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La chiesetta di Brattirò

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Un lettore mi ha scritto in privato chiedendomi informazioni circa la chiesetta all’entrata di Brattirò.

Lo accontento subito pubblicando, di seguito, un extract del libro “I Santi Medici di Brattirò” del dott. Pasquale Vallone (Thoth Edizioni).

m.v.

ORIGINI DEL CULTO A BRATTIRO’. LA CHIESETTA DI “SANTICOCIMEU”

Nel nostro territorio vi erano tanti monasteri basiliani, andati distrutti. Erano costruiti con canne, fango, paglia e arbusti intrecciati. Vi si raccoglievano i monaci che vivevano in comunità e in preghiera.

La prima sede del  culto dei Santi Cosma e Damiano, a Brattirò, fu una chiesetta tutt’ora esistente.

Ritengo che questo sia il sito più sacro che esista a Brattirò! Questa cappella è incorporata in una chiesetta più grande ed è ubicata sul lato sinistro di quest’ultima, a fianco dell’altare.

Misura circa 12 metri quadrati. Ha un altare che poggia su due colonne di granito.

C’è una nicchia centrale alta metri 2,20 e larga metri 1,50. In mezzo vi è un tabernacolo in legno e un porta calice pure in legno, erosi dalle tarme, ma ancora ben conservati. Lateralmente, scavate nei muri, ci sono due nicchie alte metri 1,20 e larghe 50 centimetri.

Sicuramente contenevano immagini e/o icone e/o dipinti dei Santi Medici e di altri Santi Orientali.

Anche il famoso trittico del 1403, che vedremo trasferito nella nuova costruzione del 1929, era patrimonio di gran pregio di questa cappella.

I muri sono in calce, pietra e sabbia e presentano, fino all’altezza di un metro, una tinta nera. Al di sopra, fino al tetto, una tinta rossiccia. Non si sa a quando risalga la costruzione, ma è antica di secoli.

Attorno c’erano le capanne dei monaci basiliani che vivevano nella Laura.

La Laura era una colonia di anacoreti che stava in capanne separate, sotto l’autorità di un superiore.

I primi cinque giorni della settimana lavoravano.

Spesso aiutavano i contadini che coltivavano i terreni adiacenti e con loro consumavano i frugali pasti.

A Brattirò si tramanda, di generazione in generazione, specie nelle famiglie di quelle persone che coltivavano, da sempre, i terreni in agro di Santicocimeu e Barone, attigui alla chiesetta, attorno alla quale c’erano le capanne dei monaci, che quei monaci aiutavano, nei lavori dei campi, i contadini.

I monaci dedicavano il sabato alla preghiera, e la domenica i contadini partecipavano alla messa che i monaci celebravano nella su indicata chiesetta.

Da generazioni, si racconta che quei monaci, di giorno, visti dall’alto dei casolari, correre per i campi nei loro sai scuri, “eranu comu l’ascarei”, non nel senso di ascari (militi indigeni dell’Africa Italiana), ma nel senso che sembravano tanti scarafaggi.

Si ha notizia dell’ultimo eremita della Laura: Furchì Francesco di Domenico e di Isabella Orfanò, morto il 14 dicembre del 1845, all’età di 75 anni.

Probabilmente la chiesetta rurale di Santicocimeu, con annesso battistero, era una pieve.

La pieve, detta anche chiesa plebana, era al centro di una circoscrizione territoriale e il termine designava una comunità cristiana stanziata nelle campagne.

Era una chiesa rurale con annesso battistero, presieduta da un pievano.

Costituiva il nucleo dell’organizzazione ecclesiastica delle campagna.

Alla pieve spettavano alcune funzioni liturgiche e da essa dipendevano altre chiese e cappelle private, sparse nelle campagne, di proprietà dei signori latifondisti, che non avevano il battistero.

Qui si conveniva per la messa domenicale.

A partire dall’VIII secolo il sistema delle pievi si era organizzato.

