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“Superfish” di F. Costa (inedito) – Cap.2

Fortunato Costa

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Il dott. Fortunato Costa

Il secondo capitolo del libro “Superfish” di Fortunato Costa (Mario Vallone Editore)

(CLICCA QUI PER INIZIARE LA LETTURA DAL PRIMO CAPITOLO)

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Capitolo 2

Due colpi di clacson.

“Ciao mamma, vado all’ospedale. Non aspettarmi per cena, non so quando torno. Spero proprio di portarti buone notizie.”

“Ti lascio qualcosa sul tavolo della cucina, casomai avessi fame quando torni. In bocca al lupo; fammi sapere” disse la signora Di Costanzo con il tono premuroso che solo le mamme possono avere.

“Hai fatto in fretta, Evelyn. Grazie per il passaggio” disse Nicola entrando in auto e chiudendo la portiera.

“Figurati Nico. Non me lo dai un bacetto?”

“Certo” disse Nicola abbracciando la ragazza e stampandole un bacio sulla guancia.

“Ti odio!”

La Smart partì di colpo sgommando.

L’ospedale era semideserto a quell’ora di sera. Solo la sala del Pronto Soccorso era gremita di pazienti in attesa di essere visitati. Routine.

Eros era nelle stesse condizioni in cui l’avevano lasciato quella mattina. Il letto era stato rifatto e la sacca sostituita. I monitor continuavano il loro lavoro paziente rilevando con precisione i parametri vitali di Eros che, ignaro di tutto, respirava ancora a fatica.

Nicola disse a Caterina di andare a casa per riposare un po’; ci avrebbe pensato lui a tenere compagnia all’amico.

Le due ragazze si allontanarono lasciandolo solo con i suoi pensieri accanto al letto. Prese una sedia e si accomodò.

Dopo circa un’ora le dita della mano destra di Eros cominciarono a muoversi a scatti. Dietro le palpebre i globi oculari presero a muoversi rapidamente; forse si sarebbe risvegliato a breve. Forse. Speriamo, pensò Nicola.

Tentò nuovamente di ottenere una risposta dall’amico chiamandolo per nome, chiedendogli se avesse bisogno di qualcosa, raccontandogli le prime stupidate che gli venivano in mente pur di stimolarne i sensi in qualche modo.

Si addormentò senza rendersene conto e dormì profondamente facendo brutti sogni.

Il mattino seguente fu svegliato dal medico del giorno prima che prendeva servizio.

“Nicola, svegliati. Sono io, Mimmo. Sei stato tutta la notte su questa sedia. Non vuoi andare a casa?”

“No…no, grazie. Ieri sera ha mosso le dita, l’ho visto. E muoveva i bulbi oculari rapidamente. Cosa vorrà dire?”

“Stava sognando, sicuramente. Ora lo visito. Per prima cosa vorrei fargli un accurato esame neurologico. Rimani pure se vuoi assistere.”

Il medico esaminò per prima cosa gli occhi; sollevò le palpebre e provò ad illuminare a tratti le pupille che rimasero dilatate, in midriasi, anche se un minimo di reazione era comunque presente. Toccò la cornea con un batuffolo di cotone idrofilo ma da entrambe le parti non si verificò la chiusura palpebrale.

Poi valutò il tono muscolare di braccia e gambe constatando che un certo rilassamento era presente ovunque. La valutazione dei riflessi osteotendinei non diede migliori risultati. Il punzecchiamento di vari punti corporei con l’ago del martelletto non suscitò reazioni.

L’attenta valutazione dei parametri vitali portò il medico alla considerazione del fatto che il paziente permaneva in uno stato di incoscienza e con segni evidenti di shock tossico.

