Libro don Giuseppe Furchì – cap. 4-5-6-7

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Don Giuseppe Furchì

Omaggio a don Giuseppe a dieci anni dalla morte.

Capitoli 4-5-6-7 del libro:

“Don Giuseppe Furchì: il suo cammino terreno” di Pasquale Vallone

(Thoth Edizioni di Mario Vallone -2012)

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  • LA VOCAZIONE

Il piccolo Giuseppe aveva una forte inclinazione naturale, una predisposizione spirituale e morale intesa come scopo della vita verso la Chiesa.

Col passare del tempo e con l’avviarsi  alla fanciullezza, cresceva in lui e si manifestava sempre più forte un impulso interiore che lo spingeva a dedicarsi alla vita religiosa e al sacerdozio.

Sin da bambino, diceva ai suoi genitori e ai suoi fratelli che voleva fare il prete, e i familiari accettarono da subito questo suo desiderio e questa sua aspirazione.

Desiderava, nel suo animo, comunicare con Dio per presentargli il sacrificio di Cristo (rinnovato nella Messa) quale mezzo per ottenere la salvezza eterna di sé e degli uomini.

Si sentiva come misteriosamente chiamato a dedicarsi all’esercizio di una missione. Si estasiava nella preghiera e nella meditazione con entusiasmo interiore e avvertiva, dentro di sé, un forte spirito sacerdotale.

Erano periodi pieni di pace interiore e di speranza per avere deciso, nella propria coscienza, di rispondere alla chiamata di Cristo.

Non è stato certo “folgorato sulla via di Damasco” perché la sua vocazione forse è nata con lui, geneticamente, nel suo animo e lentamente ha preso coscienza e forma.

Egli ebbe, dunque, la vocazione al sacerdozio da bambino, visse la sua fanciullezza nella speranza di essere chiamato dal Signore e con immenso gaudio ha risposto a quella chiamata.

Quel mite e virtuoso ragazzo, figlio di brava gente, fu educato agli ideali di bontà e di pietà.

Ha saputo far dialogare la realtà con il suo sogno, che in termini di fede si chiama: vocazione!

  • GLI STUDI     NEL     SEMINARIO

Don Domenico De Vita (9 maggio 1918 / 9 febbraio 1970), parroco del SS. Rosario,  si interessò per farlo entrare nel seminario.

Giuseppe fece gli studi nel Seminario Minore Vescovile di Tropea dal 1951 e fino al conseguimento del diploma di terza media.

Il seminario (dal latino seminarium: vivaio) è, da sempre, l’istituto per la formazione dei futuri sacerdoti.

E’ una istituzione educativo – culturale per i giovani avviati al sacerdozio. I seminari erano concepiti come collegi per i chierici, specialmente per i poveri, e la loro istituzione risale alle scuole monastiche, canonicali e vescovili di epoca medievale.

Facciamo una sintetica parentesi storica sul concilio di Trento perché è stato uno dei più lunghi, importanti, tormentati e basilari nella storia della Chiesa.

Il Concilio di Trento, 19° Concilio Ecumenico, si aprì il 13 dicembre 1545 e si concluse il 6 dicembre 1563. Si fece per iniziativa di Papa Paolo III, al secolo Alessandro Farnese, 217° papa (1534-1549).  Le prime sessioni furono dedicate a problemi dottrinali. Nel marzo del 1547 il concilio venne trasferito a Bologna dove si discusse sui sacramenti  e sugli errori dei Riformati senza, però, emanare decreti. L’imperatore Carlo V (1500 Gand – 1558 Yuste) invogliò i Luterani a disertare la sede  di Bologna e partecipare al concilio solo qualora si fosse tenuto nella sede originale di Trento. La scelta della città di Trento come sede non era solo una questione di principio e di puntiglio, ma aveva una funzione ben precisa. Essa era infatti vicina al mondo tedesco e la Chiesa voleva compiere un estremo tentativo per rimarginare le ferite aperte dalla Riforma. Paolo III interruppe i lavori. Il concilio fu riaperto a Trento nel 1551 per iniziativa del nuovo pontefice Giulio III, al secolo Giovanni Maria Ciocchi del Monte, 218° papa (1550 – 1555). Si riaprì il dialogo con i Riformati.  Alla morte di Giulio III  fu eletto al soglio pontificio Marcello II, al secolo Marcello Cervini, 219° papa (1555).   Il nuovo papa, dopo soli  20 giorni,  morì.  Allora fu eletto  Paolo IV, al secolo Gianpietro Carafa, 220° papa (1555 – 1559).  Costui perseguitò i sostenitori del dialogo con i Riformati e venne meno ogni speranza di riunificazione della cristianità d’Occidente. Successivamente ci fu l’elezione al soglio pontificio di Pio IV, al secolo Giovannangelo Medici, 221° Papa (1559 – 1565).  Pio IV nominò Cardinale e Segretario di Stato, il nipote  Carlo Borromeo, di 22 anni, figlio della sorella Margherita, allo scopo di avere accanto un uomo di fiducia, austero anche se amante della vita lussuosa.  Si ebbe con Pio IV e Carlo Borromeo nella storia della Chiesa, uno dei rari casi o forse l’unico, in cui il  “nepotismo“ , piaga inestirpabile dell’istituzione papale, servì provvidenzialmente alla Fede e alla Chiesa. Con Pio IV le speranze di una riapertura del concilio aumentarono e, anche su pressione dei vescovi francesi, che fino a quel momento erano stati assenti, e di Carlo Borromeo, arcivescovo di Milano, i lavori furono ripresi nel 1562, sotto la presidenza del cardinale Morone. Giovanni Morone (1509 Milano – 1580 Roma) fu vescovo di Modena (1529) e cardinale (1542). Nel 1557 fu fatto arrestare da Paolo IV  sotto l’accusa di eresia ma fu riabilitato  da  Pio IV che gli diede l’incarico di presiedere l’ultima sessione del concilio.

