“Nel testo di Antonio Mungo riecheggiano i luoghi, i profumi, le emozioni dell’infanzia perduta e ritrovata intatta nel proprio cuore. Ma è un’infanzia mitica, non mitizzata. Mitica per la potenza del suo sentire, per l’intensità e la profondità del suo essere. Nella felicità e nel dolore, nella speranza e nella paura. Infanzia vera com’è vero il mito – o come la poesia. Il poeta riporta in vita quel tempo che non è mai morto perché non può morire.
Nei due splendidi componimenti Dolci le tue parole e Sono in lotta col mio demone, in certo modo paradigmatici, della raccolta, scopriamo due narrazioni distinte e complementari, due diversissimi toni, e la stessa voce – non proprio due storie, piuttosto la medesima storia sdoppiata, o meglio rifratta come attraverso un cristallo. Il passato è richiamato in maniera così differente: nel primo carme tutte le contrastanti emozioni si manifestano nel miracolo dell’apparizione di mezzogiorno, la favolosa controra che sospende il tempo, dove il dialogo con l’assente, dolcissimo dialogo, è omesso, perché è solo tacendolo che lo si può trasmettere; nel secondo sono le parole d’amarezza rivolte a un diverso assente, e il più amaro silenzio che ad esse si oppone, a rendere viva la lacerante memoria che non è mai sopita davvero.
Così le sue narrazioni si completano, in una sorta di rappresentazione dell’assenza: l’assenza di chi, comunque, resta sempre presente, e l’assenza irredimibile di chi mai seppe essere presente davvero. Che non risponde perché mai ha risposto. E quale assenza è più triste? Il bambino che il poeta fu già rimpiangeva l’assenza di chi, fisicamente, c’era, e i versi sanno trasmettere questa angoscia suprema, rappresentano questo demone che il tempo non ha potuto placare. L’uomo che egli è diventato sa pure rendere magicamente reale, anche per un solo istante, la presenza di chi fu stella fissa nella sua infanzia, e la cui mancanza sgomenta ancora, ma che riesce a consolarlo con parole ineffabili. Così il poeta torna sempre nella sua casa in via dell’Orologio (non poteva aver nome migliore, questa via del tempo fuori dal tempo), dove si osserva, si cerca, si smarrisce, si trova.
Spiegava Ingmar Bergman, in vena di confidenze: “In verità io vivo continuamente nella mia infanzia: giro negli appartamenti in penombra, passeggio per le vie silenziose di Uppsala, e mi fermo davanti alla Sommarhuset ad ascoltare l’enorme betulla a due tronchi, mi sposto con la velocità di secondi, e abito sempre nel mio sogno: di tanto in tanto, faccio una piccola visita alla realtà”. L’infanzia è così breve, così eterna nella nostra vita. Siamo sempre, più o meno segretamente, i bambini che fummo. Ma solo i poeti, solo gli artisti, lo sanno rivelare.”
Maria Ivano
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MarioVallone
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