Ospito con piacere un intervento di Domenico Antonio Naso, commercialista cariese trapiantato da anni a San Nicolò di Ricadi, amico del blog, il quale, con un linguaggio semplice, ci spiega i rischi che comporterebbe l’uscita dall’Euro per il nostro Paese.
Vi invito a leggere con attenzione il suo intervento nel prosieguo di questo post.
Personalmente mi trovo daccordo con lui. Il problema non è l’Euro in sè e la soluzione non è uscire dalla moneta unica, bensì lottare per regole diverse e più eque.
MarioVallone
L’attuale situazione politica pone nuovamente alla ribalta il problema della permanenza o meno dell’euro nel nostro Paese.
Qualcuno vorrebbe far credere che la crisi che sta ancora interessando la nostra economia è dovuta alla introduzione dell’euro e che il ritorno alla vecchia nostra lira potrebbe risolvere tutti i problemi economici.
In particolare ci si lamenta che l’Europa ci impone di mettere ordine nei nostri conti pubblici, obbligandoci a mantenere il deficit del bilancio dello Stato entro il famoso limite del 3% del Pil e questo non ci consente, come fatto per decenni, di coprire il disavanzo cronico del bilancio statale con il ricorso sistematico all’indebitamento e anche con l’emissione di carta moneta senza alcun limite.
Questo modo di amministrare la cosa pubblica ha consentito agli italiani di godere per tanti anni di un tenore di vita superiore alle proprie possibilità, di avere un elevato numero di baby pensionati, di mantenere, ancora oggi, numerosi Enti inutili e di sostenere una spesa davvero esagerata per la pubblica amministrazione, compresi i trattamenti economici erogati ai nostri politici, di gran lunga superiori alla media europea, e, non ultime, le continue ruberie del denaro pubblico.
Di contro, il debito pubblico ha raggiunto cifre astronomiche, non più sostenibile dal nostro fragile sistema economico, 2.300 miliardi di euro a fronte del quale lo Stato deve pagare oltre 90 miliardi di interessi ogni anno. Non è possibile pensare che si possa andare avanti all’infinito finanziando il deficit del bilancio dello Stato ricorrendo sistematicamente al debito e stampando carta moneta, ciò non serve a risolvere il problema economico ma solo ad aggravarlo.
Questo modello di politica economica ha creato seri problemi di tenuta della nostra lira negli anni ’80 e seguenti, quando il nostro Paese ha vissuto un periodo economico molto difficile, caratterizzato da un’inflazione intorno al 40% e con tassi bancari che superavano il 30% sui prestiti concessi. In quel periodo la lira si è svalutata pesantemente nei confronti delle valute degli altri Paesi.
Nel 1980 1 dollaro Usa costava 855 lire e 1 Marco tedesco costava 470 lire. Nel 2001, alla vigilia dell’introduzione dell’euro, il dollaro costava 2.170 lire e il marco 990 lire.
A Dicembre 1980 il tasso di remunerazione dei Bot a 6 mesi era del 17% e a Dicembre 1981 del 22%.
In quegli anni, per cercare di frenare la svalutazione della lira e limitare l’acquisto di valute straniere, sono stati posti in essere numerose limitazioni. Ad esempio il cittadino italiano che andava all’estero in vacanza oltre alle spese di viaggio e albergo, regolarmente documentate, poteva portare con sé valuta estera per un controvalore non superiore a Lire 200.000. Perfino alle società di calcio era stato imposto il divieto di comprare giocatori stranieri.
I benefici che si avevano dalla svalutazione della lira che favorivano le esportazioni dei nostri prodotti all’estero, venivano vanificati dal continuo aumento delle materie prime comprate all’estero, in primo luogo il petrolio.
Dobbiamo, purtroppo, prendere atto che l’introduzione dell’euro, unitamente alla globalizzazione dei mercati, hanno messo allo scoperto la fragilità della nostra economia, e la scarsa competitività del nostro apparato produttivo penalizzato anche da una burocrazia farraginosa, da infrastrutture inadeguate e da un’alta imposizione fiscale e previdenziale.
Molti imprenditori, anziché affrontare la sfida del mercato globale, hanno preferito vendere le loro aziende alle multinazionali con le conseguenze che ne derivano in termini occupazionali. Per tanti anni ci siamo illusi che per rendere competitivi i nostri prodotti all’estero bastava la continua svalutazione della lira senza preoccuparci di fare ricerca per puntare ad una produzione di qualità che ci avrebbe consentito di conservare quella posizione di privilegio che ci ha visto primeggiare per tanti anni in settori chiave come l’industria automobilistica, degli elettrodomestici, della meccanica in genere e anche dell’elettronica.
Sarebbe davvero molto semplicistico attribuire i mali del nostro disagio economico all’introduzione dell’euro e pensare che abbandonando l’euro il nostro Paese possa risolvere tutti i problemi economici.
Oggi l’uscita dall’euro sarebbe un vero disastro per l’Italia, forse riavremo gli stessi problemi vissuti negli anni ’80.
- Ci sarà un assalto alla banche per ritirare i propri risparmi in euro ed evitare che gli stessi si tramutassero automaticamente in lire svalutate; è già successo in Grecia alla vigilia della paventata uscita dall’euro;
- Ci sarà un’impennata dell’inflazione generata anche dai rincari delle materie importate dall’estero.
- I tassi sugli interessi subiranno sicuramente un forte rialzo e ciò creerà un grosso problema in quanto lo Stato dovrà pagare somme di interessi sul debito pubblico di gran lunga superiori a quelli attuali.
- I tassi di interesse dei mutui stipulati a tasso variabile si potrebbero triplicare passando dall’attuale 3 – 4% ad oltre il 12%.
- I debiti che le banche e le imprese hanno verso l’estero espressi in euro dovranno essere pagati con tale moneta e ciò metterà in gravi difficoltà i debitori che dovranno pagare con un euro che nel frattempo si sarà fortemente rivalutato nei confronti della lira.
- Ci sarà da chiedersi quanti investitori stranieri saranno disposti a comprare i titoli si Stato espressi in lire italiane; i maggiori tassi di remunerazione non compenseranno il maggiore rischio Paese; è già successo in Argentina.
- Si può facilmente immaginare quanti risparmiatori cercheranno di portare nuovamente all’estero i soldi per proteggerli dalla svalutazione della nuova lira.
Uscire dall’euro per risollevare l’economia del Paese è un’illusione, i danni sarebbero di gran lunga superiori ai momentanei vantaggi.
Di contro dobbiamo prendere atto che con l’operazione “Quantitative easing” la Banca Centrale Europea ha comprato dalle banche italiane circa 300 miliardi di titoli di Stato del debito pubblico e ha dato un aiuto determinante al nostro Paese, fornendo al sistema bancario la liquidità necessaria per soddisfare le richieste di finanziamento delle imprese e delle famiglie.
Ritengo che l’obiettivo da perseguire non è uscire dall’euro, ma adoperasi fattivamente in Europa per cambiare le regole attuali, dare il giusto ruolo alla BCE, perseguire la parità dollaro/euro, far pesare di più le esigenze dei Paesi ad economia debole e limitare l’attuale strapotere dei Paesi con un’economia più forte.
Domenico Antonio Naso
Commercialista
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