Impegni familiari e personali mi hanno tenuto lontano dal lavoro per alcuni giorni.
Ragion per cui pubblico solo ora gli interventi dei relatori alla presentazione del libro da me pubblicato intitolato “Immagine” scritto da Stella Gallello tenutasi a Tropea il 5 ottobre.
Buona lettura.
m.v.
PS. AL SEGUENTE LINK TROVATE ANCHE UNA MIA INTERVISTA ED UN’INTERVISTA DELL’AUTRICE: vai al post
INTERVENTO DEL PROF. PASQUALE DE LUCA
Ritmicità e studio della parola nella poesia di Stella Gallello
Relazione
Un giorno Mario Vallone, l’editore Mario Vallone, mi ha messo in mano l’Immagine di Stella Gallello. Un bel libricino di poesie. Poi, tempo dopo, mi ha chiesto se volessi dire due parole su di esso. Ho risposto di sì, come potevo esimermi da questo compito? Come potevo rifiutare l’invito di un giovane, di un giovane editore che ha scommesso e investe nella cultura? Di un giovane che ama questa terra ed è rimasto qua, non è fuggito in cerca di avventura? Ho detto di sì.
Io non conoscevo, non conosco Stella Gallello. L’ho conosciuta attraverso la sua poesia, che è arte, che mi ha colpito molto. Fin dalla prima pagina, dalla copertina carica di dubbi, carica di mistero: Immagine, il titolo; una rosa rossa su sfondo nero.
Mi ha colpito la bellezza delle poesie, di tutte le poesie, racchiuse nel libro come tesoro in uno scrigno. Le ho lette, le ho gustate con piacere tutte quante nella loro essenza, nella loro sostanza, nella loro forma artistica. Perché la poesia è arte, e il poeta è artista della parola. Confesso che ho avuto difficoltà a soffermarmi su una soltanto, o su alcune in particolare, per poter dire e parlare.
Stella Gallello, la poetessa Stella Gallello, molto giovane, sa scrivere e comporre. È artista della parola. Sì, mi permetto di soffermarmi un momento su quest’ultimo verbo: comporre = cum-ponere tradotto porre, mettere insieme più parole uguali e diverse per realizzare una composizione poetica, come un mosaicista che sceglie le pietre colorate per fare un mosaico o un fioraio che sceglie i fiori più belli per fare un bouquet da portare agli sposi.
Stella Gallello, nonostante la giovane età, è padrona dell’arte, è padrona della parola. La domina con sicurezza, la piega e la pone dove lei vuole. Non secondo il capriccio del momento o l’istinto di un istante, ma secondo una tecnica poetico-strutturale secondo cui la parola nella sua essenzialità, nella sua musicalità è espressione di un insieme di sentimenti, di emozioni. Che non sono passeggeri, ma vengono incisi come canzoni su disco vinile. Perché la poesia non è solo contenuto, ma anche forma, forma espressiva che si traduce in ritmicità e in studio della parola.
Certamente Stella, che è anche molto bella, d’altronde la silloge apre con la Bellezza, ha un bagaglio culturale invidiabile, ha uno studio approfondito alle spalle, ha un substrato che si rifà alla poesia moderna e postmoderna che scava e scarnifica la parola. Lei domina la parola. Sceglie quella giusta, quella che lei vuole, e la pone nella posizione più adatta a creare ritmo e musicalità nel verso, che non è un semplice “andare a capo”, ma ha la sua funzionalità nel tutto creato sulla pagina. Dove anche i vuoti, le virgole, i punti hanno un compito artistico ben preciso. Perché la poesia, lasciatemelo dire, non è solo scrittura, ma è anche visiva. Non è solo lettura e ascolto da gustare con l’udito, ma anche visione, come pittura, scultura, da vedere, guardare e ammirare. La Poetessa sa cosa fare.
Poesie brevi, “impressioni di una giornata”, poesie fatte di ricordi, di immagini che ritornano a sera nella solitudine nostalgica di una stanza. Che affollano la mente in pensieri ricorrenti, e si sdoppiano nel senso e nel significato come immagine di noi stessi riflessi su specchi diversi. E si assommano, e si confondono, e si annebbiano in breve spazio. In breve spazio di una pagina, quasi mai riempita di parole, dove il vuoto intorno è come passepartout nella cornice di un quadro che serve a mettere in risalto il dipinto nella bellezza dei colori.