Avevano un proprio patrimonio e ricevevano le oblazioni durante la messa e la decima, resa obbligatoria in epoca carolingia, limitata ai prodotti agricoli anche se si cercava di estenderla a qualunque reddito.

La decima era un tributo di un “decimo”, calcolato sulla base delle entrate totali.

La pieve era l’unico luogo di culto in cui si potevano amministrare tutti i sacramenti a partire dal battesimo.

In origine il rito del battesimo veniva celebrato solo nelle cattedrali, cioè nelle città.

Alla pieve facevano riferimento villaggi o “ville” circonvicini, dotati anche di proprie chiese ove si svolgevano le normali funzioni liturgiche, tranne il battesimo, che si faceva nella pieve.

 I vicari del pievano, in epoca medievale, vivevano in comunità in una casa detta canonica, ed erano chiamati “canonici”, da canon, cioè elenco dei ministri di una chiesa.

I canonici raggiungevano le chiese soggette per la messa festiva e l’insegnamento della dottrina.

Nel basso medioevo le funzioni della pieve passarono alle parrocchie.

La PARROCCHIA, dal greco paroikia: “vicino alla casa”, oppure “vicinato”, è la circoscrizione territoriale ecclesiastica facente parte di una diocesi, che comprende una chiesa ed un dato numero di fedeli sottoposte alle cure di un parroco. Dunque è l’espressione più decentrata della Chiesa.

Secondo il codice di diritto canonico, “la parrocchia è una determinata comunità di fedeli che viene costituita stabilmente nell’ambito di una chiesa particolare, e la cui cura pastorale è affidata, sotto l’autorità del vescovo diocesano, ad un parroco quale suo proprio pastore.

Spetta unicamente al vescovo diocesano erigere, sopprimere o modificare le parrocchie; egli non le eriga, non le sopprima e non le modifichi in modo rilevante senza avere sentito il consiglio presbiterale. La parrocchia eletta legittimamente gode di personalità giuridica per il diritto stesso”.

 In origine le prime comunità cristiane affidavano tutta la liturgia ad un vescovo che risiedeva in una città.

Al di fuori della sede vescovile non esistevano chiese. Ma verso il IV secolo, le comunità cristiane rurali divennero tanto numerose da richiedere la residenza permanente, di un esponente del clero.

Nel 320, il concilio di Neocesarea parlò di corepiscopi, cioè presbiteri e vescovi rurali.

Furono eretti chiese rurali dapprima nei villaggi poi anche nei latifondi ecclesiastici e privati. Presso la chiesa risiedevano uno o più sacerdoti.

Nel VI e VII secolo sorse la ecclesia rusticana o parochitana e infine la parochia.

L’amministrazione fu affidata ai sacerdoti residenti che potevano ricevere donazioni dai fedeli. Conseguentemente il sacerdote residente divenne beneficiario delle rendite della parrocchia

Nell’VIII secolo le campagne circostanti le parrocchie vennero assegnate come territorio proprio della parrocchia che così ha assunto confini certi e ben definiti.

Verso L’XI e il XII secolo, la parrocchia rurale divenne il centro della vita cristiana della comunità. Accanto alle chiese, spesso, sorsero scuole e istituti di carità.

Le parrocchie urbane si svilupparono più lentamente, a partire dal IX secolo, perché la chiesa cattedrale rimase a lungo l’unica parrocchia della città sede del vescovo.

Questa chiesetta fu la prima sede del culto dei Santi Cosma e Damiano e si trova in una località chiamata “Santicocimeu”. È inglobata all’interno di una chiesa più grande, che prende lo stesso nome: Santicocimeu. Apparteneva ad un canonicato del Capitolo cattedrale di Tropea.

