Torno a scrivere oggi, dopo tanti mesi, per riaffermare il diritto sacro alla critica politica, al dissenso ed alla denuncia.
E’ grazie a questo diritto esercitato da uomini coraggiosi, in tutte le parti del mondo ed in tutte le epoche storiche, che abbiamo avuto le più grandi conquiste democratiche.
Il padre della nostra letteratura, Dante Alighieri, ci ha lasciato delle pagine di un’attualità inaudita per quanto riguarda il campo politico e sociale. Nel terzo canto dell’Inferno, egli presenta una categoria di persone, gli ignavi, che non considera nemmeno degni di punizione. Infatti sono collocati in una zona anonima, al di fuori dei cerchi infernali. Gli ignavi sono coloro che nella loro vita non si sono mai schierati politicamente, non hanno mai fatto una scelta: per viltà, per pigrizia, per comodità, per piccoli interessi personali, sempre pronti a saltare sul carro dei vincitori.
Per il sommo poeta queste persone sono spregevoli, perché hanno portato avanti nella loro vita l’indifferenza morale, sociale e politica.
Per lui siamo chiamati, ogni giorno, all’impegno per la nostra comunità, alla partecipazione attiva, che non è solo, scusate la divagazione dialettale “prendere pala e pico, bardo e manicula”, ma è anche e soprattutto: indignarsi, aprire la bocca, criticare, denunciare, dissentire, quando si tratta di argomenti di pubblico interesse ed utilità.
Ancora Dante, nel decimo canto da ampio spazio a Farinata, l’acerrimo nemico della sua famiglia e della sua parte politica, rendendolo un personaggio immortale ed eterno. Qui si afferma il rispetto sacro per l’avversario politico e per l’aspro confronto dialettico e pratico che rappresentano l’essenza del contraddittorio democratico.
Ho fatto questo breve viaggio dantesco perché considero fortemente attuali le sue parole ed offrono spunti interessanti di riflessione.
Mi rivolgo ai nostri amministratori che non perdono occasione, davanti alle critiche, a lanciarsi in invettive moralistiche, o in tentativi maldestri di mettere in ridicolo chi parla ottenendo l’effetto contrario o alla fine insultare chi si è permesso di aprire bocca.
Cari amministratori, avete deciso liberamente di candidarvi, ed avete ottenuto il mandato ad amministrare; onore ed onere pesante, considerato che dalle vostre decisioni dipenderà il futuro delle generazioni presenti e future.
Voi dovete prendere decisioni ma queste ultime saranno al vaglio quotidiano degli elettori.
Questa è la critica politica, a voi tanto indigesta, cioè la facoltà di porre a valutazione l’operato dei governanti, per stabilire pubblicamente se è giusto o sbagliato, vero o falso, bello o brutto; questo è il naturale dinamismo della vita amministrativa e democratica.
Questo dimenticate spesso con le vostre azioni e le vostre parole.
Davanti ad un cittadino che critica, denuncia, solleva un problema di pubblica utilità, l’amministratore ha due strade da seguire: o prende parola, dimostrando l’infondatezza di quella critica, relazionando chiaramente sullo stato della situazione e ringraziando l’interlocutore che ha sollevato il problema; oppure scegliere la faticosa via del silenzio, fare tesoro della critica e lavorare per invertire la rotta.
E’ la critica leale ed aspra a fare aprire gli occhi e ad essere la molla per attivarsi ed amministrare con maggiore efficacia. Il sonno atavico e le schiere di adulatori interessati servono solo ad alimentare la vuota immagine di sé.
Il mio augurio, cari amministratori, è che possiate fare tesoro di queste parole e di queste critiche; in modo da evitare che il vostro fallimento, già in atto, diventi totale e definitivo.
Ripeto e lo sottolineo a caratteri cubitali:
IL VOSTRO FALLIMENTO… non certo il mio.
AD MAIORA SEMPER
Professore Mimmo Farfaglia