Lo stesso avviene con le poesie di Stella Gallello, il bianco della pagina esalta la bellezza della parola. Che ha un suono, un ritmo tutto suo nella costruzione del verso, dove spesso troviamo assonanze, allitterazioni, rime interne e finali in una giusta dimensione che producono piacevole suono da ascoltare, da gustare, da apprezzare. Come dimostra la squillante, nitida voce di M. Elena Garrì, che interpreta e declama in maniera ottimale alcune delle liriche presenti in questa silloge di cui parliamo.
Ma non è solo questo che in essa noi troviamo. Sfogliando lentamente pagina dopo pagina, soffermandoci su ognuna di esse, ci accorgiamo di entrare in un sentiero pieno di luci, di ombre: un cammino tortuoso nell’animo umano. Un umano confronto. Un sé e gli altri. Un amore che va e viene.
Un incedere lento e faticoso sui passi della vita. Un chiedere molto, un chiedere poco. Essere sé e il contrario di sé. Un capire e far capire le cose, un affanno continuo a cercare l’orizzonte della vita in ciò che la vita ci può dare giorno per giorno. Un andare oltre il chiuso dell’orto, un guardare lontano dal piccolo all’immensità dell’infinito che ci avvolge e circonda.
Innumerevoli i temi trattati con competenza di linguaggio, con meticolosa precisione, per fare poesia, vera poesia. Perché “non basta andare a capo qui e là” per fare poesia, “per essere definito poeta”. “E così, nell’epoca più misera di sempre per la poesia e per i poeti (…) nell’epoca in cui la poesia sembra appassire” (cit. da Lello Voce, poeta), ecco a voi un libro, semplice e carino, che porta in sé vera poesia. Ed ecco a voi una ragazza, di ampia cultura, appena laureata, che è vera poetessa.
A lei un abbraccio sincero con l’augurio di meritati futuri successi.
Pasquale De Luca
INTERVENTO DI ANDREA RUNCO
Immagine
Di Stella Gallello
Riflessioni
L’opera sulla quale mi appresto a darvi una personale ed umilissima chiave di lettura ha come tema dominante l’amore con tutte le sue sfaccettature, comprese le delusioni, spesso fonte di gravi conseguenze per l’equilibrio di chi le vive, ma che, al pari di tutte le difficoltà della vita, diventano sanabili, se Dio ci viene incontro con il suo aiuto. Detto ciò, ritengo che siamo fortunati perché oggi la provvidenza ci ha propiziati di una felice congiunzione astrale tra una stella amica, che ci ha guidati fin qui, ed un’amica Stella, che ci ha riuniti per regalarci un momento di riflessione sulla raccolta di poesie Immagine di cui è autrice, nella quale, ella esordisce con dei versi che apparentemente sembrano librarsi in uno spazio indefinito, popolato da luci ed ombre, che ci cantano di un amore, che non sappiamo se puramente platonico o realmente vissuto.
Da questo chiaro-oscuro traspare una storia contrastata, ma è una verità che non possiamo accertare, perché il gioco sembra essere nelle mani del destino. Infatti, l’autrice scrive che, pur trattandosi di un’avventura notturna, la sera non sorge sempre con le stelle per illuminare questo amore (Una stella). Per questo motivo, mostra titubanza nell’assumere comportamenti pienamente consoni ai gusti di lui, facendo intuire che questa loro avventura non doveva neanche iniziare. La certezza di non poter essere la sua ombra (Te ne vai) potrebbe far pensare che lui sia una persona già impegnata o impedita per motivi a noi ignoti.
Infatti, l’amore fervente che Stella vive nei versi sembra destinato a non avere lieto fine, perché nato tra esseri appartenenti a mondi diversi, visivamente rappresentati dal mare e dal cielo (Un delfino e un gabbiano). Quindi, la loro fusione può avvenire idealmente solo in un punto e in un preciso momento del giorno, cioè all’orizzonte, quando il sole è nel pieno fulgore del tramonto.
La diversità viene rimarcata nel componimento Il tuo nido ogni stagione, dove “lui” sembra appartenere ad altre latitudini geografiche o emigrato lontano. Come la rondine, però, ritorna a primavera, cercando lei, suo nido.
Il concetto della distanza è ribadito nel componimento che segue, Volare in due, nel quale egli si meraviglia di quanto il mondo sia piccolo tanto che due estranei come loro possono farsi più vicini.
