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La Madonna di Spilinga… ricordi d’ infanzia

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Si avvicina la festa della Madonna delle Fonti di Spilinga (vai al programma) ed il mio amico carissimo Agostino Gennaro, con i suoi continui post sull’argomento pubblicati su Facebook, mi riporta all’infanzia, a 30 anni fa.

Ricordo, infatti, che, fino ai primi anni novanta da Brattirò si era soliti partire a piedi in pellegrinaggio verso Spilinga con don Giuseppe Furchì.

Ho, in tal senso, dei flash.

Avrò nove anni, forse meno: vedo mia madre che mi tiene per mano, mentre a piedi ed a fatica, “scaliamo” le salite che da Brattirò portano a Spilinga verso la grotta dove viene custodita e venerata la sacra effigie.

Vedo la strada non asfaltata… animali pascolare liberi e tranquilli… sento canti di preghiera. E poi – giunti a Spilinga – alcune bancarelle, l’acqua fresca invitante della fontana… e la statua della Vergine, in alto… quindi la scalinata, sempre tenendo la mano di mia madre… e lei che mi prende in braccio avvicinandomi alla sacra raffigurazione chiedendo una benedizione per il suo figlioletto.

Sono sempre rimasto legato a questo luogo, saltuariamente l’ho sempre frequentato.

Da quando è morta mia madre ci passo, ancora più spesso, talvolta prima di andare a lavoro, la mattina presto, prestissimo, da solo, quando tutto tace e, nel silenzio totale, trovo serenità e mi rigenero.

MarioVallone

 

Breve cronistoria sulla Madonna delle Fonti di Spilinga – Agostino Gennaro

Quanto segue è il frutto di una accurata ricerca che mette per iscritto ciò che finora si è tramandato verbalmente da padre in figlio con le conseguenti variazioni, dovute a vuoti di memoria o alle estrosità di chi narra i fatti.

APPARIZIONE

Si narra che, in una notte tempestosa, apparve in sogno a Domenica Muià, un’ umile donna dedita ai duri lavori dei campi, la Madonna col Bambino che chiedeva il suo aiuto per liberarsi dai rovi. La donna al risveglio, titubante poiché la ragione maturata nelle lunghe giornate passate nella solitudine dei campi la consigliava alla prudenza ma nello stesso tempo scossa da quell’Immagine implorante chiese aiuto al Parroco.

Questi, pur riconoscendo la buona fede della donna, la redarguisce per la sua insana pretesa di trasformare un sogno in apparizione e le vieta di parlarne, per non essere fraintesa dalla gente che avrebbe potuto giudicarla non sana di mente.

La poveretta, alquanto intimorita, si chiude nel silenzio. Ma la notte successiva e altre ancora il sogno si ripeteva e l’apparizione diveniva sempre più nitida con dovizia di particolari tanto che la donna riconobbe il luogo indicato: una impervia grotta ubicata a più di due metri di altezza dal suolo e completamente coperta dai rovi.

Domenica Muià, turbata passava le giornate assillata da quel chiodo fisso, scongiurava il parroco, il quale alla fine cede alle continue insistenze, se non altro per dimostrare alla donna che era tutto frutto della sua fantasia.

Ma quando la donna con la roncola aprì il varco, grande fu lo stupore: la Sacra Immagine si trovava veramente in una nicchia scavata all’interno della grande grotta arenaria. Liberata dai rovi, la statua, com’era stato promesso nel sogno, quasi fosse munita di ruote, in una versione della tradizione popolare, scese lentamente fino al suolo. In un’altra versione, pervenutaci dalla tradizione popolare, i due angeli raffigurati ai suoi piedi, animatisi, alzarono la statua della Madonna e la adagiarono giù delicatamente.

La donna, più che meravigliata, era soddisfatta, perché vide il suo sogno trasformarsi in realtà, mentre l’anziano sacerdote, perplesso e intimorito, si rivolse a lei ammonendola con delle parole dialettali il cui senso suona così: “Domenica, muta!” In poche parole: “Non parlare con alcuno perché ciò che abbiamo visto è solo frutto della nostra fantasia”.

Ricorreva l’anno 1880 e il parroco, don Scipione Petracca, ormai anziano (muore il 27 aprile 1885), adottò tutte le precauzioni affinché la notizia di questi avvenimenti rimanesse circoscritta nell’ambito locale, preso dal timore che l’eventuale diffusione e la risonanza del grido al miracolo potessero giungere alle orecchie del vescovo.

