Vi invito a leggere un extract del libro:”Brattirò e la sua storia. Aneddoti, fatti, misfatti” del dott. Pasquale Vallone, pubblicato nel 2012 dalla Thoth Edizioni.
Nel “brano” in questione il protagonista è un personaggio molto particolare, autore di omicidi di indicibile crudeltà.
m.v.
ROMBOLA’ VINCENZO
-MILINGIANA-
Rombolà Vincenzo, detto Milingiana perché era di carnagione rosso – scuro in faccia, fu un uomo tristemente feroce; era figlio di Alfonso Rombolà, nacque nel 1781.
Abitava nell’attuale via Vittorio Emanuele al N° civico 174. Aveva un piccolo podere con la masseria in località Santu Sidaru e un altro podere, in affitto, nel Poro. Si racconta che si sposò cinque volte, come un califfo, e che ammazzava le mogli per i più futili motivi. Forse c’è una esagerazione in questo, dettata dall’atteggiamento pazzoide del soggetto. Ma tutto questo si legge dalla traduzione dal latino dei libri parrocchiali. Da tutte le mogli ebbe figli. Riguardo alla prima, Antonia Dotro di Panaia, si legge che morì nel 1817 di “morte violenta”. Per la seconda e la terza moglie, nell’Atto di morte si legge “inopinata morte”.
Si narrano tante storie che riguardano il Milingiana ; raccontiamo la più orrenda.
Era sposato con Antonia Dotro, dalla quale aveva avuto tre figli. Nell’estate del 1817 il Milingiana si trovava in un feudo, nel Poro, a controllare la mietitura del grano e stava lontano da casa per diversi giorni. Allora per i collegamenti con le campagne non c’erano strade, solo sentieri, e i mezzi di spostamento erano le gambe, gli asini o i cavalli, per chi ne possedeva uno, e Milingiana almeno un cavallo ce l’aveva.
I mietitori scherzavano tra di loro nei pochi momenti di pausa, anche per alleviare la fatica e il peso del lavoro. Sapendo che il Milingiana era geloso, gli raccontarono, mentendo, di essere a conoscenza che giorni prima, a Brattirò, erano giunti, di passaggio, gendarmi della guarnigione di Monteleone; la sera c’era stata una gran festa nel paese e vi avevano partecipato, gozzovigliando, i cittadini di Brattirò. Un contadino, mietitore che conosceva la gente di Brattirò, disse al Milingiana che anche sua moglie, Antonia Dotro, aveva partecipato alla baldoria coi gendarmi.
Il Milingiana si sentì ferito nell’onore e per di più odiava i militari perché avevano cagionato, due anni prima, la morte di suo fratello Ferdinando (Abati Pittia).
Lasciò il lavoro, tornò a Brattirò – era il 25 settembre 1817 – incontrò la moglie in aperta campagna, dove c’è l’attuale Via Posta, esattamente nei pressi dove si trova, adesso, l’Ufficio Postale.
La moglie vedendolo, tutta contenta gli corse incontro ma lui, senza proferire parola, in preda ad una furente ira e accecato dalla gelosia, per salvare l’onore, le sparò, uccidendola.
Poi caricò sul dorso di un asino il cadavere della sventurata donna, portò quel triste fardello a Panaia, alla suocera, Domenica Petracca, e consegnandole il corpo della figlia, le disse: “Piggiati u corpu di figgiata, jo ‘a’mmazzai ca si divertiu chi gendarmi”.
La suocera, che conosceva bene la figlia e non la riteneva affatto capace di un simile tradimento, di rimando gli rispose: “No, figgiu, n’ammazzasti tu, ma cu ti cuntò cosi non veri!”.
Riportiamo l’Atto di morte di Antonia Dotro.
Comune di Drapia
Numero d’ordine 10
Registro per gli Atti di Morte 1817
L’anno milleottocento diciassette il venticinque del mese di settembre davanti a noi Domenico Saragò Sindaco ed uffiziale dello Stato Civile del Comune di Drapia, Provincia di Calabria Ulteriore Seconda, sono comparsi Domenico Rombolà di anni sessanta, di professione massaro, domiciliato in Brattirò e Giuseppe Maurici di anni cinquanta, di professione bracciale, domiciliato in Brattirò, i quali hanno dichiarato che il venticinque del mese di sopra indicato, ad ore ventitre Antonia Dotro, moglie di Vincenzo Rombolà, figlia di Serafino e Domenica Petracca, di anni trentadue, di professione filatrice, domiciliata in Brattirò, è morta di morte violenta.
