Melidoni oggi è un vero e proprio personaggio, ci facciamo raccontare le sue vicissitudini: Giuseppe è nato a Conidoni di Briatico, un piccolissimo paese della Calabria, il 9 gennaio del lontano 1916, “in piena guerra del 15-18, in piena guerra mi ha fatto mia mamma”- sottolinea. “Poi, dopo il tempo dell’adolescenza trascorso in campagna a fare il contadino, a diciotto anni, sono partito soldato, per fare il servizio militare che allora era obbligatorio e durava diciotto mesi. Sono ritornato nella casa di Conidoni nel 1938, dopo congedato ho continuato a lavorare la terra dei miei genitori, ma dopo poco tempo, nel 1939, mi fu recapitata una cartolina di precetto, ero stato richiamato alle armi. Inviato a Napoli al 40° Reggimento Fanteria”, fornito di divisa e armato con fucile a tracolla, la sua vita entra improvvisamente nel pieno nella Seconda guerra mondiale.
Il lungo itinerario della memoria, del suo racconto, lo riporta improvvisamente indietro nel tempo, al porto di Napoli, in Libia, in Tunisia, in Egitto… “Siamo arrivati al porto di Tripoli, ci siamo accampati, poi abbiamo proseguito per Tunisi per combattere contro i Francesi, poi in Egitto, di nuovo in territorio libico, a Tobruch e Tripoli e poi in Cirenaica a Bardia, in questo luogo, per me purtroppo indimenticabile, un brutto giorno arrivò l’inferno. Era notte ma sembrava giorno, sull’accampamento arrivarono le bombe lanciate dall’alto degli aerei, fuoco e fiamme, cannonate da terra e dal mare, una di queste bombe ha colpito un rifugio adibito a forno per il pane a tre metri di distanza dal mio.
Giuseppe Melidoni e tutti i suoi compagni vengono fatti prigionieri, inquadrati e trasferiti su di una nave della Marina militare inglese, si parte per Alessandria d’Egitto per un campo di smistamento nel deserto dove i prigionieri sono costretti a mangiare anche le bucce crude delle patate per combattere la fame e la sete.
Dopo venti giorni Giuseppe, stremato dal caldo, affamato e assetato, riparte di nuovo, questa volta per la lontana India.
Durante il lungo viaggio durato settimane, quando navigavano sul Mar Rosso, i prigionieri sono costretti a dormire all’aperto, “testa con testa e testa con piedi”, ammassati sul ponte della nave.
Una notte a Giuseppe, durante un breve allontanamento per esigenze fisiologiche, rubano uno dei suoi due zaini, quello più piccolo e prezioso. Dentro lo zainetto c’era infatti il suo corredo dell’anima, c’erano tutte le sue cose più care: “qualche fotografia di famiglia, le lettere dei genitori e della fidanzata legate con un nastrino rosso, tanti piccoli ricordi di viaggio ed alcuni oggetti ed effetti personali”. Giuseppe è disperato, piange, gira in lungo e largo tutta la nave, con le lacrime agli occhi chiede aiuto a chi conosce ma senza alcun successo, nessuno ha visto niente. Nel cuore della notte non ha pace, vagando in sovraccoperta al piano superiore della nave, in un angolo buio di un corridoio ritrova il suo librettino nero delle preghiere e dentro c’è ancora l’immaginetta di San Giacomo Apostolo e le altre figure sacre.
Sono le uniche cose che riuscirà a recuperare del contenuto del suo zaino ma Giuseppe Melidoni è contento lo stesso, ora é felice, per lui questo ritrovamento è un segno importante del suo santo preferito, un altro piccolo, grande miracolo. In India, in una baracca del campo di prigionia, incontra e fa amicizia con un internato conterraneo, un calabrese di Santa Domenica di Ricadi che su un vecchio sacco intelaiato era riuscito a ricamare, con del filo colorato comprato allo spaccio del campo, l’immagine della Madonna, la Vergine SS. del Carmelo. Giuseppe ricorda: “rimasi affascinato da quel bellissimo lavoro. Da lui ho lentamente appreso la difficile tecnica di ricamo, poi racimolai un ago, la stoffa di un vecchio cuscino, un asse di legno per costruire il telaio e del filo colorato. Pazientemente, in sei mesi di lavoro, ho riprodotto sulla stoffa la mia tanto cara immaginetta di San Giacomo Apostolo con il cavallo e con sotto la scritta: “I giorni più tristi nell’età più bella”.
Intanto nella mia baracca tutte le sere aprivo il libretto dalla copertina nera e recitavo il Santo Rosario. All’inizio eravamo in pochi, poi, pian piano, si avvicinarono altri soldati e coloniali internati dalle baracche e dalle tende vicine e dalle altre aree del campo, per recitarlo assieme…”.
Dopo anni di prigionia in India, Giuseppe Melidoni nel 1943 viene deportato in Inghilterra e poi, successivamente, nel 1946, finalmente rispedito in Patria con gli altri prigionieri. “Otto giorni sempre sul treno, poi, arrivato al confine, dopo il passo del Brennero, alla prima stazione italiana ho sentito dal finestrino del mio vagone il suono di un disco, una canzone che ho riconosciuto subito. Erano le note musicali e le parole di “Mamma son tanto felice perché ritorno da te…”, ho pianto, ho gioito ed ho compreso di essere arrivato in Italia, finalmente ero libero di ritornare a casa con la mia vecchia consunta immaginetta sacra stampata nel 1910 che mi ha protetto sempre, in viaggio, in guerra ed in prigionia”. Cinque lunghi anni senza vedere la famiglia, cinque anni di sofferenza e di stenti, con l’orrore della morte negli occhi e il lavoro forzato della raccolta delle patate, di infinite paure e di tanta preghiera. Passando per Milano, Giuseppe Melidoni si ferma per cercare e comprare il disco con la canzone del suo ingresso in Italia. Il giorno dopo l’arrivo a Conidoni, rivede finalmente i suoi genitori, sono ammalati e stanchi, le note e le parole del disco nel grammofono coprono i pianti e le lacrime, poi la sua vita riprende lentamente a battere come il suo cuore, lavora la campagna, si sposa con Caterina Melluso, hanno cinque figli, poi arrivano quattro nipoti e quattro pronipoti. Al primo figlio danno il nome di Giacomo, poi ci sono Pino, Mimma, Teresa e Maria.
La sua vita scorre fino ai giorni nostri. Oggi ha raggiunto i cento anni, sessantotto anni di matrimonio, è felice. A casa sua, nella sua camera da letto, ci sono affissi al muro tre muti testimoni della storia, sono le tre tele di cuscino, oggi incorniciate, con i bellissimi colori dei fili ricamati nel campo indiano, tre anni di lavoro, “tele reliquie” portate arrotolate dalla prigionia. Ogni mattina, appena sveglio, davanti agli occhi di Giuseppe Melidoni c’è il famoso arazzo di San Giacomo Apostolo copiato dall’immaginetta sacra del libretto nero, c’è la Sacra Famiglia ed il Cuore di Gesù. “Tutto questo è un miracolo,-sottolinea commosso Giuseppe- San Giacomo non mi ha mai abbandonato ed io non ho mai abbandonato lui”.
Franco Vallone
Commenti
comments