Prologo
Era il lontano 1975, avevo undici anni appena, quando mio padre mi regalò un atlante del Mondo, per l’esattezza un Dizionario Atlante Illustrato, dal titolo “Le Meraviglie del Mondo”.
In questo volumetto, dal formato piuttosto grande, vi si descrivevano, il tutto insieme alle foto corrispondenti a colori, i luoghi dei cinque continenti più suggestivi a livello naturale o con qualche caratteristica particolare costituita dall’uomo (ad esempio: un monumento antico, un famoso parco nazionale, una statua ecc. ecc.). Ciascun continente aveva i suoi luoghi particolari che riuscivano a colpire, a suggestionare e ad affascinare specialmente la fantasia spiccata di una bambina undicenne e di un bambino di pochi anni.
In questo volumetto di “Le Meraviglie del Mondo” vi era un’isola del tutto particolare, nel senso che sembrava non essere collocata in nessuno dei continenti e con una caratteristica singolare ovverossia la foto di alte sculture in pietra, erette e sparse per tutta l’isola, dal nome esotico di Mohai. L’isola si chiamava “L’Isola di Pasqua”. Non so ancora, a distanza di innumerevoli anni, spiegarmi perché mi soffermai, fin da subito, su quel luogo e su quella foto.
Ne rimasi come incantata. E da allora in poi ebbe inizio il mio sognare e il mio immaginare intorno a quest’isola dal nome insolito e dalle caratteristiche insolite, che non hanno paragoni con nessun altra isola del pianeta.
Con un altro bambino, ripeto più piccolo di me, Cosmo, che oggi è adulto, ama la filosofia, la storia e la lettura e ha scritto la prefazione di questo libro, sfogliai quasi ogni giorno l’atlante del mondo alla ricerca de L’Isola di Pasqua; una ricerca che si svolgeva certo sulla carta ma che stimolava la mente e i sensi come fosse reale. Insieme (Cosmo e io) abbiamo trascorso momenti belli e indimenticabili costruendo ipotesi, teorie e misteriose leggende sui Mohai.
Via via che crescevamo, col trascorrere degli anni, il fascino de L’Isola di Pasqua e dei suoi Mohai non è mai venuto meno in nessuno dei due, e forse abbiamo imparato a capire un poco di più il mondo e ad apprezzare la sua storia e le sue civiltà, anche se lontanissime e diversissime dalle nostre di appartenenza.
Ho conosciuto Enzo Taccone diversi anni addietro. L’ho conosciuto in veste di poeta, infatti ho curato la presentazione di due delle sue raccolte di poesie: la prima “Un filo spezzato” nel 2013, la seconda “Come mi parla il mare” nel 2016, entrambe per la Thoth Edizioni (oggi Mario Vallone Editore). Per caso forse (o forse no), durante la presentazione, a Tropea, della raccolta di poesie “Come mi parla il mare”, Enzo mi ha accennato al suo viaggio e al suo soggiorno su L’Isola di Pasqua, alle difficoltà per raggiungerla, al suo vissuto sull’ isola e ad altre cose ancora.
In seguito mi ha anche postato, per e-mail, alcune foto molto belle (qualcuna inclusa anche in questo libro) che lo ritraggono sull’isola accanto alle statue dei Mohai. Forse è balenata allora, nella mia mente, l’idea di conversare con Enzo intorno alla sua esperienza su L’Isola di Pasqua, ma soprattutto su tutto quello che L’Isola di Pasqua contiene e offre, non al turista distratto e abitudinario, ma al viaggiatore solitario e solerte (e credo che Enzo Taccone lo abbia ben incarnato nella sua avventura) che, a suo modo, ha realizzato il sogno di raggiungerla e di viverci, per un po’, immerso nella sua vita quotidiana. Sono passati tre anni esatti e, potrei dire quasi all’improvviso, ho pensato che era giunto il momento di conversare con Enzo su questo argomento perché i tempi erano forse maturi per fare ciò e magari di poter scrivere, a quattro mani, un volumetto che raccogliesse la nostra conversazione, diventando eventualmente una testimonianza scritta di un viaggio di certo non abituale e – perché no? – una specie di piccola guida culturale, storica, umana e turistica di questo luogo meraviglioso. Se la cosa è riuscita in questi due intenti spetta al lettore dirlo.
Il nostro impegno (mio, di Enzo e di Cosmo) nel tentare di fare ciò è stato pieno e partecipato.
Enzo Taccone ha raggiunto L’Isola di Pasqua e vi ha soggiornato: è stato, in un certo qual modo, un viaggiatore solitario, io sono stata una sognatrice e continuo ad essere una sognatrice che forse raggiunge i luoghi della Terra con la sua immaginazione fervida e feconda. Eppure anche così ogni luogo raggiunto, nello spazio di pochi secondi, si trasforma e si trasfigura illuminato dalla luce della bellezza, della poeticità e della speranza. L’Isola di Pasqua – La terra più lontana di ogni altra al mondo – diventa allora il luogo immaginifico della memoria, che si fa duttile alla propria rammemorazione…e forse, su tutto e al di là di tutto, il luogo dell’infanzia per eccellenza che ci si porta dentro, in qualche parte ben protetta del cuore, fino al resto dei propri giorni.
Francesca Rita Rombolà
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