Uno dei briganti preunitari più celebri della Calabria fu senza dubbio Francesco Moscato detto ’u Vizzarru (Bizzarro). A volte nei racconti le azioni scellerate dei briganti venivano esagerate, nel caso del Vizzarro erano già cosi orribili da non aver bisogno di essere ingigantite.
Gli ultimi a dimenticarlo sarebbero stati quei paesi che ebbero la sventura di averci a che fare e dove lasciò un segno tangibile della sua crudeltà, sicuramente non ultimo Vazzano, suo paese natale.
Scrive nella prefazione la Prof. Caterina Villì: “In questo impasto narrativo, variegato, c’erano tutti gli elementi per attrarre noi uditori e lettori: la storia del Mezzogiorno preunitaria, durante quel famoso decennio napoleonico (1806-1815), terreno fertile per il brigantaggio (o banditismo?), la povertà più bisognosa, fors’anche estrema tout court una condizione di chiara necessità che a volte spingeva a farsi brigante per sbarcare il lunario, quindi non mostrando alcun interesse per le cause politiche, sociali ed economiche”.
Di lui ’Vizzarro scrissero in tanti, come ricorda con puntualità l’autore del volume Gianluca D’Antino, tutti nomi illustrissimi, come Alexander Dumas, già tra i viaggiatori più famosi del Grand Tour fino a Sharo Gambino, luminoso giornalista, narratore e saggista meridionalista.
Gli furono dedicati pagine e pagine , a volte fiorite, componimenti poetici e opere pittoriche: da Francesco Ruffa di Tropea (1865) la bellissima lirica: Il Vizzarro, che forse meglio descrive con una potente vis tragica l’uccisione del brigante; di pari pregio e maggiore intensità poetica-narrativa il poema dialettale ’U Vizzarru del dr. Francesco Fazzalari, già stimato farmacista e sindaco longevo; infine i famosi acquerelli di Bartolomeo Pinelli uniche e raffinate sequenze iconografiche dell’ultimo tempo del brigante.
Scrive Gianluca D’Antino nell’introduzione: ”I briganti erano molto lontani dalla nobile figura del celebre Robin Hood, che rubava ai ricchi per dare ai poveri, i nostri briganti erano spietati: uccidevano, stupravano, rubavano, torturavano, ricattavano, vessavano, insomma di eroico non avevano proprio nulla”.
Il lavoro di D’Antino, in questo libro documentato, ha il grande merito di aver fatto uscire dal guscio di quel mito leggendario il brigante-assassino ripulito da tutti gli aspetti romanzeschi e la scoperta dalla vera identità del Vizzarro che non poteva essere quella di Francesco Pasquale Moscato e per dimostrarlo ricostruisce l’intera genealogia di tutti i rami dei Moscato presenti a Vazzano attraverso la consultazione dei registri della parrocchia di San Nicola a Vazzano, delle dispense matrimoniali di Vazzano conservate nell’Archivio Storico Diocesano di Mileto e degli atti notarili di Vazzano conservati presso l’Archivio di Stato di Vibo Valentia.
“D’Antino – scrive sempre la Villì – con la pazienza dell’archeologo, la passione del filologo, il metodo scientifico dello storico, accoglie tutte le fonti del passato e con occhio attento le compara, compie coraggiosi scarti attraverso analisi acutissime e persuasive, dimostra la verità vera con modestia e gentilezza, argomenta documenti riesumati, quasi miracolosamente, con un linguaggio asciutto, lineare e con generosità li mette a disposizione del lettore, con un’umiltà, che cela la gioia per la scoperta, ci presenta la storia dell’uomo, al secolo Francesco Moscato, figlio di Giuseppe Moscato e vittoria Pittò.”
Agostino Gennaro
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MarioVallone
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