Sarina Rombolà, mia madre, mi ripeteva spesso che i morti vanno ricordati, che non bisogna dimenticare il passato. Lei mi parlava sempre della gente di Brattirò passata a miglior vita, della storia dei luoghi, dei monumenti, delle vicissitudini umane.
E gli stessi argomenti sono, non di rado, al centro dei dialoghi con mio padre.
I miei genitori mi hanno trasmesso questi “valori”, questo senso di rispetto, allo stesso tempo di appartenenza ad una comunità, ad un sentire comune, ad una cultura.
Ricordo che, addirittura, con mia madre, in passato, siamo stati più volte al cimitero, a far visita a tutti i morti, soffermandoci su tombe antichissime, su personaggi deceduti molti decenni fa, quasi dimenticati. Ed era piacevole ascoltare i suoi racconti… collegare i nomi, le vicende, scoprire e assaporare aneddoti.
Ora che lei non c’è più, questa voglia di ricordare, di non dimenticare, non si affievolisce, anzi: si alimenta sempre più e mi spinge, con incessante e rinnovato ardore, intensità di affetti e di passione, ad annotare, a raccogliere voci e testimonianze… e a raccontare.
Buona parte di questo – chiamiamolo – “lavoro” si concretizza attraverso la ricerca e la pubblicazione di immagini rare e significative, molte delle quali estrapolate da album di famiglia, come quella di oggi.
Gustiamocela.
Vedendo le foto e commentandole riportiamo in vita volti, attimi, luoghi e situazioni: ricordi che ci addolciscono l’anima.
L’anno dello scatto è il 1982, mese di ottobre. Un banchetto nel casolare nei pressi del bivio di San Rocco, oggi diroccato e disabitato, di proprietà di Pasquale Vallone (u rollu). Da notare tutti i dettagli: le ceste; le travi; la credenza.
L’uomo a sinistra è Antonio Furchì, fratello gemello di mia nonna Saveria (il padre di Peppe di Manna). E’ deceduto nel giugno del 1994. Veniva ogni mattina a casa mia ed io, bambino, bevevo il caffè assieme a lui. Ripeteva sempre, sorseggiando una bevanda o assaggiando qualche dolce o frittura: “Ca chissu ndi resta” (Come dargli torto! Pillola di saggezza!).
L’altra persona, volgendo lo sguardo verso destra, è il marito di mia zia Maria Vallone: Antonio Vallone (u rollu). Se ne è andato, prematuramente, il 3 ottobre del 1990: il primo, grande, dolore, di cui ho avuto piena consapevolezza nella mia vita (avevo 9 anni), il cui segno porto ancora dentro. Dovevamo fare così tante cose con zio Antonio che non sarebbe bastata una vita. Invece, è morto dopo pochissimi anni dalla pensione. Talvolta mi sembra che sia ancora a Torino e che, un giorno tanto atteso, farà ritornò nel paese natìo. Spero solo che al più presto si concretizzi la sua ultima volotà: un ospizio per anziani, o comunque una struttura di assistenza ai bisognosi nel terreno di sua proprietà situato all’entrata di Brattirò recentemente donato da mia zia all’associazione “I discepoli di Padre Pio” per la realizzazione proprio di questi obiettivi (la foto in questione è stata scattata proprio nel casolare all’entrata del terrreno).
I tre volti a seguire non permettono di stabilire con precisione la loro identità, ma l’uomo con i baffi, con ogni probabilità è Pino Giuliano (La Bussola).
Gli altri personaggi dovrebbero essere a tutti (i brattiroesi) ben noti.
Abbiamo il carissimo Mercurio Furchì (di Manna), morto da pochi anni. La simpatia di Mercurio non aveva eguali; era piacevole trascorrere il tempo con lui. Un maledetto male l’ha dilaniato in poco tempo, ancora “giovane”, pochi anni or sono.
A fianco di Mercurio c’è Peppe di Manna, a seguire Michele Pulicari (saputo), mio padre, dott. Pasquale, e, con la barba lunga, un inconfondibile e stiloso Lando.
Alla prossima.
m.v.
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