_____________________
Prefazione
“Voce del vento
che incanta e solleva […]
porta la mia anima
sorella del fuoco e dell’acqua
lungo le strade infinite del mondo […]
Lascia cantare il vento
che conosce molte cose
e molte te ne dirà”.
Katia Debora Melis
Il poeta è colui che passa. Il poeta è colui che attraversa voci, parole e frammenti di emozioni ma non le stringe fra dita avide, lasciandole libere come semi lanciati nel vento dell’umana Storia.
È proprio questa la sua vocazione: il non possesso garantisce la sofferenza della mancanza e, al contempo, il sacro anelito verso la luce della verità, la sola che squarcia la notte della contingenza.
Katia Debora Melis si muove sui percorsi dell’anima con l’eleganza di un verso ammaliante e frammentato da pause parlanti, vive e incontrollate, per tracciare, con la sabbia di mille clessidre, una linea. Forse è una linea, forse è una freccia, forse è un sentiero di briciole nel bosco nero della coscienza, il non-luogo che ci pone in bilico fra presente e passato, fra ricordo e speranza, fra disillusione e ebrezza di vita.
La poetessa, Madre di parole, di bambini e di antenati, si fa ventre di creature figlie del vento del destino, creature da cullare nella notte di un Natale in cui la croce del Golgota getta ombra sul profilo del Presepe.
La poetessa, Dea e Demiurga, si fa vaso alchemico in cui trasformare il canto subdolo delle sirene in un inno alla vita e alla rinascita nella Parola-Voce, nella quale tutto muore per ridestarsi, con-fondendosi nel vento della assoluta e ineffabile bellezza.
“Avvertire la presenza di un Angelo è come sentire il vento tutto intorno a te. Non riesci effettivamente a vedere il vento, ma lo senti, e sai che è lì”.
Bernardo di Chiaravalle
Emma Fenu
Commenti
comments