Il 27 giugno 1971, nel cui pomeriggio mio padre chiamò me e i miei compagni di gioco dicendoci: “Ragazzi, sono sicuro che, se tutto andrà bene, lascerete perdere presto Milan, Inter e Juventus. Seguite con me la radiocronaca che stanno trasmettendo, perché il Catanzaro sta disputando uno spareggio contro il Bari e, se lo batte, sale in serie A”!
Il suo insolito entusiasmo calcistico ci coinvolse e concordammo di ascoltare la trasmissione.
Non vi poteva essere sorte migliore, perché la squadra dell’allora nostra provincia vinse la partita, cosicché, per la prima volta, una compagine calabrese salì nell’olimpo del calcio nazionale.
Fu un accadimento di prorompente portata e gioia collettiva e mi sorprese decisamente vedere da lì a poco tanta gente riversarsi in strada con improvvisati drappi giallo-rossi, per festeggiare in una comunione d’intenti l’incredibile e insperato traguardo sportivo.
A pensarci bene, si trattò di una sorta di riscatto sociale un po’ per tutti i calabresi e presto quei calciatori, umili quanto straordinari per il loro attaccamento alla maglia, che, sovvertendo tutti i pronostici, erano riusciti in quella impresa, divennero i nostri idoli sportivi.
Alcuni mesi dopo, provai pure l’emozione di vederli direttamente all’opera, in una partita di campionato disputata allo “Stadio Militare di Catanzaro”, durante la quale due particolari mi colpirono: le migliaia di persone sugli spalti, a stretto contatto di gomito e, nel contempo, così disciplinate nell’assistere all’incontro; lo splendido manto verde del terreno di gioco, curatissimo al punto da sembrare un panno di biliardo, sul quale non osavo immaginare quale grande soddisfazione si potesse provare giocandovi.
Ancora oggi, a mezzo secolo di distanza, mi sento quasi in debito nei confronti di quella gloriosa unione sportiva, tanto che, nei vari campionati in corso, le sorti che continuo con particolare attenzione a seguire sono esattamente quelle del Catanzaro.
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MarioVallone
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