Carnalavari, lu Jerramu Ramingu Giubbilanti

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Carnalavari – Lu Jerramu Ramingu Giubbilanti, è il titolo del libro di Domenico Garrì (detto Micucciu) di San Costantino di Briatico.

Un volume di grande formato, ben centocinquanta pagine che attraverso un linguaggio carico di riferimenti simbolici e l’uso esclusivo del dialetto della zona ripercorre una storia, o meglio una serie di storie e situazioni inaspettate, con la presenza di numerosi personaggi, per raccontare la figura di un Carnalavari davvero inedito e personale.

Nel libro di Garrì si incontra una terminologia non sempre di facile comprensione, che viene utilizzata per recuperare una memoria storica oramai quasi perduta; termini desueti e rari, nomi dimenticati, parole non più pronunciate da tempo.

Sotto questo aspetto il volume di Domenico Garrì acquisisce la grande capacità  di valorizzazione della comprensione e dell’uso della lingua dei nonni, del dialetto, di uno dei mille dialetti calabresi.

Lo stesso Domenico Garrì, in prefazione, scrive un “messaggio ai lettori”, indirizza, indica, suggerisce, accompagna.

L’autore identifica “le donne e gli uomini calabresi, quelli non acculturati” nei veri e più autentici custodi del nostro retaggio di tradizioni, coloro che hanno continuato a percepire la cultura dominante come estranea ai loro valori di riferimento, e questa “cultura” la subiscono come oltraggio alla loro identità etnica, pagandone le conseguenze in termini di ulteriore emarginazione”.

La prima lettura del testo è davvero impegnativa (sono ben 1577 le sestine), ma dopo un po’ lo stesso testo si presta a facili estrapolazioni che portano a situazioni narrative di scelta, autonome e ben definite.

L’autore, nell’ambientazione della lunga storia di Carnalavari, non parla di un luogo reale e ben definito, anche se poi, a leggere tra le righe, si sente la forte influenza ambientale dei posti a lui cari e di tutto il territorio circostante, da San Giovanni a Potenzoni, da San Costantino di Briatico a Zambrone, da Briatico Vecchia e Zungri.

Situazioni inedite e davvero particolari, con tanti personaggi, con i luoghi di vita e di lavoro di nobili e di diseredati e dal nulla affiorano prorompenti i versi, creando riferimenti continui con la realtà del passato.

Micuccio Garrì

Micucciu Garrì  percepisce, nella vita vissuta di ognuno, l’appartenenza, l’identità, l’anima forte e collettiva di un popolo che palpita e pulsa, che continua a vivere nei modi di dire, nei proverbi, nei lemmi, negli idiomi, in tutte quelle espressioni che la cultura popolare offre, vere tracce recuperate e salvate dall’oblio prodotto dal tempo che passa.

Micucciu Garrì, figlio e figlio d’arte di Grazioso Garrì, autore negli anni Trenta di un famoso poema carnascialesco su Carnalavari ed i suoi eccessi mangerecci, fa rivivere in questo libro il personaggio Carnalavari, lo presenta da cantastorie con rime e con rilievi. Una storia inedita, vera e curiosa di “Iju“, proprio lui,  il Carnevale, raccontata in modo totalmente diverso da come questa storia la si è sentita raccontare nel passato, sebbene gli eccessi, le trasgressioni, la sregolatezza alimentare e le parole spropositate continuano ad essere la base per dare, o meglio ridare, al Carnevale, il potere, la forza ed il ruolo di contestatore sociale nella comunità, di ribaltatore dei ruoli, con una dialettica libera e senza freni inibitori, in un contesto temporale limitato, ben chiuso e ben definito.

Per dare, o ridare, al tempo del Carnevale, una continuità di valori tradizionali straordinari ma da far rientrare nei margini con il ritorno alla quotidianità e alla normalità di sempre, nella vita e nello spazio-paese, all’interno della comunità e con i paesani.

Da sottolineare, infine, che dal  2007 a San Costantino di Briatico sono state recuperate, in modo purtroppo non continuo, alcune antiche forme di teatro spontaneo di strada, la farsa funebre con il  fantoccio del Carnalavari di paglia e stoffa, stracarico di vino rosso e di salcicce, un finto funerale che viene celebrato in forma rituale dalle classi popolari, tra fumi di peperoncino inserito nell’incensiere liturgico, urla straziate di prèfiche, le ciangiuline, da uomini travestiti da donna, da un falso dottore (impersonato in questo caso da Agostino Vallone che nella realtà è un vero medico), da un falso prete, da falsi militari. Tutti personaggi falsi e disinibiti, almeno – come vuole la tradizione – per i giorni speciali del Carnalavari.

Franco Vallone

 

 

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