Recensione al libro “Se non mi confonde il vento”
di Katia Debora Melis,
Mario Vallone Editore, 2018
La voce ammaliante del vento
“Siamo solo persone/ di passaggio/ nelle vite altrui/ e nelle nostre./ Per sollevare dubbi./ Per agitar tormenti” esordisce Katia Debora Melis nella sua nuova silloge intitolata “Se non mi confonde il vento”, pubblicata pochi mesi fa da Mario Vallone Editore.
Una nuova raccolta poetica che, secondo il consueto stile dell’autrice che avevo già avuto occasione di conoscere e apprezzare attraverso precedenti pubblicazioni, regala al lettore un viaggio tra sentimenti ed emozioni che parlano all’anima, poiché la poetessa – per riprendere le espressioni della bella prefazione firmata dalla scrittrice Emma Fenu – si fa “Dea e Demiurga”, così come “Madre di parole, di bambini e di antenati”.
E, al pari del vento che riecheggia suggestivo fin dal titolo dell’opera, la poesia corre libera, senza catene di sorta, accomunando da sempre sogni, speranze, illusioni e l’unico suo limite rimane la parola. Così, si attende il ritorno de “gli amati versi” che consolano la notte, quando i rumori del mondo si trasformano in “fragile sussulto”. Ma la poesia può persino diventare fardello e pena, specie se si scrive d’amore scavando nei ricordi, e si fa allora fatica “a squarciare l’aria con un libero canto.”
“[…] E sarebbe certo meglio/ non scriverne mai più/ perché scrivere anche una sola vera poesia d’amore/ è difficile almeno quanto l’amare.” (da “Almeno un centinaio”)
Una scrittura coraggiosa, quella della Melis, che sembra aprire varchi nel tempo, meravigliosamente sospesa tra un passato di dolore e un oggi d’incerta speranza che non si atterrisce dinanzi ai solchi sulla pelle perché, in fondo, chi è poeta conserva “un cuore ancora giovane/ su cui poggiano/ lanterne infuocate”; il futuro aleggia nell’invocazione di un’alba dai colori pastello, mentre il tramonto non sempre sancisce una conclusione irrevocabile, diventando talvolta sinonimo di naturale e auspicato cambiamento.
Attento e ponderato, il verso sperimenta la solitudine di parole e concetti in testi che sanno ben amalgamare forma e contenuto. Una lettura che, a tratti, rapisce e incanta, proprio come la voce del vento, protagonista, in particolare, di una delle liriche più belle dell’intera silloge. Già, il vento che, imperterrito e forse indifferente all’umano vivere e soffrire, prosegue il suo cammino “lungo le strade infinite del mondo”; gli si presti ascolto ché soltanto esso “conosce molte cose/ e molte te ne dirà.”
Laura Vargiu
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