L’aver letto, con sommo interesse, l’opera autobiografica “Frammenti di un’anima” di Antonio Mungo mi ha tanto gratificato e ancora di più mi rende felice l’avere riscontrato in essa un elevato concentrato di cultura classica affine al tenore di personaggi della letteratura.
Solo che, a differenza di costoro, l’autore ha vissuto con grande sofferenza – condiviso, comunque, “obtorto collo” – i numerosi dispiaceri della vita, nel corso della sua giovinezza, estrinsecandoli, da maestro-artista, in versi nelle sue meravigliose poesie.
D’altro canto Antonio, magistralmente, descrive anche i luoghi goduti nel suo paese natio, nel corso della sua fanciullezza, esprimendo profonda nostalgia nelle sue visioni idilliache passate, ma che le può rivivere solo in un dolce ricordo. Tuttavia, ha voluto effigiare i suoi ricordi, in un mondo particolarmente affettivo, come perenne mosaico spirituale variegato dai tanti tasselli colorati.
Il “Prof. Antonio Mungo”, “per antonomasia” è come la definizione di un elevato titolo nobiliare che gli si confà, meritatamente acquisito, per la pluridecennale passione verso gli studi più severi della “classicità “ellenica” che, successivamente, ha potuto direttamente e ardentemente rivisitare e riviverla, in occasione di un suo ambito viaggio, in quelle zone, teatri degli scenari più affascinanti, immortalati dall’apoteosi di Omero.
Ha potuto così magnificare, in quel contesto, l’aureola spirituale che lo circondava sentendosi quasi trascinato dalla forza della “Vittoria Alata”- come coronamento – sulle alte vette dell’Olimpo. Lo dico in modo spassionato, imparziale, che lui è stato ed è tuttora un uomo “tutt’a plomb” dalle specchiate virtù, dallo sguardo rasserenante, dalla sottile maieutica, non lasciandosi mai scappare un severo cipiglio, quale ammonimento, verso chi abbia sbagliato; al contrario lui si è sempre prodigato, dato il suo grande cuore, alla benevolenza, come un buon padre di famiglia, senza far pesare le colpe agli altri, ai quali, al contrario, ha sempre profuso fiducia intervenendo con opportuni atteggiamenti persuasivi e bonari come “Deus ex machina” indirizzandoli verso la retta via.
E’ grandemente da elogiare la sua opera.
La sua autobiografia, immortalata dai versi, mi rende compartecipe al suo stato d’animo. Potrei citare tante sue vicissitudini nei suoi confronti però, quel che di più mi colpisce e mi sensibilizza, è la commovente realtà impressa nella poesia “A TE”. In quest’opera mi fa rivedere il suo amatissimo padre, immaturamente scomparso per una triste e ineluttabile sorte. Era uno zio particolare. Non solo io lo consideravo il gigante buono dalla elevata statura morale e dal senso indiscutibile di abnegazione verso il prossimo, soprattutto verso i bisognosi, ma colui che, a volte, maestoso come è descritto nel “pio bove” del Carducci, assorto a contemplare la Chiesa del paese o qualcosa di interessante, non dissimulava mai l’occasionale presenza di un suo simile che gli mostrava venerazione, anzi, lui prestava sempre sollecita attenzione in segno di ragguardevole e sincera amicizia.
Il dolore che attanaglia l’autore in modo struggente, a guisa di una bruma e pesante cappa che gl’imprigiona lo spirito, mi ricorda quello vissuto dal Carducci nella poesia “Pianto Antico”. Comunque, a sciogliere il groppo di ciò che grava sul suo spirito è la figura del padre che gli sussurra di reagire agl’insopprimibili e lugubri stati d’animo struggenti spronandolo, come fulmine a ciel sereno, col suo rasserenante, solenne e giocondo aspetto, quasi compiaciuto dell’ambìto traguardo professionale raggiunto dal figlio, ad avere la forza per continuare a vivere e sperare.
Francesco Mungo
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MarioVallone