Ci rivedremo…

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Ho cercato di rispondere a tutti i numerosissimi messaggi di cordoglio ricevuti dopo la morte di mio padre avvenuta alle 19:30 del 10 aprile.

Se qualcuno non ha ricevuto risposta, me ne scuso.

Adopero il mio blog per rinnovare-completare i ringraziamenti a nome mio e della mia famiglia.

Mio padre ha lasciato un’eredità enorme a livello umano e culturale, soprattutto per la comunità brattiroese.

Finché vivrò continuerò, incessantemente, a portare avanti la sua opera cercando si superare ogni mio limite per avvicinarmi il più possibile alla sua inarrivabile e ineguagliabile grandezza.

Tantissime cose rimangono da fare: libri da completare, libri da rivedere, volumi da ampliare, foto antiche da catalogare, preziose informazioni da salvaguardare.

Farò tutto ciò che va fatto e cercherò di farlo bene, come lui ha sempre fatto e come lui mi ha insegnato.

Stavamo lavorando da tempo, in particolare, ad un megavolume fotografico di almeno 800 pagine in formato A4 dedicato esclusivamente a Brattirò: un lavoro davvero impegnativo.

Spesso andavamo in giro a scattare foto, raccogliere dati e reperire informazioni.

L’opera doveva essere pronta per l’estate. Lui ci teneva infinitamente a vederla completata.

Avevamo stampato la bozza del primo blocco di 350 pagine e aveva iniziato a correggerla e rivederla. La sua penna rossa si è fermata a pagina 15. Rimane un immenso e lungo lavoro ma lo porterò di certo avanti perché la strada me l’ha indicata lui e, dovessi avere difficoltà, so che continuerà ad aiutarmi. Ho solo bisogno di tempo, ma nulla andrà perduto. Onorerò la sua volontà e la sua memoria ogni secondo della mia esistenza senza tralasciare alcuno sforzo.

Che altro dire.

Sono stato sempre al tuo fianco in tutti questi anni, caro papà. Ogni passo lungo questa via della croce – momenti durissimi, momenti di sospiro, attimi drammatici, patimenti – lo abbiamo affrontato insieme. Ogni visita medica in ogni luogo, ogni viaggio, ogni consulto, ogni necessità, ogni assistenza. Abbiamo lottato insieme, sempre, e vinto alcune battaglie; però l’ultima l’abbiamo persa.

Senza di me, senza la mia presenza fisica, hai percorso solo un gradino, quello che si varca da soli.

Ma è stato solo un batter di ciglia; quando la mia mano si staccava, dall’altro lato già ti tendevano le braccia i nostri cari. Su tutti: la tua sposa; tua madre; e tuo padre, che non hai mai potuto conoscere perché emigrò alla ricerca di un futuro migliore quando avevi solo 3 anni non facendo più ritorno.

Io rimango qui con l’unica certezza granitica che vi rivedrò, che ci rivedremo; ma… non ancora… non ancora.

Di seguito il messaggio che ho letto in chiesa al termine della cerimonia funebre. In molti mi hanno chiesto una copia. Sapevo da almeno 11 anni che sarebbe arrivato il momento in cui sarei dovuto salire sull’altare, sconfiggere la disperazione e l’emozione, e leggerlo perché mio padre lo aveva scritto per coloro che lo hanno conosciuto; se non lo avessi fatto in quel momento me ne sarei portato dietro il rammarico per tutta la vita.

MarioVallone

Ogni medico all’inizio della sua attività professionale, pronuncia il Giuramento di Ippocrate.

Ippocrate ( 46° a.C. Coo- 377 a.C. Larissa ) era un medico greco. Fondò a Coo ( o Kos ) isola del Dodecanneso, una scuola medica e i suoi insegnamenti sono raccolti nel Corpus Hippocraticum. Si tratta di sessanta libri in cui Ippocrate, considerato il fondatore della Medicina Scientifica, imposta la medicina su basi non più empiriche ma razionali e la distacca dalla filosofia e dal contesto mistico-religioso  in cui, ancora, era immersa.

Il Giuramento di Ippocrate era in origine una sorta di contratto che condizionava l’ammissione alla scuola medicea di Coo. In esso sono contenute le norme della deontologia medica: il segreto professionale ed esercitare la professione con scienza e coscienza.

Con scienza significa con l’intendimento e il proposito di applicare, con impegno e attenzione, il proprio sapere per curare i mali dei sofferenti. Con coscienza vuol dire con consapevolezza e responsabilità.