Ciò avrebbe fatto ricadere sulla sua pelle le conseguenze del caso, facendogli trascorrere gli ultimi anni della sua vita terrena nella tormenta, giacché le Autorità Ecclesiastiche, in detto periodo, preoccupate per il diffondersi di molti eventi ritenuti, dalle masse popolari, miracolosi, erano alquanto restie, per non dire contrarie, al riconoscimento di certi episodi come miracoli.

A Cicirejia (così veniva chiamata la donna), all’epoca del ritrovamento non era anziana, aveva 32 anni, e nella prima foto che la ritrae con la Madonna, 1900, 52 anni.

Il giorno stesso l’Arciprete, disattendendo la richiesta che aveva fatto la Madonna alla Muìa di essere venerata in quel luogo, fece portare la statua al paese e la collocò nella chiesa di San Giovanni Battista.

La mattina dopo, però, questa era scomparsa e, dopo varie ricerche, fu rinvenuta nella grotta in cui era stata trovata. Riportata nella chiesa di S. Giovanni Battista, per ben tre volte sparì di notte e, puntualmente, fu ritrovata il giorno appresso nella sua grotta. Così anche il parroco, non si sa se per timore o per quieto vivere, senza molto indagare, acconsentì che fosse venerata nel luogo del suo ritrovamento.

Furono scavati nella parete tufacea, secondo le istruzioni ricevute nel sogno, tredici gradini sufficientemente comodi per raggiungere la grotta. Il luogo era sicuramente bello e spettacolare: una vasta conca protetta a Nord da un’alta rupe, incavata dalla natura, a forma di una grande grotta alla cui base sgorgavano, e sgorgano tuttora, limpide fonti.

Proprio per questo motivo gli Spilingesi, d’accordo con il parroco, decisero di venerarla con il titolo di “Madonna della Fontana”.

Don Scipione Petracca preferì non avvertire le autorità ecclesiastiche preposte e archiviare questo increscioso e quanto meno inaspettato episodio, capitato proprio a lui. La voce dell’accaduto, però, si sparse velocemente per tutto il circondario e schiere di pellegrini raggiunsero il luogo.

Addossata alla parete arenaria, fu eretta allora una chiesetta a cupola che ingloba la grotta naturale con l’Immagine di Maria SS. della Fontana.

Le acque delle sorgenti, alla base della rupe, da tempi immemorabili raccolte in laghetto e utilizzate dai contadini per abbeverare il bestiame e dalle donne per lavare i panni, continuarono per molti anni a svolgere lo stesso compito ma ora con il cuore e lo spirito più sollevati perché sotto lo sguardo confortante e protettivo della Madonna.

Le acque sgorganti dalla nicchia sotto i piedi della Madonna, vennero, invece, convogliate in tre fontane che fornivano e forniscono tuttora, acqua potabile ai cittadini e ai pellegrini per dissetare e rinfrescare il corpo, e, con la preghiera e la fede, il loro spirito. Vicino alle tre fontane, due dissetavano e rinfrescavano i viandanti e la terza, gocciolante, veniva utilizzata a guisa di Acquasantiere per farsi il segno della Croce.

I terremoti del 1905, 1908 e la prima guerra mondiale seminarono lutto e rovine nel nostro territorio e masse di pellegrini si riversarono a Spilinga per visitare la Madonna miracolosa, specialmente nei giorni di maggio, quando si fa memoria del ritrovamento. In quei giorni la folla si accalca sull’impervie stradine, ciò che era nascosto nel profondo dell’animo traspare in tutta la sua crudezza sul volto di ognuno che, incurante della gente che lo circonda, piange, si dispera, racconta le sue pene e implora a viva voce la grazia di cui ha bisogno o gioisce perché l’ha ottenuta.

Tra questi ultimi fa senso vedere uomini piangere di gioia battendosi il petto perché miracolosamente scampati, in guerra, alle pallottole nemiche.

La grotta-chiesa, anche se non molto distante dal paese, specialmente nei primi anni del ritrovamento, era piuttosto difficile da raggiungere, perché ubicata sotto lo strapiombo dell’alta rupe sulla quale sorge l’agglomerato urbano di Spilinga.

La via principale di accesso consisteva in una stretta e scoscesa mulattiera che partiva “du Vignali”, oggi via Broso, e scendeva fiancheggiando un fosso a carattere torrentizio formato dalla raccolta delle acque piovane provenienti dalle ripide vie del paese. Ciò, però, non scoraggiava neanche i vecchi e gli ammalati che, sorretti dalla fede e con in cuore la speranza di un’agognata guarigione o sospirata grazia, non esitavano ad affrontare e superare il difficile tragitto.

Col passare degli anni si cercò di migliorare la via di accesso dotando la parte più scoscesa di una scalinata, fino a quando, negli anni settanta, grazie ai consorzi agricoli, non fu realizzata la strada che avrebbe dato la possibilità di accesso anche ai mezzi meccanici.

