Siamo in viaggio ormai da ore, ma continuo incessantemente a chiedere a papà quando arriveremo.
Crescendo in una cittadina, ho sempre adorato queste partenze.
Brattirò, infatti, ai miei occhi è sempre stato speciale.
Quasi come se fosse magico e così diverso dall’ambiente in cui sono cresciuta, da attendere con ansia di ritornare lì.
Spiegare questo amore verso un così piccolo paese non è per nulla semplice.
Paragonare, ad esempio, la città in cui studio quale Bologna ad un paesino in collina calabrese e continuare a preferire il secondo sembrerebbe assurdo.
Ma è così e Brattirò nel tempo ha confermato questa mia convizione.
A Natale, soprattutto, le tre ore che mi dividono dal paesino di mio padre sembrano decenni e Vibo sembra essere lontana km dal traguardo.
Quando arriviamo sul ponte del paradiso, come lo chiamo ironicamente io, a Pizzo il mare e il profumo della mia vera origine mi richiamano alla mente tanti ricordi.
Il vero e proprio entusiasmo, però, lo provo solo quando superiamo Tropea, Ciaramiti e arriviamo a quel cartello un po’ malconcio che indica “Brattirò” ed invita a non andare troppo veloce.
Dopo quel cartello, sono subito a casa e le luci nelle vie riempiono i miei occhi, ma il mio cuore viene colmato solo quando arrivo ad una determinata luce.
La luce di Via Posta 51, lì dove il mio cuore si ferma per un attimo e comincia a ribattere superata la soglia.
All’interno di quella casetta, seduta con un plaid sulle gambe, c’è mia nonna che, cercando di trattenere le lacrime, ci accoglie con il suo ampio sorriso e, dopo poco, mi chiede se ho già mangiato, come ogni nonna che si rispetti.
L’atmosfera natalizia di Brattirò è bella proprio per questo, perché all’interno di ogni casa si sente il calore della famiglia, dei propri cari lontani che sono tornati per festeggiare tutti insieme.
Le tradizioni ci ricordano quanto sia bello staccarsi dal lavoro, dalla città, dalle abitudini e ci sottolineano i valori che non andrebbero mai dimenticati.
Le tombolate con le bucce di mandarino o di arancia sul tavolo, i 20 centesimi a cartella perché 1 euro è da ricchi, il freddo di case aperte solo durante le vacanze per poter essere in tanti.
Aspetto con ansia questa festa anche se odio ricordare il “profumo” del baccalà, perché “è tradizione”, anche se poi su 10 lo mangiano in 4.
Aspetto con ansia di indossare gli abiti nuovi, anche se so che potrei uscire anche in jeans, ma “è tradizione vestirsi di nuovo, è festa!”.
Aspetto con ansia il 24 sera, perché anche se so che tornerò all’università con qualche chiletto da smaltire, il cenone “è d’obbligo”, non è tradizione.
E che dire della giornata del 25, quando odi arrivare in piazza e pensare che devi augurare a tutti Buon Natale, ma “è tradizione, non puoi mica passare dritta” e sorridendo ricordi che anche questo è Brattirò.
O che dire delle serate passate a giocare dalla nonna di Miriam, Nunziata, dove si riuniscono tutti i nipoti, figli e vicini e i soldini spesi sono il miglior investimento dell’anno, anche perché “è festa e bisogna giocare fino a dopo la Befana!”.
O le tombolate al bar della Lince, i veglioni alle Scuole Medie, le feste a Caria, la partita a carte da Peppe Zungri e le serate passate di fronte una tisana da Carletto.
Molte cose sono cambiate negli anni, come è giusto che sia, tra la generazione dei genitori e la nostra, ma certe cose non cambieranno mai ed è questo che rende Brattirò magico.
Adoro il Natale, ma lo adoro ancora di più se penso al mio amato paesino dove chiunque tornerebbe ad essere un bambino.
Agnese Rombolà
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