Su questo blog abbiamo già parlato di Kurt Bosk (vai al post).
Oggi pubblichiamo un contributo più approfondito su questo personaggio, più precisamente tutte le notizie su di lui a conoscenza del dott. Pasquale Vallone di Brattirò.
Leggetelo con attenzione, soprattutto amici brattiroesi e tropeani… troverete informazioni curiose e preziose.
m.v.
Durante gli anni della Seconda Guerra Mondiale, dopo l’8 settembre 1943, ci fu una postazione di soldati tedeschi, forse erano quattro, nel territorio del mio paese, Brattirò, in una località chiamata Masseria.
Brattirò è un paesino di circa mille abitanti, ed è frazione del comune di Drapia, in provincia di Vibo Valentia. Si trova a 6 chilometri da Tropea, lungo la strada che sale a Vibo Valentia, da cui dista 20 chilometri. La località Masseria si trova tra Brattirò e Caria (altra frazione del comune di Drapia).
Lì c’è ancora l’antico casolare, una volta patrizio, nascosto nel bosco, e che fu sede della postazione tedesca. Non so se lì c’era piazzata una artiglieria per il tiro o a difesa, ma è certo che non c’era alcuna protezione di fortificazione campale. Lo scopo di quella postazione non era di sparare agli aerei in volo, né alle navi in transito nel mare, molto ben visibile e molto poco distante. Forse non era dotata per quel tipo di artiglieria pesante, anche perché il loro compito non era quello di attaccare il nemico, ma era ben diverso e, considerato il loro scopo, preferivano vivere di nascosto, e/o anzi come se fossero in clandestinità.
Gli alleati americani e inglesi sapevano di questa postazione. La cercavano volando a bassa quota, e due volte hanno bombardato il territorio, ma non sono stati mai “attaccati da terra”. Non si può dire che quei tedeschi in località Masseria fossero di stanza, perché non c’era una caserma. Loro erano pochi, isolati e ben nascosti al nemico. Il loro compito era di vedetta.
Infatti la località Masseria gode di una visione panoramica mozzafiato. Si trova ad una altezza di circa 480 metri e domina una veduta incantevole. Di fronte si vedono le isole Eolie con l’isola di Vulcano che si “tocca” con lo sguardo a breve distanza chilometrica. Più a sud c’è lo Stretto di Messina. Il compito dei militi tedeschi era di “segnalare” il transito, lungo il Mar Tirreno, a nord della Sicilia, di navi nemiche, dopo lo sbarco degli americani in Sicilia.
Al comando di quella postazione c’era il giovane tenente Kurt Bosk, nato nel 1916, che aveva l’incarico di comandare i presidi strategici della zona del Poro, un vasto altipiano che si trova lungo la strada che porta da Tropea a Vibo Valentia.
Gli alleati americani e inglesi sapevano di questa postazione nel territorio di Brattirò, ma non riuscirono mai a localizzarla. Pertanto bombardavano ad ogni minimo segnale che li facesse insospettire, specialmente di notte. Ci furono due violenti bombardamenti. Uno in località “Cuntura”, distante circa un chilometro da Brattirò e dalla località Masseria. Un’altra volta, nell’ottobre del 1943 in località “Cungrazioni”, perché gli alleati vi scorsero, una notte, da un aereo di ricognizione, un lumicino. Ma altri non era che un anziano del paese, tale Rombolà Girolamo (‘u zu’ Gilormu i Manitta), il quale al lume di una lanterna a petrolio che teneva in mano per farsi luce, rientrava a casa, in località “Manitta”, lungo un viottolo. Gli aerei bombardarono, ma quel vecchietto trovò riparo in un fosso, e per fortuna non ci furono vittime, ma solo tanta paura.
Per fare la spesa, quasi ogni giorno scendeva in paese, dalla località Masseria, “Giovanni u Tedescu”, oramai così lo chiamavano tutti. Scendeva lui sia perché era conosciuto e benvoluto da tutti e sia perché era l’unico che parlava la lingua italiana, ma, col tempo imparò addirittura il nostro dialetto. La distanza era di circa un chilometro e mezzo. Non sempre percorreva la strada principale, ma a volte scendeva percorrendo un sentiero che attraversava il fondo “Brazia”, di proprietà di Massara Michele, da tutti ricordato come “Il sindaco”, perché era stato sindaco del comune di Drapia e morì nel dicembre del 1942. Era il marito di Rombolà Anna, la Zia Anna, che dopo la morte del marito era rimasta l’unica proprietaria del fondo perché i due non avevano avuto figli.