Nella poesia Donna, la nostra autrice mostra tutta la sua insicurezza: non sapendo se indossare i panni della maturità, trova consolazione al dilemma nel componimento Tenerci, e nel successivo (Hai un cuore grande tu), quando dice “tienimi stretta” proprio come lei tiene serrato lui anche nei sogni.
Nella poesia Uomo, lei, appena sveglia, si accontenta di osservarlo mentre, con i suoi biondi e ricci capelli adagiati sul cuscino, dorme, e, sfiorandolo con un bacio, si premura di non svegliarlo.
Quando viceversa è lei a essere osservata e baciata da lui (L’Amore non è eterno), con gli occhi cerca di interpretare una risposta ai suoi pensieri e comportamenti.
Si evince la consapevolezza di vivere quest’avventura nel mondo della finzione, per evadere dalla realtà. Improvvisamente, però, diventa consapevole di essere ritornata ad essere tutto per qualcuno, per il quale, un tempo non era stata più niente (Tutto o niente).
Ciò, induce Stella a un momento di riflessione dal quale nasce l’ardente desiderio di dimenticare o meglio cancellare le angherie della vita, tuffandosi in acqua, come per ricevere un bagno lustrale e, da qui, iniziare un rinnovamento in tutto il suo essere (Pecora tra i lupi).
Stella ci invita a cercarla tra i suoi versi (Cadere), specie di notte, quando riaffiorano le sue paure, che le fanno toccare il fondo, perché soffre tanto l’attesa e la smania del corpo, che forse è già pronto a ricevere l’amore (Malinconia).
Lo stesso amore che in passato l’ha portata alla conoscenza di amicizie sbagliate, rimanendo delusa da quella “certezza” che pensava di aver trovato in una carezza (La sicurezza). Motivo sufficiente per consigliare a sé stessa di interrompere la storia in cui si è trovata.
Infine, il divagare di Stella approda alla conclusione che anche se ritrovasse il suo amore non significherebbe riaverlo per sempre, crucciandosi di cercarlo quando gli altri la mettono da parte (Mi manchi). Dopo quest’ulteriore certezza, non possiamo far altro che ricollegarci ai versi iniziali: questa storia somiglia più ad un amore passeggero piuttosto che a una vicenda duratura. Di ciò lei stessa si rammarica, perché lui non ci ha creduto fino in fondo, e altre sono state prescelte in sua vece (Il destino), ricevendo da questa esperienza solo l’onta dell’abbandono da parte di colui che aveva tanto amato (Vuota).
Che dire di quest’opera della quale l’autrice ci ha voluto rendere partecipi?
Le sue parole, magistralmente poste una dietro l’altra, sono divenute arte.
Stella ci ha saputi felicemente suggestionare, evocando immagini e sensazioni, e, appagandoci del tempo impiegato a leggerla, siamo giunti alla convinzione che ogni componimento è un tassello indispensabile del più ampio mosaico costituito dalla raccolta, sicuramente destinata a diventare più corposa, considerata la sua giovane età. Per il momento, i versi che ho avuto modo di ascoltare per la loro schiettezza mi hanno fatto vibrare all’unisono il cuore e l’anima, ricavandone la sensazione che la nostra amica, per quanto giovane sia, abbia raggiunto la consapevolezza che non è bene imbattersi in storie che lasciano dolorose ferite, anche se mitigate dalla Musa, che viene spesso in soccorso.
Auguro, dunque, di vero cuore, a Stella numerosi e sempre più arditi successi, affinché possa raggiungere con i suoi componimenti il settimo cielo, divenendo un luminosissimo astro del firmamento poetico, al quale appartiene già a pieno titolo.
Andrea Runco
INTERVENTO DI STELLA GALLELLO
Buonasera a tutti,
ringrazio il mio editore Mario Vallone, per avermi ospitata nella città di Tropea per presentare il mio libro. Come ho già detto nel corso della mia prima presentazione a Montepaone, Immagine è il primo libro della Mario Vallone Editore, e sono davvero orgogliosa e onorata di questo, considerato il traguardo professionale e il valore affettivo che il nuovo marchio rappresenta per Mario.
Ringrazio il professore e presidente dell’Associazione culturale “Tropea: Onde Mediterranee”, Pasquale De Luca, per aver elaborato una relazione sulla mia tecnica poetica, intuendo che non solo la punteggiatura ma anche i vuoti hanno una funzionalità artistica ben precisa.
