7 sono le cose

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Lo voglio dire subito: siamo di fronte ad un libro nuovo. Nuovo nella forma, nella struttura, nel contenuto. Un libro che si allontana dai cliché tradizionali della passata poetica ed entra in una dimensione nuova per argomentazione tematica, per filosofia della parola. È un libro che tradisce la subita impressione che, oscurata da scolastica incrostazione, trova semplicistico il tema, lo stile dell’Autore. Ciò non è vero.

Marcello Macrì esce in campo con un libro che è poesia in ogni sua pagina, in ogni sua parola. Ed è riflessione. Riflessione spontanea dell’Autore, riflessione indotta del lettore. Non si può andare avanti, senza tornare indietro, senza fermarsi. Fermarsi e riflettere: questo è l’invito che fa Marcello a chi legge e che invece vorrebbe fuggire fuori dal tempo. Non può farlo, perché è il tempo il protagonista unico di questo libro. Il tempo visto nella ciclicità dei numeri, nella ciclicità delle stagioni.

Macrì, a dispetto di ogni paludamento cattedratico vecchia maniera, fa poesia, buona poesia. Nella semplicità della parola che la scolpisce sulla pagina bianca a mo’ di epigrafe su lucido marmo per imprimerla di forza nella mente e portare alla meditazione, alla riflessione. Quasi a dire: non si può fuggire al tempo che, infinito, come i numeri, va avanti e sempre ritorna in un ciclo continuo che non si ferma mai e che scandisce la piccolezza dell’uomo non in giorni, in ore, in minuti o in secondi, ma nelle stagioni che prendono più vasto spazio e sfumano lentamente come i colori del tramonto all’orizzonte.

Numeri, colori, parole. Di questo è fatta la poesia di Macrì, che li usa separatamente pagina dopo pagina in un legame continuo che va dall’inizio alla fine e ritorno con sosta intermedia per unirsi poi come in una coroncina di pochi grani, di pochi colori in un mix poetico di elevata potenza ingentilita dalla versificazione della parola. Alla quale Egli guarda con lo sguardo puro di un bambino che si riempie di umana curiosità man mano che va avanti nel tempo che non conosce gli anni. E utilizza il foglio bianco per fermare con l’incisività della parola il tempo, per farlo andare avanti, per farlo ritornare con le stagioni: Primavera, Estate, Autunno, Inverno. Stagioni che ancora Egli colloca nel tempo: presente (È Primavera.), passato (Era Primavera.), futuro (È di nuovo Primavera.). Lo stesso vale per le altre stagioni.

È un libro composto quasi per gioco, un gioco fatto con incastro di numeri, di parole, di colori, al quale partecipa in prima persona la stessa pagina, il foglio bianco, dove si esalta la parola, o anche il disegno colorato, formando insieme un tutt’uno in armonia di immagini, di suoni e di colori che correndo sotto gli occhi e ritornando in circolo rappresentano il ciclo continuo della vita che si rinnova nel tempo e nelle stagioni.

Poesie brevi, o brevissime, poesie anticipate o seguite da un disegno quasi sempre incisive, troviamo in questo libro che, nell’originalità del suo percorso, rompe con il passato o si àncora ad esso in riferimenti alle correnti poetiche che hanno dominato il mondo artistico-letterario del Novecento in una dinamica, però, tutta in movimento. Un critico accreditato, in questo gioco fatto di numeri, di colori e di parole, potrebbe, forse, riscontrare aspetti tipici della poesia ermetica e futurista in una sfumatura cromatica di genere naif.

Fin dal titolo, 7 sono le cose, si percepisce chiaramente il motivo dirompente che c’è nel libro: 7 sono le cose: quali cose? E perché 7? 7 sono i peccati mortali. Per continuare: 4 sono le stagioni come le quattro Virtù Cardinali o come le foglie del quadrifoglio, 3 sono i capitoli come le verdi foglioline del trifoglio nel prato, mentre 8 il numero tondo che si staglia solitario come la boa rossa a mare da girare per tornare al punto di partenza, o al principio del libro, come invita l’Autore a fare. Un passaggio “talmente faticoso … che tutti ci vorremmo fermare al 7, rimanere lì per sempre, un desiderio talmente forte da deformare l’8 in infinito”, sue parole che ci costringono a riflettere sul tempo che è scandito dai numeri, dai disegni, dai verbi (è-era-sarà) ed è infinito, nel senso che non ha un inizio e non ha una fine, e che ritorna in continuo con le stagioni che Egli rappresenta con i numeri e con il cambio dei colori. Un passaggio “talmente faticoso” da un numero all’altro, come molto faticoso è il passaggio nel tempo della vita, che invece ha un principio e una fine in una ciclicità che continua all’infinito come il tempo inesistente se non nella percezione sensoriale delle stagioni vissute dall’uomo nella variazione dei suoni, delle immagini, dei colori. E naturalmente delle parole che vanno di pagina in pagina a sollecitare riflessioni e meditazioni sull’essenzialità del vivere umano in una dimensione limitata in un contesto illimitato di tempo infinito. Per semplificare: l’uomo nel mondo, in questo suo apparire, passare e andare, per poi scomparire nell’orizzonte lontano di un tempo infinito.

Emblematico è l’albero che “sta lì fisso con le sue radici sepolte dal tempo … in attesa di un arrivo (e) conta il tempo segnando cerchi nel tronco contorto dalla paura di un destino troppo a lungo solitario”, come solitario è il vivere dell’uomo che inutilmente vorrebbe tornare bambino per rincorrere il tempo nel gioco e per cercare il quadrifoglio nel prato, che mai troverà.

L’ho detto prima, lo ripeto ora: Marcello Macrì ha fatto un libro nuovo. Un libro di poesia con colori, immagini, parole da sorbire tutto d’un fiato, per ritornare poi su ogni singolo passo a gustare lentamente. E rileggere ancora, con tempo, pian piano.

Pasquale De Luca

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