Alta un metro e sessanta. Oscillava tra i 50 e i 55 Kg secondo i periodi. A volte mangiava di tutto, altre si lasciava andare ad ettolitri di caffè e fette biscottare. Capelli sempre lunghi. Non voleva spuntarli neanche quando la sua amica parrucchiera glielo intimava perché si stavano sfibrando. Colore castano chiaro, intorno ad un viso delicato e con la pelle chiara. Occhi cangianti dal verde chiaro al giallo come quello dei gatti, diceva lei. Rigorosamente sempre in jeans e giacchetta, quando andava a scuola. Foulard in tutte le stagioni; ne aveva un’infinità, di tutti i colori, di tutte le marche, di tutte le qualità. Non tanto chiacchierona, ma sempre attenta al mondo circostante. Quando venne al mondo, suo padre gioì perché era una femmina, «così non dovrà andare a fare il soldato» disse, perché lui portava le piaghe di quasi dodici anni di servizio militare dal quale si era congedato senza avere niente in cambio. Meno felice sua madre perché era consapevole che, invece, di battaglie senza guerre dichiarate, avrebbe dovuto affrontarne un’infinità, nella vita.
Anna crebbe, studiò, sgobbò sui libri per vincere i concorsi, e poi si ritrovò docente di Lettere nelle scuole superiori.
Adesso viveva sola. Suo padre prima, sua madre dopo, l’avevano lasciata per sempre. L’unico suo fratello, sposato, viveva nella lontana Milano. Si era rimboccata le maniche affrontando la vita, anche quando si era trasferita nella grande casa della città “Perla del Tirreno” dove aveva ottenuto il trasferimento su sua richiesta…
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