Per esecuzione della legge ci siamo trasferiti presso del defunto ed avendo conosciuta, insieme co’ dichiaranti la sua effettiva morte, ne abbiamo formato il presente atto, di cui si è fatto lettura a’ dichiaranti ed indi si è segnato da noi avendo detto i dichiaranti di non sapere scrivere.
+ Domenico Rombolà dichiarante
+ Giuseppe Maurici dichiarante
Saragò Sindaco ed Uffiziale dello Stato Civile.
La tragedia scosse profondamente la vita del piccolo paese e la notizia si diffuse nei paesi vicini.
Riflettendo sulle parole della suocera, Domenica Petracca, e ripensando alla defunta moglie che lui conosceva come donna virtuosa, un dubbio atroce assalì Milingiana. Ma il dubbio fu certezza, quando tornato a casa venne rimbrottato dai figli e dai parenti che elogiarono la donna, madre e moglie, come esempio di virtù e gli dissero che quella sera, che in paese c’erano stati i bagordi con i gendarmi, la moglie era stata sempre dentro casa, lontano dai clamori e dalle gozzoviglie.
Milingiana capì il grave, irreparabile errore, o orrore che dir si voglia, commesso, e il suo unico e fisso pensiero fu la vendetta: chi lo aveva spinto, o era la causa di quel suo insano misfatto, doveva pagare con la vita. Meditò di non chiedere aiuto a parenti o amici e pensò di agire da solo, e per come gli suggeriva il suo istinto, ritenendo che lui solo aveva sbagliato e lui solo doveva rimediare.
C’era a Brattirò un poveraccio che aveva il soprannome di Pistola.
Costui era un emarginato e viveva facendo saltuari lavoretti di trasporto con l’unico attrezzo che possedesse, cioè “u ruvaci” (recipiente di legno fatto di doghe in forma tronco – conica) con cui faceva viaggi di trasporto di merci varie, mettendo il carico sulla testa o sulle spalle.
Il Milingiana gli propose un “viaggio” dal Poro; pattuirono il compenso, e il Pistola fu molto contento perché fu pagato in anticipo.
Una mattina di ottobre di quel triste 1817, di buonora, il Milingiana e il Pistola, partirono per il Poro. Raggiunto il feudo dove c’erano quei mietitori, i quali in questo periodo aravano la terra per la semina autunnale, che avevano avuto l’ardire di prenderlo in giro, Milingiana fece riposare il Pistola a debita distanza, all’ombra di un albero di noci, dicendogli di aspettarlo in attesa che gli consegnasse la merce da portare nel “ruvaci” a Brattirò.
Raggiunse i mietitori; chi di schioppo (arma da fuoco a canna corta ma più spessa di quella dell’archibugio da cui differiva anche perché impiegava palle più piccole ma con carica di polvere più forte) e chi di coltello, uccise quelle persone che lo avevano ingannato (secondo alcune “testimonianze “ tramandate, cinque, secondo altre fonti, sette).
A tutti loro tagliò la testa.
Raccolse quelle teste mozzate in un sacco, li mise nel “ruvaci” del Pistola e gli intimò di portare quel carico a Brattirò senza fermarsi, né aprire il sacco, e lasciarlo sulla porta della chiesa (di Sant’Anna), che lui sarebbe arrivato di li a poco avendo ancora da fare un lavoretto: era infatti alla ricerca di un altro uomo, per fargli fare la fine degli altri; ma non lo trovò!
Il Pistola, con quel pesante fardello sulle spalle, fece ritorno a Brattirò, senza fermarsi, ne chiedersi quale fosse il contenuto del “ruvaci”, ben conoscendo l’irascibilità del committente Milingiana.
Seguendo le direttive e il volere di Milingiana , arrivò nelle vicinanze di Brattirò, in località “cerza”, verso sera. Per il buio inciampò e cadde a terra, spargendo tutto intorno il carico del “ruvaci”. Amareggiato per l’accaduto e impaurito temendo la reazione del Milingiana, cercava a tentoni, nel buio della notte, la “merce” sparsa per terra e si accorse di avere nelle mani delle teste umane mozzate.
Fu colto da delirio e svenne; poi ebbe una febbre altissima e il giorno dopo morì senza prendere conoscenza.
Non si sa cosa successe delle teste, resta il fatto che, da allora, quel posto viene chiamato “a curva di testi i Pistola”.
Questa macabra storia, oltreché raccontata di generazione in generazione, è descritta in documenti, che rimangono, di quel periodo.
Milingiana, personaggio orrendamente “famoso” e ricordato per la sua crudeltà, morì nel carcere di Monteleone.
Pasquale Vallone