La prefazione, scritta dal prof. Nicola Rombolà, dell’ultima raccolta di poesia di Antonella Daffinoti intitolata “Viaggio nei giardini del cuore”, volume da me pubblicato col marchio Mario Vallone Editore.
m.v.
Il soffio inquieto dei versi nelle corde dell’arpa eolica di Antonella Daffinoti
Protagonisti sono il silenzio, il vento, il respiro, il soffio, il profumo, il tempo, il sogno, e tutti gli elementi sottili, invisibili, come i pensieri, i sentimenti, le emozioni. A fare da sfondo il linguaggio della natura, mentre il tempus fugit e il carpe diem hanno la funzione di struttura assente. Le parole scorrono come i granelli di sabbia nella clessidra, assumendo la verticalità del tempo che cade nell’orizzontalità della storia.
Nella tessitura espressiva e formale è implicito un processo comunicativo analogico che si può rintracciare nelle sfumature: del tempo, dell’anima, del vento. Sono pensieri che non spiegano il loro perché, ma che si ripiegano in se stessi, spesso indecifrabili, ineffabili. E nella matassa delle parole si dipana la rievocazione di un’assenza.
Antonella Daffinoti, in questo suo “viaggio”, evoca suggestioni ed emozioni che nascono inaspettati (come in “Onde emozionali”), epifanie che improvvisamente si manifestano. La natura acquista un potere rivelatore, diventa essa stessa il momento dello struggimento, la folgorazione di una verità nascosta. Si avverte una corrente segreta che sposta in un altrove l’esistenza, il cui mistero è caricato di pathos e di sentimenti che portano dentro tensioni indefiniti, contrastanti e chiaroscuri, mentre il campo semantico e sintattico è attraversato da percezioni ineffabili, e il pensiero resta confinato in una zona il cui accesso non procede secondo un ordine razionale, come emerge nella lirica Pensieri scomposti: “…e sono lì che viaggio dentro/ quegli occhi che affannosi/ negano un senso quasi logico/ a una verità proibita”. Ritroviamo questa atmosfera in altre liriche, ad es. L’alba di un sogno o Sogno di diamante.
Il contrasto che si genera nello spazio del silenzio sembra diventare la chiave per cogliere le articolazioni della voce, quelle tracce sottili in cui carpire l’enigma nascosto dietro le parole che restano in attesa, o che sperimentano una sospensione (ad es. in Ascolto o Incanto).
Lo sguardo della Daffinoti va a cogliere gli elementi più indeterminati del paesaggio. Li descrive, crea una composizione di immagini e di risonanze come un quadro in cui colori, figure e toni si confondono nello specchio della natura (lo si evince, in particolare, nella lirica Viaggio triste). Un componimento emblematico è Il bene e il male. E’ il profumo a generare l’ispirazione (così anche Profumi d’infanzia): mentre il bene si mostra come il fiore che emana il suo intenso odore, il male si nasconde, cresce in modo invisibile. Nel testo si evocano dei fiori topos, come La ginestra o la “siepe” dell’Infinito di Leopardi, La rosa di Borges (o del poeta mistico del XVII sec. Angelo Silesio). Emerge l’immagine che emana un messaggio simbolico: la luce del bene avrà il potere di dissipare le tenebre del male.
Un’altra immagine significativa appare nella poesia La farfalla. Richiama l’Albatros di Baudelaire, simbolo del poeta che vive una condizione di estraneità dalla società borghese, dominata dai processi industriali, dal mercato, dal profitto, dalla mercificazione dei rapporti umani e dei sentimenti, che non riconosce più il ruolo del poeta e della poesia. Ma la farfalla della Daffinoti non è un albatros che in volo diventa l’imperatore dell’azzurro: è fragile, è stanca ed è carica di dolore; per continuare il suo viaggio ha bisogno di riposo. Il tema viene ripreso nella lirica Anima vagabonda in cui presenta il poeta stanco ed errabondo.
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In questo viaggio in un “eden” che la poesia ha il potere di re-incantare, i versi di Antonella Daffinoti si muovono sempre sul filo delle corde emotive. Scorrono multiformi e si stagliano elementi che sono spesso invisibili come ne Il vento. Tra lo sguardo che legge e la natura che si mostra, si crea un rispecchiamento di stati d’animo che la poetessa fotografa per scrutare le profondità inesplorate. La poesia ha la virtù della verità: “Tutto ritorna vero, per un attimo/ ascolto il vento che sussurra/ con un suono magico, eterno/ quel sentimento che/ esiste oltre l’infinito e che, nessun/ tempo/ potrà scalfire… (Per sempre).
Un componimento che contrassegna il messaggio, e quindi la poetica, di questa raccolta è la lirica Inutili parole: di fronte alla desolazione, all’inutilità anche delle parole, improvvisa un’arpa melodiosa trasforma il sentimento il mondo si colora e la penna inizia a scrivere: “…un attimo trasforma il mondo” e “non serve più patire”. È il mistero che domina l’esistenza attraverso il contrasto tra il tempo meccanico e il tempo psicologico, alla luce della riflessione compiuta dal filosofo Henry Bergson, chiamando in causa gli stati di coscienza e la loro incommensurabilità.
Siamo di fronte ad una poesia meditativa, introspettiva, introversa. L’autrice va alla ricerca di segni che possano rivelare la verità della vita. Indugia sulle percezioni interiori che sfuggono alla logica, ma affioranti come un segreto canto.
La condizione dell’uomo contemporaneo post moderno si porta dentro delle tensioni irrisolte, dei labirinti esistenziali, una profonda rottura nel rapporto con il mondo. La poesia è come un radar e il poeta diventa un rabdomante che cattura i segnali e le onde magnetiche, ma fa molta fatica a dispiegare quel filo d’amore per ricreare l’arcana armonia che “vince di mille secoli il silenzio” (Ugo Foscolo, Dei sepolcri). Alla poesia lirica oggi l’arduo compito di ritrovare il perduto canto. Antonella Daffinoti, in questa sua ultima silloge, cerca di farlo scaturire lasciando che sia il soffio, l’ànemos, a far risuonare le corde della sua arpa eolica.
Nicola Rombolà