“Il tempo è galantuomo. Bisogna aver pazienza in questi casi. Eros è giovane e sono convinto che ce la farà. Vedrai che si sveglierà e tutto finirà solo con un brutto ricordo. Io vado nel mio studio per aggiornare il diario clinico e modificare la terapia. E poi ci sono altri pazienti di cui occuparsi. Se hai bisogno di me sai dove sono. A dopo…”

Era lunedì e Nicola avrebbe dovuto presentarsi al lavoro; non aveva avuto il tempo e la testa di avvisare della sua assenza. Prese lo smartphone dalla tasca della giacca e si accorse che era ormai scarico. Accidenti! Gli era proprio passato di mente che doveva ricaricarlo.

Uscì dal reparto di Terapia Intensiva per andare a prendere un caffè ma prima fece un salto in bagno per sciacquarsi almeno la faccia ed assolvere i suoi bisogni fisiologici.

“Ciao Nico. Come sta Eros? Si è svegliato?” Evelyn era in piedi davanti a lui con un’aria imbronciata ed al contempo preoccupata. Il vestito di stoffa leggera con un motivo floreale dai colori sgargianti disegnava curve perfette sul suo fisico statuario. La gonna corta metteva in evidenza due gambe perfette, i tacchi alti la facevano sembrare ancora più slanciata. Era uno schianto. Nicola ebbe un sussulto nel vederla e dovette ammettere che gli piaceva proprio tanto.

“No, Evelyn. Non si è svegliato ancora. Il medico l’ha visitato ma non è cambiato nulla dall’ultima volta che l’ho visto. Tu come stai? Come sei bella stamattina…”

“Che ti è successo stanotte? Come mai mi fai un complimento? Pensavo di esserti indifferente.”

“Non è come sembra, cioè come pensi…insomma: mi piaci, va bene?”

“Pensavo che le donne non ti interessassero. Presenti dei miglioramenti, non c’è che dire. Hai fatto colazione? Vuoi che vada a prenderti qualcosa al bar?” disse Evelyn infilandosi sotto il suo braccio e guardandolo negli occhi con fare un po’ malizioso.

“Ehm, ho mangiato qualcosa e bevuto un caffè, grazie. Ma se vuoi qualcosa posso accompagnarti. A proposito: mi presti lo smartphone? Il mio è defunto questa notte. Ho dimenticato di metterlo sotto carica ieri…”

Evelyn gli porse il telefono e lui compose il numero della Stazione Biologica. Dopo una lunga attesa cominciò a parlare con qualcuno spiegandogli la situazione in breve; poi chiuse la comunicazione e rese

il telefono cellulare ad Evelyn che nel frattempo era rimasta a guardarlo.

“Eccovi!” Caterina salutò i due con un bacio e, dopo aver chiesto notizie su Eros, si avviò verso l’ascensore per raggiungere il terzo piano.

“Andiamo anche noi. Vieni” disse Nicola prendendo la mano di Evelyn.

Riuscirono ad infilarsi tra le porte dell’ascensore giusto un attimo prima che si richiudessero, beccandosi un’occhiataccia da una signora anziana che aveva una borsa della spesa bella piena di chissà cosa.

“Resta ancora un poco, se vuoi, ma poi devi andare a casa a riposare Nico. Mi sono spiegata?” disse Caterina con tono materno.

“Oh, per riposare c’è tempo, non preoccuparti. Ho preso una settimana di ferie e sono libero da impegni. Ora c’è bisogno di me qui” disse Nicola che aveva ancora la mano di Evelyn stretta nella sua.

Caterina sorrise nello scorgere questo particolare; ma poi le vennero le lacrime agli occhi probabilmente pensando ad Eros ed alle sue condizioni al momento presente.

Si avvicinarono al letto speranzosi. Eros era stato mobilizzato per cambiargli posizione e nel vederlo girato verso di loro ebbero un sussulto.

Caterina sedette sulla sedia su cui aveva dormito Nicola e questi rimase in piedi con Evelyn incollata al suo braccio.

“Tra mezz’ora c’è il giro del primario; sarebbe meglio non vi trovasse qui” disse a bassa voce un’infermiera che si dileguò altrettanto velocemente di come era comparsa.

“Cateina…”

Eros aprì gli occhi e li guardò senza vederli.

