Questo volume raccoglie i risultati delle ricerche effettuate dalla collaborazione tra Santino Alessandro Cugno, Funzionario Archeologo del Ministero della Cultura e specialista in insediamenti rupestri di epoca medievale, e Rosalba Piserà, archeologa calabrese e disegnatrice, perito esperto in archeologia giudiziaria, entrambi membri del Centro Studi sull’Habitat rupestre di Zungri e della Calabria.
L’area del Monte Poro, in provincia di Vibo Valentia, custodisce una delle più alte concentrazioni di testimonianze rupestri medievali dell’intera Calabria: l’esempio più ragguardevole è sicuramente costituito dalle Grotte degli “Sbariati” di Zungri, un villaggio rurale nato verosimilmente come uno dei casali di pertinenza dell’importante centro di Mesiano, fondazione bizantina nel cui territorio si sviluppa una forma insediativa molto particolare quale quella rupestre. La più antica testimonianza scritta, che attesta l’esistenza di un centro abitato denominato Zungri, risale al 1310: nelle Rationes decimarum, infatti, apprendiamo che un «Presbiter Nicolaus Cappellanus Ecclesie S. Nicolai de Zungri pro secunda decima solvit tar. II».
Il villaggio rupestre di Zungri è noto a livello locale anche come Grotte degli “Sbariati” ed è situato nel versante sud-orientale del colle, dove sorge il moderno centro urbano, su un ampio costone roccioso in una località denominata Fossi, a breve distanza dal tratto della Via Popilia (ab Regio ad Capuam) che collega le pianure di S. Eufemia e di Gioia Tauro. L’area insediativa occupa una superficie di circa 3000 mq ed emerge con un crinale molto ripido sui cui terrazzamenti si distribuiscono circa 40 unità ad uno o più vani, di diverse dimensioni e forma. Esse comprendono abitazioni prevalentemente monolocali (alcune a più piani), impianti produttivi (palmenti, apiari, calcare, ecc), ambienti destinati all’allevamento degli animali, depositi e/o magazzini, sistemi di vasche e canalizzazioni per l’approvvigionamento idrico.
I recenti studi di carattere archeologico e topografico, editi nel 2021, hanno permesso di censire e analizzare in dettaglio 28 unità rupestri, che mostrano chiaramente le tracce di un continuo reimpiego nel corso del tempo, che ha alterato profondamente la loro fisionomia originaria e ha distrutto i depositi stratigrafici più antichi, mediante la pulitura costante dei piani di calpestio. Per quanto riguarda l’articolato impianto di sfruttamento delle risorse idriche, costituito da vasche a cielo aperto e canalette connesse tra di loro, viene proposto un uso articolato tra la vita quotidiana dell’insediamento e le sue attività produttive, in modo particolare quelle ove era necessaria una elevata disponibilità d’acqua (come, ad esempio, la concia delle pelli, la frollatura del lino o della canapa, la lavorazione della fibra di ginestra, la tintura della lana).
Degna di nota è la diffusa presenza di enormi silos per lo stoccaggio dei cereali, scavati nella nuda roccia e di diversa forma e tipologia (a campana, a sacco, ecc), che sembrano rimandare all’età bizantina o addirittura ad una cronologia più antica. Di conseguenza, in epoca greca e/o bizantina, questo sperone roccioso doveva essere un immenso deposito collettivo per le granaglie, che si producevano nella zona del Poro; soltanto in un secondo momento, probabilmente in una fase inoltrata del Medioevo, quando l’esigenza di concentrare la raccolta del grano venne meno, Zungri prese forma come abitato “strutturato” vero e proprio. La maggior parte delle unità rupestri testimonia, ancora in tempi molto recenti, il parziale riutilizzo come ripari per gli animali, magazzini e cantine, conglobati in abitazioni preesistenti, oppure come rifugio antiaereo durante la Seconda Guerra Mondiale. Frequenti e visibili sono gli interventi di riadattamento alle varie esigenze che le escavazioni hanno subìto nei secoli, soprattutto in corrispondenza degli interni e degli ingressi, con integrazioni di murature e scale in legno.
Santino Alessandro Cugno, Rosalba Piserà
Questo libro rappresenta, per Zungri, un traguardo eccezionale che aprirà, sicuramente, la strada ad ulteriori studi e, auspicabilmente, alla ripresa degli scavi archeologici nell’abitato rupestre, consapevoli che solamente serie indagini scientifiche potranno colmare i tanti interrogativi a cui, fino ad oggi, non si sono potute dare delle risposte.
Fin da subito, il dott. Cugno, ha mostrato grandissimo interesse per le Grotte, spinto dalla sua grande passione verso i siti rupestri, dimostrata ampiamente nei suoi vari studi siciliani e non solo. Grande conoscitore della materia, ha saputo, insieme alla dottoressa Piserà, che già aveva affrontato lo studio sulle Grotte scegliendolo come tema per la sua tesi di laurea con la prof. Coscarella, coglierne tutti gli aspetti e riunire il vario e frammentario materiale a disposizione in un unico testo, ampliandolo con ricerche ed approfondimenti.
Avere a disposizione un testo che rielabori quanto di certo esiste sulle Grotte di Zungri, alla luce della nuova immagine che ora il sito rupestre riveste grazie al grandissimo lavoro svolto dall’attuale amministrazione guidata dal sindaco arch. Francesco Galati e dalla direzione del museo, significa avere la consapevolezza che siamo difronte ad un sito di notevole importanza storica ed archeologica per l’intero territorio, come già nel 1983 il prof. Achille Solano aveva preannunciato. Tanto si è fatto da allora ma tanto si deve ancora fare. Il libro dimostra il ruolo che le Grotte di Zungri rivestono, scientificamente, nel panorama degli insediamenti rupestri non solo calabresi, e di come questo alto valore abbia condizionato anche l’afflusso turistico, rivestendo enorme importanza nel panorama delle eccellenze della Calabria. Un sito che deve essere amato, preservato, tutelato.
Maria Caterina Pietropaolo
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