Grazie ad Andrea Runco, poeta e scrittore, per la bellezza e la sincerità delle sue parole, per aver fornito una sua interpretazione sul mio libro, emozionando tutti i presenti.
Grazie a Elena Garrì per aver recitato le mie poesie.
Un ringraziamento particolare a Katia Debora Melis per avermi recensita su Oubliette Magazine.
E soprattutto, Grazie ai presenti.
Sono particolarmente emozionata di essere qui, questa è la mia seconda presentazione ed è come se fosse la prima. Per uno scrittore è importante riscuotere consensi, ma soprattutto ricevere attenzioni.
La verità è che non si scrive solo per sé stessi, ma per essere letti. Ringrazio i miei lettori, che mi hanno confidato di avermi letta anche più di una volta, riconoscendosi in quello che ho scritto.
Quando ho iniziato a scrivere, la mia intenzione era quella di ricevere comprensione e ascolto da parte degli interlocutori. La poesia è stata ed è “un mezzo per conoscermi, restando sempre indefinita”.
Questo perché non possiamo restare fissi in una forma, e anche se, a volte, gettiamo la maschera, per necessità ne indossiamo subito un’altra.
Da quando avevo 15 anni o poco prima, ho iniziato ad avere, come direbbe Pirandello, questo dialogo tra il Grande me e il Piccolo me. In alcune poesie, infatti, mi rivolgo a me stessa usando la seconda persona, ed è come se in me convivessero due persone in una. Una che vive, l’altra che cerca di dare senso alle cose, di spiegarsi il perché “alcune cose” accadono.
Come ho precedentemente detto in un’intervista rilasciata a Tropea e dintorni, scrivere è stato dapprima una sorta di esperimento, un resoconto delle impressioni di una giornata, in seguito è diventato un appuntamento serale. La sera è, infatti, il momento in cui “metto a nudo le mie ipocondrie” (come scrivo in Cadere), il momento in cui i ricordi riaffiorano nella mente e avverto una profonda nostalgia di quello che è stato e non potrà più esserci.
La nostalgia, come scriveva Cesare Pavese, serve a ricordarci che siamo fragili.
La notte, infatti, con il suo velo nero, non porta “consiglio” (come recita un proverbio), ma ci rende “conigli”, ovvero paurosi, perché ci fa soccombere nell’angoscia, nel dolore, nella malinconia, nell’ansia di pericoli inesistenti.
Ognuno di noi lotta con la propria notte, spera che arrivi al più presto un nuovo giorno per ritrovare le forze e indossare una nuova maschera, quella del coraggio.
La silloge è frutto di questo coraggio, e di un intenso lavoro di labor limae. È una sorta di diario in versi, aggiornato in base alle esperienze vissute o mediate. Immagine è il libro del mio cuore.
La poesia è riuscita a condensare in poche righe tutto quello che stava dentro al mio cuore, tutto quello che non riuscivo ad esternare a voce, tutto quello che interiorizzavo ed empatizzavo, come se fosse stato un altro a dettarmi le parole.
Quando ho suggerito queste parole a Francesco Marmorato per il suo articolo, ho subito pensato alla poesia Un poeta. Qui, infatti, ringrazio le esperienze che mi hanno ispirato a scrivere poesie e ironizzo sul mio essere “contraddittoria”, arrivando addirittura a dire che un altro, un poeta, si sia servito del mio corpo per condannarmi a “vivere dei suoi pensieri”.
Un poeta
Contraddittoria
contemplo il mio ego
segnato.
E se così non fosse
stato
tante parole belle e vissute
non sarebbero uscite dall’anima.
Forse è un poeta
ribelle
che usa il mio corpo,
e anche lui mi
condanna
a vivere dei suoi
pensieri.
Questo altro, questo poeta, si potrebbe denominare, usando termini freudiani, Es o inconscio.
Possiamo conoscere l’Es attraverso la narrazione, e quindi la scrittura, attraverso i sogni, che rivelano i nostri desideri più reconditi. E cosa rimane del sogno?
Rimane un amore idealizzato
Di ciò che abbiamo amato Rimane
Spesso il bisogno di sentirci amati ci porta a idealizzare qualcuno, a inseguirlo e ad allontanarci da chi già “ci conosce e ci ama”. Pecora tra i lupi
Secondo Elsa Morante, che tra l’altro aveva letto Freud, l’inconscio fa arte. I sogni sono “creazioni artistiche”, compensazioni di ciò che in realtà non si può avere.