Questa breve digressione sulla figura di Ippocrate ha per me un profondo significato e una grande importanza perché è proprio al suo insegnamento che ho cercato di conformarmi nell’esercizio della mia professione medica,  sforzandomi,  sempre, in ogni situazione e in ogni circostanza, di essere fedele al Giuramento di Ippocrate che ogni medico è tenuto a prestare all’inizio delle sua carriera, e soprattutto di mettere in pratica quelli che sono i principi etici basilari di codesto insegnamento e cioè: la cura del corpo del paziente nel rispetto dell’integrità e della dignità della persona umana.

In questo libro autobiografico non racconto solo la mia vita, le scelte che ho fatto, le realtà e le esperienze più disparate e più difficili che ho vissuto.

C’è tutto questo; ma vi è anche il mio sforzo costante per riuscire a capire il prossimo ed essere in grado e capace di aiutarlo; nonché la pratica incessante di venire incontro alle esigenze più impossibili e alle istanze meno reali del malato, anche nei casi più disperati e forse pure di fronte alla morte nei suoi lati più tragici o più naturali, e talvolta in quelli tragicomici.

Svolgere la professione medica partendo da tali presupposti e poi tradurre questi in applicazione quotidiana col passare del tempo diventa esercizio duro, stressante, impegnativo e pieno di responsabilità; perciò la mia vita, in questo senso, è stata complessa ma anche costellata e colorata da molti esempi, lieti e tristi, caratteristici di una ricerca, in campo medico e umano, che non è mai venuta meno, né nelle idee né negli atti, col trascorrere degli anni e col mutare della società e della mentalità delle persone.

Nel rapporto medico-paziente, io ho sempre considerato l’ammalato come il protagonista e non viceversa, e questo nel pieno rispetto, non soltanto delle sofferenze, ma soprattutto della dignità della persona umana.

La professione medica spesso la si definisce come una missione.

Ebbene, se per missione si intende quel compito nobile che ha per oggetto il bene altrui, allora io ho svolto la mia professione come tale.

Quale medico condotto, unico presidio sanitario nei paesi, ho dovuto curare i mali di tutti i tipi, a persone di tutte le età, anche nell’urgenza e nel pericolo.

Ho avuto il compito, non facile, non solo di alleviare le sofferenze della gente, ma anche di educarli alla prevenzione. Recita un detto: “prevenire è meglio che curare”, inteso nel senso che bisogna fare il possibile perché una malattia non arrivi poiché, quando si manifesta i rimedi, spesso, potrebbero essere inefficaci.

Sono stato un bravo medico? Un cattivo medico? Non sta a me dirlo.

Di certo, dal lontano giorno in cui, ancora ragazzo, decisi, per un caso quasi fortuito, che avrei studiato Medicina e sarei diventato medico in me ci fu, c’è stata e rimarrà sempre la passione.

Una passione intensa, grandemente voluta e fortemente desiderata, per la professione medica, svolta con la coscienza che essa è un qualcosa di nobile e di sacro e non dovrebbe mai scendere a patti con compromessi meno nobili.

Se davvero, nel corso delle mia lunga carriera di medico di famiglia (ben quaranta anni!) sono riuscito, almeno un poco, ad attuare alcuni punti del Giuramento di Ippocrate prestato in gioventù allora ho fatto molto, tanto, proprio tanto, per alleviare le sofferenze  dell’animo e del corpo che affliggono il malato.

Ho voluto scrivere queste pagine unicamente per piacere mio e per lasciare una testimonianza molto semplice e schietta del mio rapporto professionale con la gente con la quale ho lavorato e vissuto.

Mi sono mortificato, e dentro di me ho pianto con coloro e per coloro che soffrivano; ho gioito con quelli che hanno raggiunto l’obiettivo della guarigione.

Benedico la mia memoria perché, grazie ad essa, ho potuto ripercorrere il mio cammino professionale.

Non scrivo per immortalare il mio nome, ma soltanto per dare pace al mio povero cuore che a ciò anela.

Io sono vissuto in tutti coloro che sono esistiti con me e insieme a me hanno patito gioie e dolori.

Sono vissuto nelle lacrime, nel dolore, nelle gioie e nelle preoccupazioni umane di tutti coloro ai quali ho dato tutto della mia professione…

Non desidero né offerte alla mia tomba, né immortalità al mio nome.

Solo il ricordo da ognuno in modo proporzionale a quanto da me ricevuto, e poco m’importa  se vivrò in tutti coloro che verranno dopo di me.

                                                                         Pasquale Vallone

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