“Altri lutti e altre rovine, con l’avvento della seconda guerra mondiale una immensa folla di pellegrini raggiunge la grotta. I primi ad arrivare, intorno a mezzogiorno della vigilia, sono quelli dei paesi lontani che passeranno la notte, alcuni in veglia nel Santuario, altri nella baracca e altri nell’Oratorio della Chiesa parrocchiale. A questi si aggiungeranno mattina del ventuno maggio i pellegrini dei paesi dei dintorni di Spilinga, ma ne vengono ancora da Vibo, Mileto, Nicotera ecc.” scrive don Cortese nei diari parrocchiali.

La folla è tale, durante gli anni 1944- ‘45, ’46 ‘47, che molti parroci dei paesi vicini, oltre i cinque o sei di Spilinga, accorsero in aiuto all’arciprete, si danno il cambio nei confessionali e celebrano in successione le messe al Santuario.

Il primo atto ufficiale dell’Autorità Ecclesiastica è del 30 marzo 1938 con l’approvazione della preghiera alla Madonna della Fontana del Vicario Generale della Diocesi di Tropea Mons. G. Casaburi. Segue l’Indulgenza di 50 giorni concessa da S. E. Rev.ma Mons. Felice Cribellati e quella di Mons. Agostino Saba.

Il primo Vescovo ad inginocchiarsi ai piedi della grotta della Madonna della Fontana è Mons. Felice Cribellati, il 20 maggio 1942, “arrivato e ripartito con l’asinello dalla stazione di Ricadi”.

Bisogna aspettare il 1933, quando giunto a Spilinga Don Carmine Cortese, inizia a regolarizzare e a civilizzare il culto alla S.Vergine, il 20 maggio 1933, scrive: “Siamo alla vigilia della Fontana, prepariamoci Santamente, senza spine però e senza lingua per terra”.

Negli anni 1933,’34,’35,’36 e ’37 il nuovo parroco si adopera a regolamentare l’afflusso dei pellegrini alla grotta, a coinvolgere in una compartecipazione attiva il clero dei paesi vicini, a raccogliere preghiere e canti dotandoli della necessaria approvazione ecclesiale e pubblicarli in un libretto e le prime immagini della Madonna della Fontana.

L’episodio più mirabile, per il Santuario e la nostra Madonna, accade alla fine di marzo del 1948 a sessantacinque anni del suo ritrovamento: la Madonna della Fontana muove gli occhi e il suo viso si riga di lacrime.

A tale proposito si riassume l’episodio riportato nei diari parrocchiali di don Carmine Cortese per la sua rilevante importanza poiché unico atto scritto, ufficialmente riportato, sugli avvenimenti “miracolosi” attribuiti alla Madonna della Fontana che hanno portato schiere di pellegrini alla miracolosa grotta rendendo popolare il piccolo borgo di Spilinga.

La cronaca di tale avvenimento, riportata nei diari di don Cortese, ha inizio il 29 marzo 1948-Lunedì di Galilea e termina il 23 aprile. Sono giornate di intensa frenesia i pellegrini giungono numerosi da tutti i paesi del vibonese alcuni con fede, altri per curiosità ed altri con l’intenzione di smascherare un possibile trucco. “Noi altri sacerdoti, scrive don Cortese, cerchiamo di mettere un po’ d’ordine in questo delirio religioso. Io sono immerso in una preoccupazione che mi stordisce, perché tutto si svolge in un’atmosfera di serietà e di religiosità sentitamente materna. Nei momenti più solenni e d’aspettanza a centinaia di devoti che accoratamente hanno gli occhi appuntati sul viso della Madonna…Grande è il patema d’animo, la lotta con se stesso tra la ragione, la prudenza dettata dalle autorità ecclesiali e la fede, da stordirlo e da fargli chiedere alla Madonna la grazia di far cessare tali avvenimenti.”

Redarguisce i fedeli ma, per paura che la suggestione potesse giocargli brutti scherzi, non ha il coraggio di guardare il volto della Madonna. Segue con attenzione i pellegrini che giungono alla grotta e non si oppone a meticolosi controlli da autorità o da miscredenti. Consapevole della responsabilità che riveste come autorità religiosa evita, però, un suo coinvolgimento testimoniale diretto sui segni del miracolo e si trincera su un dicono.

Don Carmine Cortese, saggio devoto della Madonna della Fontana per tutti gli anni del suo apostolato a Spilinga ha inculcato nei fanciulli di prima comunione un patto con la Vergine portando il fiore della comunione ai piedi della Grotta come simbolo di consacrazione e di purezza.

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