È stata costruita nel 1929, anche per ampliare la primitiva chiesetta. Il terreno era di un proprietario di Tropea, Di Tocco Raffaele (U Muccusu). Costui era restio a cederlo perché, probabilmente, era maledettamente attaccato ai beni terreni. Malauguratamente e sfortunatamente, perse la moglie per un improvviso e grave malore. La donna era stata del parere di cedere quel terreno, e il marito, intimorito per l’accaduto, credendo che la tragedia fosse un segno di Dio, lo cedette per la costruzione della chiesa.

Sulla parete di sinistra c’è una lapide in marmo su cui vi si legge: “Questa chiesa fu costruita l’anno 1929 in parte sull’area dell’antica chiesetta dei Santi Cosma e Damiano coll’obolo dei fedeli e per cura di Mon. Dott. Francesco Pugliese Decano del Capitolo Prelato Domestico di SS”.

Sull’altare c’è una nicchia ove è posto un trittico antico (1403) di gran pregio. Il dipinto rappresenta la Madonna delle Grazie col Bambino e tre angeli.

Ai lati i Santi Cosma e Damiano che curano due ammalati. In basso si legge questa scritta in latino:

“LOCI SANCTETATI CONGRUERET, CAIETANUS

SCARDAMAGLIA: CUM PROEBENDA SUB ORUM SS

MARTYRUM TITULO, TAM HANC EFFIGIEM QUAM

HUJUS TEMPLI PARIETES TEMPORIS LONGITUDINE

FRACT. S. M.., SUMPEMBU… INSTAURANDA SIMUL

QUE TECTU… RO SOLITUDINIS IN COLA EXI RUEND:

CURA… KAI 8 R AN. RS MDCCCXXIX”.

Attaccata al quadro c’è una targhetta recante la scritta:

“Restaurato nel 1996 per volontà di Michele Pugliese”

Si conserva il seguente scritto:

“Per la chiesetta dei Santi Cosma e Damiano in territorio di Brattirò:

Egregio Signore,

esiste nel territorio di Brattirò una chiesetta dedicata ai Santi Martiri Cosma e Damiano, che vi sono dipinti in un quadro non privo di valore. La chiesa antichissima fu per lungo tempo meta sospirata a numerosi e pii pellegrinaggi. Ma in seguito, logorata dal tempo, fu abbandonata e sarebbe certamente crollata se, pochi anni orsono, la pietà degli abitanti del luogo non vi avesse fatto eseguire alcuni lavori di restauro, i più urgenti, affinché non crollasse completamente.

Ora vi si vorrebbe compiere altre opere di restauro, per farla divenire più bella e più spaziosa, qualora i mezzi materiali non mancheranno.

Tutto ciò si potrebbe specialmente per ragione del quadro, che essendo dipinto su tavola e antichissimo, come si rileva dalla data che vi è scolpita, 1403, ha una importanza non indifferente e dovrebbe essere conservato come reliquia in un luogo più degno.

Servirebbe anche ad accrescere il culto dei SS. Cosma e Damiano che vi si è ristabilito da alcuni anni, con molto concorso di fedeli. Come si pregherebbe meglio in quel luogo santo, dove i nostri antichi accorsero con tanta pietà a soddisfare i loro voti, dinanzi al vetusto quadro dei gloriosi martiri, qualora la chiesetta fosse completamente restaurata e resa più graziosa dall’arte.

 

Per avere i mezzi materiali, onde compiere i lavori progettati, non c’è altra via che raccogliere l’obolo offerto dalla pietà dei fedeli.

È per questo che mi rivolgo alla Signoria Vostra, pregandola che voglia essere generoso d’una offerta anche piccola, che non cesserà di essere ugualmente gradita Ringraziamenti anticipati e saluti distinti.

Il Rettore della Chiesa

Teologo Francesco Pugliese

N.B. Le offerte si spediscono al Canonico Teologo Francesco Pugliese di Tropea.

Questa lettera è stata scritta, nel luglio del 1929, dal Teologo Francesco Pugliese al vescovo, monsignor Felice Cribellati.

