesistenti. Il primo descrive per l’avvenuta, prematura, morte del suo pargoletto Dante il suo immenso dolore – con una certa rassegnazione – senza alcuna speranza che la natura ingrata e crudele che non perdona e non conosce tenerezze, gli possa restituire in vita il suo tanto amato figlioletto. La simbiosi spirituale con il Pascoli, si riscontra nella poesia “La cavalla storna”, in cui si risalta l’incolmabile dolore del poeta per il barbaro e crudele assassinio di suo padre Ruggero sottratto alla gioia nel ritorno per il ricongiungimento coi propri familiari. Col Foscolo c’è in comune nella poesia “In morte del fratello Giovanni”- morto suicida per le tante traversie della vita – simili stati d’animo, ma il dolore del Foscolo non è tanto grande quanto quello di non poterlo piangere sulla sua tomba perché esiliato. Un dolore di sensibile partecipazione si manifesta nell’autore del libro su quanto descritto nella poesia “Un amore malato”. Viene rammentato un orribile episodio di omicidio-suicidio occorso nell’anno 1961 in una incipiente e solare giornata d’estate – in antitesi con Novembre, mese preferito da Antonio – nel proprio “borgo natio” che è la sua decantata Lattarico. Un dinamico giovane dotato di elevata vitalità, invaghito febbrilmente di una bellissima ragazza romena, dagli occhi sconvolgenti di un azzurro mare che corredavano un corpo dalle forme impeccabili, accecato dalla gelosia e, peraltro, non corrisposto nell’amore che provava per lei, vinto da un raptus omicida, le ha tolto la vita in una campagna, sotto l’ombra di un albero di pero per poi, coraggiosamente, suicidarsi. In concomitanza del grave e tragico episodio, la gente di tutto il paese e dintorni, intenta a godersi l’atmosfera gioiosa che offriva l’inizio dell’estate, rimase attonita nello sgomento provato per l’accaduto. Gli stati d’animo della gente ricordano quelli vissuti in occasione della morte di Napoleone nel 5 maggio 1821 e in quelli nel terzo coro dell’Adelchi che recita “ Dagli atri muscosi, dai fori cadenti , dai boschi, dall’arse fucine stridenti, dai solchi bagnati di servo sudor.. ed altri. Ma il dolore e la tristezza di Antonio Mungo dove si riscontrano? Si riscontrano in alcune sue poesie fra le quali c’è maggiore accentuazione nella prima di esse cioè in “Dolci le tue parole” In essa è descritta una magica apparizione, seppure fugace, della figura del proprio padre, prematuramente scomparso, in una calda e silenziosa giornata di agosto. E’ stata una rapida immagine surreale in cui l’autore ha supplicato il tanto amato genitore a consumare un caffè insieme con lui, ma che, purtroppo anche un desiderato abbraccio si è reso impossibile dalla evanescenza del fenomeno velato di beatitudine. La figura del padre è stata purificativa in quanto guida spirituale tale da indurre il figlio alla ragionevolezza e alla riflessione, e al lenimento delle sofferenze. Una guida sicura come lo è stato in vita nell’indirizzare i cinque figli verso la retta via e nel pieno dell’armonia familiare. Si riscontrano in Antonio profondi e angoscianti stati d’animo per la passata e irripetibile fanciullezza trascorsa felicemente nell’assolata Lattarico, contornata da un vasto manto verdeggiante la cui florida vegetazione esplode e cresce nel rispetto di un inappuntabile ritmo circadiano. Peraltro la vegetazione è sempre costellata dal rosso di una miriade di papaveri e da tanti vitali e gradevoli riflessi di luce solare che irradiano il paese. Altro bramoso desiderio approda e medita nel Liceo Classico “Bernardino Telesio”, scuola della sua impeccabile formazione professionale, umana, classica, etica in senso lato. Qualsiasi sacrificio ha sopportato il frequentarla, sormontando ogni ostacolo che si frapponesse nell’intento caparbio di raggiungerla ma che gli è stata dispensata, poi, dalla fortuna di realizzarsi in un encomiabile professore attorniato amorevolmente da suoi alunni e colleghi. Anche la tanto decantata Napoli che gli ha dato tante soddisfazioni nel corso de suoi brillanti studi, anche se gli ha amareggiato l’animo l’improvvisa scomparsa di una sua cara compagna di studi. Ma il rilievo della valenza e inclinazione agli studi profondi è stato conclamato dall’encomio solenne di un suo grande professore, inflessibile, dotato di severità nei confronti degli esaminandi, pertanto, temuto da tutti per la sua puntigliosità al punto di determinare la bocciatura a chiunque non avesse messo la virgola al punto giusto, come nel caso di specie recita la seguente massima “Ibis et redibis, non morieris in bello”. Se, il discente avesse posto, malauguratamente, la virgola dopo il non, da una sfortunata protasi si sarebbe decretata la morte certa senza ritorno. Altro desiderio intenso in lui è quello di fare la rituale visita alla sua decantata Itaca. La Grecia per lui è come una madre che lo ha allevato nella propedeutica della conoscenza dello scibile classico. Pertanto una sua rivisitazione non è finalizzata alla integrazione della sua già profonda cultura classica arrivata al suo acme, bensì all’osservazione delle gesta dei personaggi immortalati da Omero e posti dalla sua immaginazione quali attori vivi e parlanti sul palco di un teatro. E’ d’obbligo sottolineare la seconda e ultima parte del libro, di cui qualche contenuto è già stato accennato ma che rappresenta una portata di spiccata valenza dello scrittore in ordine alla sua autobiografia, ricca di saggi contenuti che non possono essere trascurati dal lettore ignavo in quanto da un insorto aforisma, dalle meditate elucubrazioni vengono sparsi i semi della saggezza che mirano ad attecchire nel terreno fertile della vera umanità. Lode ad Antonio da parte mia per avere dedicato versi significativi, nel ricordo del proprio padre, di cui io sono diretto nipote nel cognome e di cui mi onoro di esaltare la sua grande figura di uomo, pacifico, leale, generoso, amato e venerato da tutti per le sue doti indiscutibili di esemplari virtù. In occasione di uno sguardo al libro osservo in copertina la figura del grande zio in un solenne, composto, atteggiamento intento alla lettura; commosso, sono indotto ad una spontanea esclamazione: Che grande uomo ha perso il paese!
Francesco Mungo
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MarioVallone
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