con Fabrizio Antonielli d’Oulx, vicepresidente Unione Volontari Culturali Associati e Antonio Pugliese, Università di Messina.
Un incontro per ragionare sullo sconvolgimento sociale delle comunità rurali di fronte alle nuove sfide e stimolazioni della modernità.
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Salito lo scalone dell’arch. Baroncelli, il palazzo Graneri della Roche, uno dei più bei palazzi settecenteschi di Torino, accoglie Autore e pubblico al primo piano nobile, ricco di stucchi e saloni dorati, dove ha sede il Circolo dei Lettori.
Dal 2006 c’è un posto a Torino che non è né una biblioteca né una libreria, ma in cui – dal lunedì al sabato e qualche volta anche di domenica – si parla di libri, con chi ne ha scritti e con chi li legge: è, appunto, il Circolo dei lettori, fondazione della Regione Piemonte. Aperto da mattina a sera, organizza presentazioni di libri con scrittori italiani e stranieri, reading, gruppi di lettura, laboratori per bambini e anche viaggi letterari: è un luogo unico in Italia per il numero di attività e per il tipo di spazi che mette a disposizione.
E’ in questo bel palazzo e nell’ambito di questa importante istituzione culturale che Antonio Pugliese ha presentato, chiacchierandone con Fabrizio Antonielli d’Oulx e con il coordinamento di Ferdinando Meregaglia, i suoi ultimi lavori: “La civiltà contadina in Calabria” e “C’erano una volta le lucciole – La profezia di Pasolini”.
Non è, di mestiere, Antonio Pugliese, uno scrittore: la sua brillante carriera come professore di Clinica Medica Veterinaria presso l’Università di Messina lo testimonia. Ma i suoi interessi vanno ben oltre la medicina per gli animali e spaziano dalla storia (vista anche sotto un profilo scientifico) all’antropologia, dal teatro alla più semplice vita dei campi, avendo sempre nel cuore e negli occhi la splendida terra di Calabria.
“C’erano una volta le lucciole – La profezia di Pasolini” venne fuori una sera con un suo amico, Nicola Rombolà, proprio parlando di come stesse cambiando la campagna, di come il grido di allarme della profezia/poesia di Pasolini fosse ancora attuale, anche se lanciato diversi anni prima; e da questa chiacchierata nacque il libro, scritto a quattro mani, dove a Rombolà il compito di affrontare il tema sotto un profilo letterario, tenendo Pugliese per sé gli aspetti più scientifici che, dallo studio delle diverse specie di lucciole (più di 2.000!), arriva ad evidenziare i motivi della loro sparizione, che possono persino sorprendere… le lucciole, amanti del buio, non possono riprodursi senza di esso, detestano il rumore e i suoni, e in una civiltà come la nostra, come disse già Pasolini, rischiano di scomparire.
Il tema dei mutamenti della vita in campagna viene poi ripreso da Pugliese con l’altro lavoro “La civiltà contadina in Calabria”.
Evitando costantemente di cadere in una facile retorica, evidenziando anche aspetti che pare poco avere di civiltà, l’Autore sottolinea quelli che erano i veri aspetti delle civiltà contadina: innanzitutto l’attaccamento alla propria a casa ed alla propria famiglia, valore riassunto in quella che era la frase costante dell’anziano che giungeva alla fine dei suoi giorni: “portatemi a morire a casa mia, nel mio letto”. I racconti degli anziani, quando la famiglia non si annullava davanti alla televisione, contribuivano a creare un forte legame tra le generazioni, dove chi era vissuto prima era ancora presente nei ricordi, nei mille episodi rivisitati e la famiglia si allargava e si consolidava.
Un altro valore che forse si sta perdendo era il rispetto e quasi l’amore per la terra e per gli animali: il lavoro necessario per coltivare l’una e allevare gli altri portava ad un rapporto privilegiato che le macchine e gli strumenti moderni non sanno più trasmettere.
E poi la solidarietà, la capacità di aiutarsi vicendevolmente sia nel normale evolversi dei lavori della campagna (momenti fondamentali era la mietitura e la vendemmia), sia nei tristi eventi imprevedibili, dalla malattia agli incendi, alla carestia.
Era un mondo duro e faticoso, ma proprio il lavoro sapeva trasmettere valori, insegnava a farsi bastare ciò che si aveva, senza rincorrere parossistiche voglie di consumismo.
Il libro è certamente frutto di interviste, di lunghe chiacchierate con gli anziani, ma anche di una partecipazione alla vita contadina che affonda le sue radici nelle passate generazioni dello stesso Autore, che sa, nello scritto, con precise pennellate, narrare quasi dal vivo episodi, avvenimenti, circostanze: deliziosi quadretti di una vita che non c’è più e che, in fondo al cuore, in qualche modo si rimpiange.
Nella seconda parte del libro si fa sentire l’amore per la scienza di Pugliese che racconta ed illustra antiche ricette, sistemi di coltivazione, strumenti di lavoro ormai dimenticati, precisandone l’uso corretto. E’ un sorta di museo su carta, ricco di fotografie e di descrizioni, quasi guida ad una esposizione immaginaria degli strumenti della civiltà contadina di altri tempi, di quella civiltà che gli attrezzi se li fabbricava da sé, migliorandoli nell’uso quotidiano di generazione in generazione, in una ininterrotta trasmissione che solo gli ultimi 70 anni hanno spezzato e stravolto.
In definitiva i due libri non sono un invito ad una “decrescita felice” per tornare ai tempi che furono, sono un invito a ripensare ad alcune impostazioni della nostra vita…ma con una grande speranza: le lucciole, negli ultimi tempi, stanno tornando!
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