Mietitura e trebbiatura

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“Il recupero della Memoria” – Pasquale Vallone 2008 (vai al precedente post sull’argomento)

Cap. 1.1 – RITRATTO DI VITA DELLA CIVILTA’ CONTADINA A BRATTIRO’

Mietitura e trebbiatura

Verso la fine di maggio si mieteva l’orzo. A giugno il grano.

Era un duro lavoro, sotto il sole cocente, da mattina a sera; lavoro che i contadini praticavano con la falce (cuzzuni).

Il grano era composto in mannelle (jermiti) ben legate. Poi 4 o 5 “jermiti” erano legate assieme a formare una mannella più grande (gregna). Queste venivano portate col carro nell’aia e ammonticchiate a forma di pila, rientrante all’apice in modo uniforme a mò di cono capovolto, con l’apice disposto superiormente (timogna).

I contadini che erano più adatti, o se vogliamo, più abili alla costruzione della “timogna” erano molto ricercati perché in caso di pioggia, se la timogna era ben fatta, l’acqua non filtrava e scivolava via, per cui il grano restava asciutto e non si ammuffiva.

Nelle aie sorgevano “timogne” belle e perfette, grandi e piccole, fino alla trebbiatura.

Prima della comparsa della trebbiatrice, il grano nell’aia veniva liberato dal proprio involucro per mezzo della battitura delle spighe col correggiato (curramu). Questo era formato da due bastoni uguali per grossezza e lunghezza, uniti tra loro da una correggia con la quale si battevano le spighe.

Poi arrivò la trebbiatrice. La trebbiatrice era costituita da tre macchine collegate con delle cinghie. Una di queste macchine era il motore, di colore nero, alimentato a nafta, che una cinghia collegava alla macchina centrale, la trebbia. In questa macchina l’organo operativo più importante era un cilindro dentato, il battitore, contornato da una griglia, pure dentata, il controbattitore, la cui azione combinata di compressione e sfregamento determinava la separazione dei chicchi di grano dall’involucro.

Da un lato cadevano, direttamente in un sacco, i chicchi di grano e dall’altra la paglia che un’altra macchina, ad essa collegata con cinghie, lo scuotipaglia (mballapaggia), comprimeva in balle legate da fili di ferro collegate appositamente, poi, da un operaio.

Anche per il mais, prima dell’avvento delle macchine, si usava liberare i chicchi, dall’involucro cui erano attaccati, con il correggiato (curramu).

Poi si arrivò alla sgranatrice, macchina ad azionamento meccanico fatta per sgranare, ossia per togliere i grani dal loro alveolo, le pannocchie di mais. Il tipo più comune constava di un cilindro battitore provvisto di denti di diversa lunghezza, rotanti a velocità elevata all’interno di un controbattitore in lamiera forata. I denti rotanti del primo cilindro sgranavano le pannocchie, i tutoli (marozzula) cadevano da un lato, e la granella cadeva in un cassone dove un getto d’aria la puliva dalla pula e dalla polvere. I tutoli venivano usati come combustibile.

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