Nella sessione XXIII, cap. 18, luglio 1563,  il concilio di Trento rese i seminari obbligatori in ogni diocesi per contrastare il dilagare del protestantesimo, contrapponendovi una migliore formazione sacerdotale. Dovevano, pertanto, assicurare la formazione ascetica, quella culturale e quella pratico-pastorale dei chierici aspiranti al sacerdozio, in un ambiente raccolto e chiuso, ad opera di personale idoneo per dignità ed esempio di vita, cultura umanistica e sacra, zelo pastorale, sotto il controllo del vescovo della diocesi.

I seminari furono meglio organizzati da San Carlo Borromeo (1538, Arona – 1584, Milano). Dopo il Concilio di Trento, secondo la tendenza accentratrice del cattolicesimo, i seminari furono sottoposti al controllo del Papa attraverso una apposita congregazione istituita nel 1588 dal papa Sisto V, al secolo Felice Peretti:  224° Papa (1585 –  1590).

Il Concordato (Patti Lateranensi del 1929) riconosce la dipendenza dei seminari dalla sola autorità ecclesiastica.

Il Seminario Minore è quello in cui studiano i seminaristi più giovani (scuole medie).

Poi Giuseppe proseguì gli studi nel Seminario Maggiore di Reggio Calabria, il Pontificio Seminario Pio XI.

Amava ricordare che nel seminario di Reggio si mangiava spesso riso e lui si era talmente  stufato che a casa, istintivamente, lo rifiutava, ma quelle volte che lo mangiava,  paragonandolo a quello del seminario, riconosceva che, quello cucinato dalla cara mamma, era certamente migliore e appetibile.

Il Seminario Maggiore è quello riservato ai candidati al sacerdozio già dediti agli studi filosofici e teologici.

Giuseppe concluse gli studi nella facoltà Teologica San Luigi di Posillipo, via Petrarca n° 115, alunno del gesuita padre Raner,  che fu tradotto nella scuola da padre Alfredo Marranzini.

  • PRIMA DEL     SACERDOZIO

Il 23 dicembre 1961, a Napoli, fu chierico al Pontificio Seminario Campano.

I diritti e i doveri spettanti ai chierici sono stabiliti dal diritto canonico. A loro è dovuto l’ossequio da parte dei fedeli e hanno diritti di precedenza e di distinzione di fronte ai laici. I chierici godono, inoltre, di particolari privilegi: privilegio del foro  per cui, in tutte le cause, devono essere, di regola, giudicati dai tribunali ecclesiastici; privilegio del canone:  è una speciale tutela penale a difesa della persona, per cui ad offendere un chierico si commette sacrilegio; privilegio dell’immunità, comporta l’esenzione dal servizio militare e da incarichi e uffici pubblici contrari allo spirito dello stato clericale; privilegio della competenza per cui ai chierici, obbligati a prestazioni pecuniarie, non può essere tolto dai creditori il minimo necessario al loro decoroso mantenimento.

I diritti  per i chierici comprendono: il rispetto e l’obbedienza verso il vescovo, la frequenza dei sacramenti, l’obbligo di conservare la castità.

Il 22 agosto 1962,  divenne Ostiario Lettore al santuario di Monte Poro, consacrato alla Madonna del Carmelo.

Ostiario (dal latino ostiarium da ostium: porta) è quel chierico che ha ricevuto l’Ostiariato.

L’Ostiariato veniva conferito ai chierici che aspiravano al sacerdozio e l’Ostiario aveva l’incombenza (oggi passata al sagrestano) di aprire e chiudere la porta della chiesa e di suonare le campane. L’Ostiariato era il primo degli ordini sacri minori.

Poi c’era il Lettorato con il compito di leggere la parola di Dio nelle assemblee liturgiche, guidare il canto del popolo, leggere le intenzioni della preghiera universale. Oggi il lettorato può essere conferito a un laico.

Tra gli ordini minori c’era l’Esorcistato (il terzo) e poi il quarto ordine minore che era l’Accolitato. L’Accolito (dal greco akòlythos: compagno di viaggio) è il religioso o laico cui è conferito il ministero di aiutare il sacerdote nella celebrazione della messa.