“Cateina…Dove scei? Dove sciono? Che è sciuccesso?”

Eros fece per strapparsi il respiratore dalla faccia e Nicola fece appena in tempo a bloccargli la mano.

“Eros, amore, sono qui! Finalmente!”

“Ho sognao che Nico eria qui e mi pailava. Mi iaccontava un sciacco di sciocchesse…”

“Non stavi sognando, amico mio. Allora potevi sentirmi!”

“Ma dove sciono? Che mi aete attaccato alla faccia? E quesci fili? Mi fa mae il pisciello…”

I tre scoppiarono a ridere tutti insieme, più per il calo della forte tensione che per l’osservazione. Eros parlava in modo strano, sia per il respiratore che per la scarsa funzionalità dei muscoli della fonazione.

“Ti hanno messo un catetere, ecco perché ti fa male. Ora devi fare il bravo ed avere pazienza. Non strapparti niente, non servirebbe perché ti rimetterebbero tutto daccapo. Dio mio, che sollievo vederti sveglio. Non credevo di volerti tanto bene!” disse Nicola bloccando anche l’altra mano dell’amico che si muoveva in tutte le direzioni mettendo pericolosamente

a rischio catetere e cannula.

Evelyn corse ad avvisare il medico che arrivò subito.

“Ti sei svegliato, finalmente! Ci hai fatto prendere una strizza! Allora: come va? Come ti senti? Ti ricordi come ti chiami?”

“Mi chiamo Erosc Chiaioni. E tu chi scei?”

“Sono il dottor Vecchio, sono io che ti ho preso in cura. Sono tre giorni che sei qui in Ospedale e sei rimasto in stato comatoso fino a cinque minuti fa. Bentornato tra noi!”

“Che cos’è questo comizio? Adesso ci mettiamo a fare assemblea anche in reparto? Fuori tutti!”

Il primario stava sbraitando evidentemente irritato per la presenza dei tre giovani accanto al letto di Eros.

I tre si dileguarono chiedendo scusa per l’intrusione ma era per un caso eccezionale che si trovavano in reparto in quel momento.

“Tornate negli orari consentiti! Ho fatto appendere cartelli dappertutto! Siete incorreggibili: non cambierà mai questo paese! Imparate a rispettare le regole, porco mondo!”

Evelyn stava quasi per rispondere per le rime ma Nicola la tirò per un braccio onde smorzarne la bellicosità.

“Non ha tutti i torti, in fin dei conti. Eravamo in reparto fuori orario visite.

Vedi: è scritto bello chiaro e tondo su quel cartello: Orario visite degenti, dal lunedì al sabato ore 12,00-14,00 e 18,00-19,00.

Se tutti facessero come noi qui diventerebbe in breve il mercato del sabato. Andiamo al bar: dobbiamo festeggiare. Telefona subito ai tuoi genitori, Evelyn, e dagli la buona notizia che Eros si è risvegliato. Non ci posso ancora credere!”

Caterina era al settimo cielo, non riusciva a smettere di sorridere a tutto e a tutti. Quando Evelyn chiuse la chiamata Nicola si riappropriò dello smartphone e telefonò a sua madre per comunicarle la buona notizia.

Si trattennero al bar per diverso tempo, intrecciando conversazioni varie con altri parenti di persone ricoverate per questo o quell’altro problema.

Come al solito dovettero riconoscere che c’è sempre qualcuno che sta peggio quando vieni a conoscenza delle problematiche altrui.

Mangiarono un panino e bevvero una coca cola seguiti da un caffè.

Quando fu mezzogiorno tornarono in reparto per non creare disagio al personale che era stato tanto gentile con loro in precedenza.

Trovarono i genitori di Eros fuori della porta del reparto e tutti si abbracciarono felici; poi entrarono a gruppi con gli altri parenti ed amici giunti a sincerarsi delle condizioni del ragazzo ricoverato.

Eros era sveglio e si guardava intorno con una certa sorpresa. Era evidente che non avesse ancora messo a fuoco il fatto di essere stato in fin di vita e si domandava il perché di tutta quella gente che gli stava attorno.