La poesia Poeta s’ispira ironicamente alla teoria della metempsicosi: credenza di alcune religioni (sia orientali che occidentali), secondo la quale, dopo la morte, l’anima si trasferisce in corpi diversi fin quando non si distacca totalmente dalla materia. Questa trasmigrazione da un corpo all’altro serve all’anima per purificarsi.
Nel prologo degli Annales è Omero a svelare ad Ennio il mistero della metempsicosi: Omero appare in sogno al poeta per confessargli di essersi incarnato prima in un pavone (simbolo dell’immortalità dell’anima) e poi nel suo corpo, affinché raccontasse come se fosse un nuovo Omero la vicenda epica di Roma ai Latini.
Nel mio caso, la scrittura viene intesa come una sorta di percorso interiore verso la purificazione dell’anima, soprattutto dopo una caduta o una perdita della propria identità, è una forma di resilienza oltre che di conoscenza del sé.
In Cadere, la poesia è “strumento salvifico”, che ha il compito di attenuare il dolore, di tenerci in vita nell’attesa della caduta finale, ovvero la morte, che ci libererà inevitabilmente dalla sofferenza.
Non esiste un futuro senza preoccupazioni, ma possiamo vedere le nostre ansie nella giusta prospettiva. Inutile, infatti, “affannarsi per il domani” perché, come recita il Vangelo “il domani avrà le sue inquietudini” (Mt 6,25-34), e ogni cosa va affrontata a suo tempo.
Rispettivamente in Se penso a domani e in Sola, infatti, emerge questa volontà di annichilimento per trovare pace e serenità ai problemi, e si evince la possibilità di trovare un posto in cui “dissolvere il corpo” e trovare qualcuno disposto ad amarci.
Se penso a domani
Se penso a cosa
mi aspetta domani,
il cuore
non reggerà
a quel che passa
alla testa stasera.
Nata per deludere,
sbaglierò ancora,
senza aver imparato nulla.
Tanta è la voglia di spegnersi
e vivere tranquilla,
lontano dove,
non si sa dove,
il corpo si dissolve.
Nell’explicit di Sola si legge:
Sola
[…]
E io cercherò,
e io griderò
se c’è qualcuno,
in qualche posto,
disposto ad amarmi.
Nel libro ho utilizzato il topos del sogno e la fictio letteraria per narrare i tormenti della mia anima, le inquietudini che alcuni possono già aver vissuto e che altri potrebbero, invece, ritrovarsi a vivere.
Ecco perché Immagine piace e unisce generazioni diverse, perché tutti si possono ritrovare in quello che ho scritto, in un amore non corrisposto, nelle amicizie finite male, scorgendo la vulnerabilità dei rapporti e la bellezza sentimenti nella loro contraddizione.
La scrittura si oppone al silenzio: non si può morire in silenzio, consumare il dolore in solitudine.
Ne Il dolore è presente un’immagine ossimorica: se noi fossimo della carta non saremmo in grado di contenere “tutto il dolore” se questo fosse una sostanza liquida, perché la carta si straccerebbe. La poesia recita:
Il dolore
Come se fossi carta
e potessi assorbire
tutto il
dolore.
Letta in un altro modo, la poesia, non noi, è la “carta” che può contenere i nostri sentimenti, i nostri dispiaceri, che altrimenti, soffocati dentro, rischierebbero, come si legge nella Prefazione, di dilatarsi a dismisura, trasformandosi in rabbia, in odio o distacco decisivo dal mondo.
La poesia e ogni forma di racconto, l’arte ci invitano, dunque, alla condivisione, diventando universali.
La raccolta, come afferma la De Melis, è capace di innescare meccanismi di empatia, grazie ai temi affrontati, al ritmo, ma anche all’ironia. Quello che ho cercato di fare è un duro lavoro di conoscenza del sé. La prima alterità, il primo altro, infatti, siamo noi stessi.
Conoscere noi stessi significa ricercare la nostra immagine negli altri, che ci fanno da specchio, significa amare le persone che conosciamo e con le quali ci identifichiamo. Da qui la dedica: “A chi mi conosce e mi ama”.
Tuttavia, l’amore usato come mezzo di conoscenza vale solo in parte: la vita e il nostro essere rimangono un mistero.
La massima di Elsa Morante “solo chi ama conosce” è solo un alibi.
Grazie per l’attenzione.
Stella Gallello