Il riordinamento della disciplina canonica in merito agli ordini religiosi, emerso negli Atti del Concilio Vaticano II,  è sfociato nel “motu proprio” di Paolo VI, 259° Papa (1963 – 1978), al secolo Giovanni Battista Montini, col decreto Ministeria Quaedam  del 15 agosto 1972, nel quale fu eliminata la tonsura che consisteva nel taglio dei capelli a cui veniva sottoposto chi abbracciava la vita ecclesiastica o monacale, come atto simbolico di rinuncia al mondo; e si stabilì che lo stato clericale iniziava col Diaconato.

Pertanto,  gli ordini minori ridotti a due (Lettorato e Accolitato) hanno assunto la denominazione di “ministeri” non più riservati ai candidati al sacramento dell’ordine, ma potevano essere conferiti anche a laici di sesso maschile. Don Giuseppe, il 1 novembre 1964, fu Suddiacono al Seminario Campano. Il Suddiacono, fino al 1972, era l’aspirante al sacerdozio che aveva ricevuto il primo degli ordini sacri maggiori, cioè il Suddiaconato. Al momento del suo conferimento, il chierico faceva voto di castità e si impegnava alla recita quotidiana del breviario, il libro liturgico contenente l’intero ufficio divino. La mansione principale del chierico, insignito del Suddiaconato, era il servizio all’altare durante la celebrazione solenne della messa (canto dell’epistola, versamento dell’acqua nel calice, ecc.).

Il 19 dicembre 1964 fu diacono a Napoli. Il diacono (dal greco diàkono: servo, ministro) è colui che ha ricevuto l’ordine sacro del Diaconato.

I primi diaconi (erano sette) furono istituiti dagli apostoli come aiuto nelle loro opere assistenziali, e subito si diedero alla predicazione.

Il ruolo del diacono raggiunse un alto livello verso il III secolo, quando ci fu la crisi dell’impero romano e la Chiesa ebbe funzioni di supplenza sul piano sociale ed economico. I diaconi divennero intimi collaboratori dei vescovi.

Il Concilio Vaticano II ha decretato la possibilità di un diaconato permanente. Paolo VI,  nel 1967, aderendo alla proposta del Concilio Vaticano II,  ha ricostituito il diaconato permanente e stabilì la possibilità di conferirlo anche a uomini sposati, a particolari condizioni in linea con le direttive del Concilio.

Il diacono veste la dalmatica che è la veste liturgica indossata sopra il camice, lunga fino alle ginocchia e con le maniche larghe che oltrepassano di poco il gomito, o la stola, amministra il battesimo, distribuisce l’eucaristia, benedice i matrimoni, celebra le esequie, attende alla catechesi e alle predicazioni.

 

  • IL SACERDOZIO

Il 4 settembre 1965,  ricevette la sacra ordinazione sacerdotale da Monsignor Renato Luisi, vescovo di Nicastro, perché all’epoca, la diocesi di Mileto – Tropea –  Nicotera era vacante e la reggeva, come Amministratore Apostolico, appunto Monsignor Luisi.  L’ordinazione sacerdotale è un  evento che rimane indelebile perché conclude una via e ne apre un’altra.

In Giuseppe chiuse una vita di attesa e di speranza, ed egli vide realizzato il sogno tanto agognato: essere chiamato a servire il Signore e adoperarsi per dare un significato cristiano a questa nostra fugace esistenza terrena.

La nuova vita iniziata fu quella di rispondere, coscientemente, alla chiamata del Signore e di impegnarsi con zelo, con umiltà e sacrificio, quale uomo del popolo scelto da Dio per essere messo al servizio del popolo, a servire il Signore in questo breve passaggio terreno. Impegnare tutte le proprie forze, nei momenti belli e brutti della vita, a servire il Signore con fede, umiltà e amore cristiano per essere degno di stare vicino a Lui nell’Eternità.

Il 5 settembre 1961,  celebrò la sua prima Santa Messa nella cattedrale di Tropea. Non è stato un debutto, ma è stata la prima apparizione del “sacerdote” don Giuseppe tra la gente, è stato l’inizio di una attività non professionale, ma sacerdotale. E’ stata la prima comparsa di un ministro del Signore al servizio del prossimo, cioè degli altri, cioè di Dio.

Era mortificato perché il fratello Pasquale gli aveva fatto sapere che non sarebbe potuto essere presente perché il comandante gli aveva negato la licenza: era nella Guardia di Finanza a Trieste. Don Giuseppe scrisse una appassionata lettera a quel comandante e così il fratello ebbe cinque giorni di licenza.

Erano presenti i suoi cari genitori, i suoi fratelli, i parenti, gli amici e tanta gente.  Una grande partecipazione non per curiosità, ma per godere e condividere la gioia di don Giuseppe ed essere partecipi ad un “matrimonio”, quello di un giovane sacerdote con l’apostolato, con l’attività fervida nella diffusione della fede.

Egli invitava tutti a partecipare a questo suo giorno di festa che segnava l’inizio di una attività intensa, appassionata e calorosa nella diffusione della fede e dell’amore cristiano.

Don Giuseppe mi diceva, a proposito del sentimento provato quel giorno,  che “non c’è cosa più bella che consacrare la propria vita a Colui che ce l’ha data!”.

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