La pioggia violenta delle ultime settimane di agosto ha trasformato gli affacci a mare della città di Tropea in cascate.
Acque impetuose piombavano sulla marina portando fango e pietre, rompendo muri di contenimento, terrorizzando bagnanti e turisti vittime potenziali di un imprevisto bombardamento naturale. Tra i malcapitati si diffondevano paura e terrore.
Cosa era successo?
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Si era semplicemente verificato ciò che si temeva da tempo. La città di Tropea ha allargato ed esteso il costruito, le strade cementificate e bitumate.
Non sono cresciuti però gli sbocchi a mare. Né è stata adeguata alle nuove esigenze la rete di raccolta delle acque piovane e la rete fognaria. Così saltano i tombini, l’acqua e i liquami invadono le strade e la pendenza naturale del terreno le convoglia verso i confini della città, sulla rupe e sul mare.
Nascono le cascate.
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Il problema è aggravato dalla chiusura idiota di vecchi cunicoli sotterranei che facevano defluire l’acqua della città storica verso il mare.
Si aggiunga che in molti dei vecchi palazzi storici hanno ricavato – si dice – appartamenti scavando sotto terra ed hanno appesantito i piani superiori eliminando le travi e le tavole, sostituite con puntelle di ferro, mattoni e cemento. Un peso aumentato su una base muraria non idonea a sopportare il nuovo carico.
Sono sorti poi alberghi e B&B con ulteriore carico umano e relativi problemi. E si aggiunga che i muraglioni in cemento, nati per sostenere la rupe, presentano ormai un vuoto di circa venti centimetri tra il cemento e la rupe.
Così si dice.
Segno evidente di una capacità erosiva delle acque piovane, delle fogne non convogliate sulla zolla di tufo su cui sorge la città.
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Bisogna però avere il coraggio di fare la Cassandra cari innamorati di Tropea, cari cittadini della Perla del Tirreno, la città dà i primi segni di erosione e di un possibile tracollo.
I palazzi a picco sulla rupe possono collassare per l’erosione della base su cui sorgono. Il cemento delle arcate di sostegno non regge assolutamente nulla ed è sottoposto, a sua volta, all’attacco del tempo. La durata del cemento è, infatti, limitata e sono ormai trascorsi decenni da quando le arcate sono state costruite. L’obsolescenza del cemento è evidente a occhio nudo. Che fare?
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Vanno prese subito alcune misure, tra queste:
1) Riaprire i canali sotterranei per consentire alle acque di fuoriuscire divise dalla zolla di tufo sulla quale sorge la città;
2) Chiudere i piani scavati sottoterra;
3) Togliere putrelle e cemento dai palazzi mettendo travi e tavole;
4) Riesaminare le concessioni di alberghi, ristoranti e B&B nel centro storico previo esame tecnico alle singole strutture;
5) Aprire e costruire immediatamente un canale per l’acqua piovana che faccia da anello collettore alla città;
6) Rivedere l’ammodernamento della rete idrica e fognaria;
7) Chiudere subito gli scarichi fognanti sulla rupe.
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Se qualcuno ha proposte più efficaci le faccia conoscere. Restando fermi dobbiamo sapere che, dal punto di vista geologico, l’orologio del tempo di Tropea segna già l’inizio della fine.
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Gli uomini hanno costruito Tropea e la sua bellezza; gli uomini stanno distruggendo Tropea e hanno già deturpato la bellezza ammirevole e ammirata di questo lembo di terra.
Gli uomini possono ancora correre ai ripari e salvare ciò che resta di un vero e proprio miracolo di fantasia creatrice e di rapporto splendido tra città e territorio, città e mare.
L’auspicio è che lo facciano subito. Oggi, non domani. Perché domani è già tardi.
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Celebrare la giornata della Terra Madre significa che ciascuno di noi, concretamente, salva lo spazio in cui vive e lo spazio nel quale si riconosce come luogo della propria identità.
Per chi ama Tropea il dovere morale è salvare Tropea con la sua storia, la sua memoria di pietra, il suo mare, i suoi spazi proiettati verso il Monte Poro.