Quando scorse Nicola disse: “Hai viscio il pesce paglia?”

“No, non l’ho visto. Ma di questo parleremo quando starai bene. Ora devi riposare e recuperare le forze. C’è tempo, c’è tempo…”

Il giorno seguente Eros fu dichiarato fuori pericolo e gli venne rimosso il ventilatore meccanico, il catetere vescicale e fu scollegato dal rilevatore dei parametri vitali.

In capo ad altri due giorni la terapia infusionale venne sostituita dalla terapia orale e fu in grado di alzarsi per andare in bagno accompagnato sottobraccio da qualcuno.

“Non vedo l’ora di farmi una bella doccia ed una bella nuotata!”

Nicola era presente il più possibile durante gli orari di visita e, talvolta, anche quando il primario non era nelle vicinanze. L’infermiera più giovane e carina del reparto gli passava le informazioni sottobanco per evitare di incontrare “quel burbero del primario”, come lei lo definiva, mentre Evelyn la guardava con aria feroce.

“E’ una scusa per avvicinarsi a te, Nico. E’ una smorfiosa, ammettilo: ma io vi trucido entrambi!” gli disse tra il serio ed il faceto subito dopo che l’infermiera gli aveva suggerito che quel pomeriggio il primario sarebbe stato impegnato altrove per un congresso e c’era via libera.

“Tu hai bevuto, Evelyn. Lei ci fa un grosso favore e reagisci come una vipera. Sei gelosa per caso?”

“Sono gelosa solo se è il caso di esserlo e questo mi sembra il caso. E tu non darle corda: ti ho visto quando le sorridi con 46 denti” disse la ragazza mentre accompagnava Nicola a casa guidando nervosamente la piccola utilitaria.

“Ne ho solo trentuno di denti; uno l’ho già perso per una brutta carie.

E poi le sorrido perché è gentile oltre che carina e professionalmente capace!” disse Nicola per stuzzicarla.

“Per fortuna che Eros viene dimesso domani…altrimenti l’avrei strozzata!”

“Eh, mamma mia! Calmati, ma chi sei Minerva, la dea della guerra!”

“Tu continua a scherzare e ti farai la strada a piedi fino a casa. Stasera mi inviti a cena? Qui devo fare sempre tutto io…”

“Vada per la cena. Passa a prendermi alle 20,00.”

Quella sera Nicola si fece trovare con un mazzo di rose che mise tutto a posto. Evelyn era bella più del solito.

Il giovedì Eros fu dimesso. Era dimagrito, smunto, molto debole e camminava a fatica. La respirazione era ritornata quasi ai livelli normali e presentava ancora qualche disturbo dell’eloquio. Inoltre si lamentava della vista: la luce gli dava fastidio e fu costretto ad indossare degli occhiali da sole per arginare la fotofobia. Anche la deglutizione presentava qualche problema ma si sperava che presto si sarebbe normalizzato tutto.

Quando giunsero a casa Caroni trovarono una bella sorpresa ad attenderli.

I vicini avevano organizzato in giardino una festa di bentornato per Eros, nato e cresciuto in quel posto e benvoluto da tutti.

Tutti si congratularono con Eros ed i suoi parenti per la guarigione insperata giunta in così poco tempo, viste le premesse; spuntarono anche dei regalini inattesi. Caterina ed Evelyn fecero capire con i dovuti modi agli amici che Eros non era ancora in condizioni tali da far festa e gentilmente salutarono i presenti ristabilendo un po’ di pace e tranquillità.

Mentre Valentina, la madre di Eros ed Evelyn, preparava qualcosa di veloce da mettere sotto i denti, i ragazzi sedettero in giardino a contemplare il mare, calmo e solcato da numerose imbarcazioni da diporto sempre presenti nella bella stagione.

“Adesso potresti raccontarci cosa è successo, se ti va” propose Nicola guardando l’amico i cui occhi erano invisibili dietro le lenti scurissime degli occhiali.