Francesco Pugliese (17 febbraio 1882-10 giugno 1964) era Rettore della chiesetta di Santicocimeu.

Fu Prelato Domestico, che è un titolo onorifico conferito a preti  meritevoli. Costoro godono del titolo di “Reverendi Monsignore”.

Era docente di Teologia presso il Seminario vescovile di Catanzaro, nonché Decano del Capitolo.

Il Decano del Capitolo è un parroco equivalente ad arciprete o prevosto che ha cura dei beni e della disciplina del Capitolo, inteso, questo, come l’insieme dei preti e dei religiosi.

Inoltre, era Vicario Generale che è il prete il quale rappresenta il vescovo, cura i rapporti con la parrocchia, con gli enti territoriali e della società civile.

Cura anche l’amministrazione dei beni ecclesiastici e gli aspetti giuridici dei sacramenti e della loro celebrazione.

È ricordato come il “Teologo Vecchio” (u Tiolacu vecciu).

La risposta, deludente e striminzita, del vescovo Felice Cribellati, fu la seguente:

“Benediciamo di tutto cuore l’iniziativa del rev.mo Can. Teol. Pugliese per il restauro della chiesetta dei SS. Cosma e Damiano, come paternamente benediciamo a tutti gli offerenti ai quali preghiamo da Dio i più celestiali favori.

Tropea 10 luglio 1929. Felice vescovo”. 

Felice Cribellati nacque a Staghiglione, frazione del comune di Borgo Priolo, in provincia di Pavia, il 25 maggio del 1885.

Fu ordinato sacerdote il 21 settembre del 1907, da Monsignor Ambrogio Daffra. Esercitò il ministero sacerdotale con carità e zelo nelle opere delle congregazioni di don Orione, dove era entrato giovane.

Il 29 giugno del 1921 fu consacrato vescovo dal cardinale Vicario Basilio Pompili. Aveva 34 anni.

Fu mandato nella diocesi di Nicotera e Tropea.

L’8 settembre del 1921, al mattino, fece il suo ingresso a Nicotera e nel pomeriggio a Tropea, nella sua sede vescovile.

Qui fu accolto da tutta la popolazione festante con in testa il sindaco, il generale Alfredo Gabrielli.

Nella diocesi si distinse per il suo fascino oratorio, ma soprattutto per la sua semplicità di vita.

Nel 1933, fece erigere una croce, tutt’ora splendente, sulle colline di Sant’Angelo che dominano Tropea e tutta la costa.

Sulla collina di Sant’Angelo adattò la Villa Felice, già preesistente, prima a seminario estivo e poi a Casa di Accoglienza per bambini poveri e bisognosi, sostenendo l’iniziativa di don Gerardo Ruffa (3 ottobre 1910-26 marzo 1992), che monsignor Cribellati ordinò sacerdote il 29 giugno del 1937 nella Cattedrale di Tropea.

Si deve a lui la valorizzazione del santuario della Madonna del Carmelo di Monte Poro, tenacemente promosso dal devoto eremita fra Carmelo Falduto, e oggi Santuario.

Felice Cribellati morì a Tropea l’1 febbraio del 1952 e fu sepolto nella Cattedrale.

Ritorniamo alla chiesa di Santicocimeu.

Nel 1952 c’è stata una restaurazione con l’obolo, sotto forma di autotassazione, dei cittadini di Brattirò.

Scavando lungo il muro laterale destro per rinforzare le fondamenta, sono state rinvenute tantissime ossa umane.

Nei secoli passati, infatti, i morti venivano seppelliti sotto i pavimenti delle chiese e attorno ad essi. Accorsero autorità civili, militari e religiose.

Si dispose di sospendere gli scavi, dopo che quelle ossa furono riposte.

Venne costruito un canaletto di scolo per il deflusso delle acque.

La presenza di quelle ossa avvalora l’esistenza di un monastero con le annesse sepolture di monaci e abitanti indigeni.

Pasquale Vallone

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