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Giuseppe Berto, la Calabria e… Mario Vallone Editore

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Giuseppe Berto a 40 anni dalla morte

Parlare di Giuseppe Berto non è mai stato facile.  Il tempo trascorso dalla sua morte, 40 anni, ha aperto spiragli alla necessità di chiarificazione che in vita ha roso lui, come uomo e come intellettuale, e che ha continuato a mordere le menti di un mondo culturale diviso, a volte accecato dal pregiudizio di parte, a volte semplicemente distante per sensibilità o interessi o scelte di vita e di stile.

Un risarcimento, in parte, sicuramente dovuto a quella sincerità cui Berto non si è mai sottratto nel corso della sua esistenza, a costo del pesante isolamento da parte di certa élite culturale.

Così, Università di Messina e Accademia Peloritana dei Pericolanti hanno organizzato un Convegno dal titolo Giuseppe Berto a 40 anni dalla morte (30 maggio 2018) che è indubbiamente un ricordare, ma soprattutto cercare di capire meglio, di indagare aspetti ancora in ombra della vita sociale, politica, psicologica e letteraria dell’Autore.

Gli atti di quel Convegno confluiscono ora in una pubblicazione dall’omonimo titolo, Curata da Antonio Pugliese e Paola Radici Colace, edita da Mario Vallone editore (vai alla scheda del libro).

L’introduzione del prof. Pugliese è seguita da quelli che sono stati gli interventi dei relatori nelle due sessioni del Convegno: Giuseppe Rando (Università di Messina) Le ragioni di un convegno innovativo su un grande scrittore italiano; Saverio Vita (Università di Bologna) Giuseppe Berto quarant’anni dopo; Antonio Di Rosa (Università di Messina) Giuseppe Berto ed il suo male oscuro; Paola Radici Colace (Università di Messina) Il male oscuro di Berto come modello. Medicina narrativa e bioscrittura; Antonio Pugliese (Università di Messina) Ricordando Beppe Berto: dalla civiltà contadina all’antropologia di una passione; Nicola Rombolà (Docente istituti superiori, presidente Italia nostra Vibo Valentia) La Calabria di Berto: la ricchezza della povertà. Chiudono il testo le testimonianze di don Pasquale Russo e della figlia di Giuseppe Berto, Antonia.

Tutti i relatori pongono l’accento sulla complessità e ricchezza della personalità bertiana, la sua poliedricità ampiamente apprezzata da figure di alto livello e di respiro internazionale quali Ernest Hemingway e Cesare De Michelis, dal mondo cinematografico con Enrico Maria Salerno regista che ha trasposto cinematograficamente l’Anonimo Veneziano di Berto, che curò sceneggiatura e dialoghi, da cui un enorme successo tratto da un libro di poche pagine.

Giuseppe Rando ripercorre rapidamente le vicende biografiche di Berto nato a Mogliano Veneto(TV) nel 1914 e morto a Roma nel 1978. Dal fascismo integralista della gioventù, successivamente oggetto di lunghe autoanalisi e di sconfessione quale “allucinazione fascista”, a posizioni anarco-liberali, con venature cristiane e marxiste. Successi e consensi, da Marabini a Gadda e Buzzati, da Salinari a Baldacci, per citarne alcuni, sino all’avversione e ‘ostracismo’ di Moravia e del suo entourage.

La critica più recente lo analizza e interpreta in maniera più lucida e ne pone in luce con Giulio Ferroni e Antonio Scurati gli elementi di innovazione, dal punto di vista linguistico e di impostazione. Numerose le ristampe e riedizioni di tanta sua produzione, da Guerra in camicia nera, Il cielo è rosso, Il brigante, Il male oscuro, La fantarca, La cosa buffa, Modesta proposta, Gloria, successi in termini di vendite e importanti riconoscimenti in prestigiosi premi letterari, quali la cinquina del Premio Strega, la vittoria del Viareggio e del Campiello, non hanno certo potuto risarcire quel senso di isolamento e di solitudine che gli fece, infine, volontariamente cercare e scegliere, tra i tanti possibili e tentati, un esilio stupendo e doloroso presso Capo Vaticano, guardando il mare, i suoi miti, gli archetipi del mondo e di sé.

La sincerità verso gli altri e verso se stesso cercava Berto, a costo di essere e restare reietto, poiché incompreso, non addomesticato, non omologato né facilmente etichettabile se non con l’unico marchio possibile, quello di una scelta giovanile che più volte cercò di riattraversare con occhi nuovi, storicizzati, quelli della sconfitta, dell’impossibilità di quel discorso, quelli di un a-fascismo più che antifascismo in termini differenti da quelli che allora si usavano, unici ammissibili e che ancora oggi, in gran parte si usano.

Le nevrosi di una vita, così ben evidenziate dai relatori del Convegno e dallo stesso Berto assunte e in minima parte superate grazie alla funzione terapeutica della scrittura de Il male oscuro, divengono il primo passo verso la ricerca di una soluzione che nella Gloria si realizza col perdono del colpevole per eccellenza, Giuda. Forse solo questo cercava Berto quando viveva e non viveva, soffocato dalle mille infinite paure d’ogni sorta, in primis la paura di scrivere, quella più terribile per uno scrittore: perdono, possibilità di perdonare se stesso, la sua storia, la Storia.

Concordo pienamente con Saverio Vita sulla necessità non tanto e non solo di continuare a stampare Berto, ma sulla necessità di studio, approfondimento, di realizzare edizioni con testi critici e note, poiché sinora “non c’è stata una vera lettura riabilitante”. E chissà che questa nuova stagione di studi non possa prendere avvio proprio da quella Calabria che Berto ha tanto amato da farne la sua seconda patria, culla-tomba, rifugio e travaglio dei suoi giorni, bella selvaggia e povera ricca, specchio del suo stesso intimo contrasto. Forse nessuno lo ha ‘con-preso’ come la Calabria, lui che, lungi dal voler essere definito in qualsiasi altro modo, riteneva sé un neoromantico. Quella ‘sua’ Calabria che ancora non è del tutto perduta, quella che un piccolo editore calabrese, Mario Vallone, ha voluto onorare pubblicando gli Atti di questo fondamentale Convegno.

Katia Debora Melis

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