“Se non ricordo male stavo facendo una nuotatina nello specchio di mare antistante la spiaggia di Grotticelle. Mi sono diretto verso Capo Vaticano ed ero intenzionato a raggiungere a nuoto lo scoglio Mantineo ma le imbarcazioni passavano veloci e mi hanno fatto paura, anche perché stupidamente non avevo con me la boa di segnalazione, e così mi sono messo a curiosare tra gli scogli lungo la costa. Ho visto anche un vermocane, sai? Era lungo quasi 30 centimetri ed era adagiato su di uno scoglio ad 1 metro di profondità. Stavo quasi per toccarlo quando mi sono ricordato delle tue raccomandazioni…”

“Ah be’, meno male. L’Hermodice carunculata è notevolmente urticante e può addirittura lanciare a distanza i suoi aghi. Mi hanno detto che si possono rimuovere dalla pelle con del comune nastro adesivo. Ma continua il tuo racconto…”

“Tu sai che mi piace andare a curiosare nelle tane. Ho visto tanti polpi, sai? Con uno di essi mi sono messo a giocare. Sulle prime si è indispettito perché toglievo le pietre dall’ingresso della tana; poi ha capito che non volevo fargli del male e si è lasciato accarezzare. Gli ho dato un riccio aperto e si è pappato tutte le uova, tra una nuvola di donzelle e saraghi giunti come razzi subito dopo!”

“Si, si, va bene. Ma veniamo al dunque. Cosa è successo poi?”

“Mentre nuotavo tra branchi di ricciolette e di occhiate ho visto un pesce stranissimo. Cicciotto, squadrato, lento, con il muso a becco. Nuotava in modo veramente strano e mi guardava con due grandi occhi incredibilmente intelligenti. Quando ho capito che era un pesce palla non ci potevo credere! L’ho toccato più volte per farlo reagire e lui si è gonfiato. Poi ho pensato subito a te e mi son detto: a Nicola potrebbe servire per le sue ricerche e così l’ho preso e messo nella rete portapesci.

Mentre lo infilavo nella rete mi ha morso, per staccarlo ho dovuto far forza con le mani e mi sono punto. Ma non ho sentito dolore sai?

Sono tornato sulla spiaggia e mi sono disteso al sole. Ho salutato un paio di conoscenti e sono andato al bar a bere un bicchiere d’acqua perché mi era venuta una sete ardente. Poi ho cominciato a sentire le labbra addormentate, mi sembrava di muovere la lingua a fatica, facevo un grande sforzo per respirare, mi sono sentito debolissimo ed ho chiamato Caterina. Poi non ricordo più nulla.”

“Sei una testa di cavolo, lo sai? Lo capisci che hai rischiato di morire con il tuo comportamento avventato?”

“Ah bene, questo è il ringraziamento per aver pensato a te?”

“Eros, hai rischiato la vita per un pesce! Ma ti rendi conto? Non devi farlo mai più. Noi ti vogliamo bene: cosa avremmo fatto se tu…se tu…”

Caterina si intromise nel discorso.

“Eros: puoi immaginare cosa abbiamo passato in questi giorni nel vederti incosciente in un letto d’ospedale, collegato a tubi e tubicini, non sapendo se e quando ce l’avresti fatta? No, tu come sempre non ci pensi. Parti e fai la prima cosa che ti passa per la testa senza valutare le conseguenze. Quando siamo venuti a recuperarti sui monti della Sila sotto la neve mezzo assiderato? Quando sei finito in fondo a quel burrone maledetto perché inseguito dai cinghiali? Quando ti è finita la benzina in mezzo al mare e siamo venuti a recuperarti con lo scafo della capitaneria di porto? Devo continuare?”

“Va bene, va bene, lo ammetto; forse sono un po’ troppo avventato ma  anche sfortunato, Caterina. Concedimi almeno questo!” disse Eros dandole un pizzicotto affettuoso sulla guancia per calmarla.

“Mio fratello è sempre stato così: prima agire poi pensare. Tanto poi ci pensano gli altri. E’ vero canaglia?” disse Evelyn abbracciando il suo bel fratellone da dietro.

“Tu invece non fai mai niente di avventato, vero? Ma se ti devo sempre tirare per la collottola onde evitare che ti cacci nei guai!” rispose Eros.

“Come ti senti?” Valentina era comparsa all’improvviso e sistemò sul tavolo del giardino un capace vassoio con bevande gasate e patatine.

“Mi sento bene, mamma. Insomma: quasi bene. Non tanto da tornare subito al negozio ma abbastanza per andare a farmi la tanto desiderata doccia. Mi accompagni Caterina? Non sono sicuro di reggermi in piedi da solo nella cabina doccia e non vorrei rompermi la testa.”

“E che succede? Sei diventato prudente tutto a un tratto? Allora la lezione ti è servita.”

“Vieni, accompagna il tuo povero vecchietto invalido sostenendo il peso schiacciante della senilità improvvisamente abbattutasi sul suo capo” rispose Eros mimando l’andatura di una persona anziana e dolorante.

“Fate in fretta perché tra poco si mangia. Tuo padre doveva essere già qui a quest’ora. Poveretto: è rimasto da solo al negozio e con tutti i turisti che lo prendono d’assalto se la starà vedendo brutta. Evelyn: oggi tu ed io saremo al negozio e papà resta a casa a riposare. D’accordo?”

“Si mamma, come vuoi tu” rispose la ragazza con gli occhi bassi, consapevole di aver trascurato i suoi doveri in un momento così delicato.

Il pranzo per Eros fu un tantino problematico; ancora non riusciva a deglutire bene e faceva fatica soprattutto con i liquidi.

“Tutto quel che mangio ha un brutto sapore metallico; dovrei sentire gli odori e invece non percepisco nulla. Ma che roba mi ha inoculato quel maledetto pesce palla?”

“Ancora non l’hai descritto per bene” disse Nicola. “Non ricordi il colore del mantello?”

“Mah, era giallino con striature grigio scuro, pinne gialle e grandi occhi neri. Aveva delle spine, degli aculei, che si sono rizzati quando si è gonfiato. Non ricordo altro…”

“Era un Lagocephalus sceleratus stando a quanto dici. E’ pieno di neurotossina quel pesce…” confermò Nicola mentre sbucciava una banana

e ne porgeva la metà ad Evelyn che lo guardò con occhi dolci.

Dopo pranzo le donne uscirono lasciando gli uomini a casa; Antonio chiese scusa ma aveva bisogno di ‘poggiarsi’ sul letto per recuperare e si defilò.

“Sai che mentre facevo la doccia mi è successa una cosa strana?”

Nicola guardò interrogativamente l’amico.

“L’acqua mi scorreva addosso come se la mia pelle fosse stata oliata. Non so spiegarti bene, come se l’acqua avesse fretta di scivolare giù senza bagnarmi, mi spiego?”

“Si, ho capito. Ma non riesco ad interpretare questo segno. Non ti era mai successo prima?”

“Si, una volta. Caterina mi aveva riempito di olio contro le scottature ed io facendomi il bagno subito dopo ho avvertito la stessa sensazione.”

“Ah, ecco. Ne so quanto prima. Magari è l’effetto dei farmaci che ti hanno somministrato, qualcosa che non possiamo sapere. Lascia passare ancora qualche giorno e se la cosa si ripete approfondiremo. Io tra due giorni parto, torno a Napoli. Ma ci terremo in contatto costantemente e mi saprai dire. Senti, Eros, io volevo parlarti di un’altra cosa ma non so come…”

“Mi fa piacere. State bene insieme!”

“Che cosa…? Ma come…?”

“Ma credi che nessuno l’abbia capito? Ci hai presi tutti per dei cretini? Ahahah, ma quanto sei ingenuo Nico. Evelyn è cresciuta, è una bella ragazza, ti adora. Tu finalmente ti sei svegliato e…patatrac. Il gioco è fatto, signore e signori” disse ridendo Eros per poi terminare la risata in un accesso di tosse.

“Non pensavo che fosse così evidente.”

“Ah no? Evelyn ci fa una testa così quando non ci sei. Nicola qua, Nicola là, com’è bravo, com’è bello, fa un lavoro interessante, ora è andato via, speriamo che ritorni etc etc. Va avanti così almeno da due anni, da quando sei andato definitivamente a vivere a Napoli. E poi è vero. Tutti ti vogliamo bene qui a casa; i miei la vedono sicuramente di buon occhio questa cosa. Eddai, non fare quella faccia. Andrà tutto bene, non vorrai mica farti scappare Evelyn, no?”

“Sono un pirla, devo ammetterlo. L’unico a non saperlo ero io…ma va bene così. Andiamo a fare due passi a Tropea, ce la fai? Guido io la tua macchina” disse Nicola alzandosi.

“Passiamo al negozio; mi sembra una vita da quando ci sono stato l’ultima volta, ed era soltanto la settimana scorsa.”

La BMW X1 di Eros era parcheggiata in garage, impolverata e con le ruote ricoperte di fango.

“Accidenti, Eros: ma non la lavi mai? E’ così bella la tua auto. Tieni di più a quella vespa vecchia ed ammaccata che a questo gioiello” disse Nicola mettendo in moto ed uscendo dal cancello automatico.

“Non so perché ma io sono più un tipo da vespa che da macchinone lucido.

La vuoi comprare tu? Te la cedo volentieri e me la paghi quando puoi.”

“No, no, grazie. Con il mio stipendio a stento riesco a mantenere la Panda che ha comprato mia madre con sacrifico, lo sai bene. Ma ti ringrazio per la proposta allettante. Quando sarà il momento verrò a bussare nuovamente alla tua porta.”

Parcheggiarono nei pressi del centro e raggiunsero il negozio a piedi senza fretta; Eros faticava a camminare e la sua deambulazione incerta costrinse Nicola a sorreggerlo con forza.

Le vetrine erano illuminate ed all’interno c’era un sacco di gente che provava orecchini, anelli, orologi, collanine. L’insegna ‘Gioia e Gioie’ era stata un’idea di Evelyn che aveva voluto a tutti i costi cambiare il vecchio nome scontato di ‘Gioielleria Caroni’.

Caterina, quando scorse i due amici, fece loro cenno di entrare mentre andava a prendere una sedia nel retrobottega.

Evelyn era assediata da un nugolo di tedeschi di mezza età che le avevano fatto tirar fuori una ventina di orologi e discutevano tra loro su quale pezzo

far convergere la scelta definitiva. Quando vide Nicola gli dedicò un ampio sorriso che era tutto un programma.

Valentina era indaffaratissima alla cassa dove se la cavava molto bene rispondendo in inglese e in tedesco ai clienti in attesa di pagare.

Un venerdì pomeriggio estivo impegnativo.

Eros prese posto accanto alla cassa e Valentina gli somministrò una carezza colma di tenerezza. Nicola si tenne un po’ in disparte, defilato per non intralciare l’attività. I clienti che tornavano dalla spiaggia facevano volentieri un giretto e, prima di recarsi alla balconata panoramica, si fermavano per comperare un ricordino da portare a quelli che erano rimasti a casa. Il corallo era una scelta quasi obbligata.

“Evelyn, quello è un orologio automatico di un certo pregio. Puoi venderglielo tranquillamente, non se ne pentiranno” esclamò Eros quasi senza accorgersi che stava invadendo il campo della sorella.

Lei lo guardò con affetto e gli fece l’occhiolino. Fosse stata un’altra occasione si sarebbe scagliata contro il fratello e l’avrebbe rimproverato aspramente. Stava crescendo davvero, in tutti i sensi.

Dopo un paio d’ore Eros chiese a Nicola di riaccompagnarlo a casa perché si sentiva stanchissimo.

“Vi aspettiamo a casa per cena. Non fate tardi.”

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