Zio Michele e Zia Anna, avevano preso nella loro casa il nipote Francesco Rombolà, lo fecero studiare e divenne Insegnante. Costui era soprannominato “Galantuomo” perché era un galantuomo di nome e di fatto. Era figlio di Giuseppe, fratello di Zia Anna. Rombolà Francesco si sposò nel 1940, ma dovette partire al fronte e durante la Guerra era tenente dell’esercito. Costui era il padre di mia moglie Sarina. Alla morte degli zii Anna e Michele, mio suocero ereditò il fondo “Brazia”, compresa la casa dove viveva Zia Anna, e dove ora ci vivo io con la mia famiglia.
Premesso questo, torniamo alla vicenda che riguarda Giovanni il Tedesco.
Giovanni mi raccontò che la prima volta che incontrò Zia Anna, donna affabile, buona, pia, caritatevole e altruista, fu davanti al cancello di casa di costei, casa che allora era nella periferia del paese. La vecchietta gli disse: “Figgiu (è un nostro modo di dire: Giovanotto) voi siete tedesco”. “Si” gli rispose Giovanni, “ma non temete, oltre che alleati, noi siamo brava gente come voi, e non è nostra intenzione farvi del male”. La saggia risposta dell’anziana donna fu: “No Figgiu, io non mi interesso della Guerra, non mi è mai piaciuta la guerra, io voglio la pace con tutti, tra di noi, in paese e con i forestieri”. Giovanni fu colpito dalla schiettezza e dalla semplicità di quella anziana donna e dalla premura con cui per due volte si era rivolta a lui, con quel suo dire “Figgiu”. La incontrò altre volte con sempre più cordialità. Alcune volte, scendendo a Brattirò, non faceva la strada principale, ma percorreva un sentiero che attraversava il fondo “Brazia”, e qui incontrava sempre la Zia Anna, con la quale cominciò a familiarizzare, colpito dalla semplicità e dall’altruismo della vecchietta. Nel fondo “Brazia” c’era un esteso vigneto che dava un ottimo vino e inoltre vi erano tanti alberi da frutto, che davano ottima e genuina frutta: pere, ciliegie, noci, mele, cotogne, albicocche, mandorle, pesche, fichi…
Zia Anna era nata nel 1875 e all’epoca era una arzilla vecchietta di circa 68 anni ma ne dimostrava molti di più. Costei volle bene a Giovanni come a un figlio, lei che figli non ne aveva, e Giovanni la considerò come una madre e lei considerò Giovanni come un figlio. Io me la ricordo perfettamente. Mi è rimasta impressa una cosa: durante le processioni ecclesiastiche che si facevano in paese, specialmente quelle del Corpus Domini e della Via Crucis, Zia Anna, che era anziana e acciaccata, curva sulla schiena per una artrosi lombare deformante, si metteva in ginocchio sul suo balcone – che riempiva di lumini ad olio – mentre passava il corteo religioso. Giovanni le stava vicino.
I tedeschi rimasero in località Masseria, “circa un annetto” ricordano gli anziani del paese, quindi, presumibilmente vi rimasero da settembre-ottobre 1943 fino all’autunno del 1944. Al momento della partenza, Giovanni, che aveva deciso di rimanere, si nascose dietro le botti nella cantina dell’amico Rombolà Ferdinando, detto “Nandeo”. I commilitoni lo cercarono invano e partirono senza di lui.
Finita la guerra il tenente Kurt Bosk non rientrò in Germania e decise di rimanere a Brattirò. Aveva familiarizzato con Zia Anna che decise di accoglierlo, per il momento, nella sua casa. Giovanni la rispettò e la accudì come un vero figlio fa con la madre e lei accolse maternamente Giovanni come una vera madre fa con un figlio.
Giovanni temeva, mi confidò molti anni dopo, di essere considerato disertore. Mi raccontò che aveva fatto parte di un reggimento della Luftwaffe, che era parte integrante della Wehrmacht, durante il periodo pre-bellico e bellico, per circa un decennio, grosso modo dal 1935 al 1945. Quel reggimento era addetto alle trasmissioni e alle comunicazioni.
Egli era laureato in Lettere Classiche. Riuscì a farsi una solida posizione economica, per le sue capacità intellettuali e morali e per le sue doti umanitarie. Cominciò ad allevare conigli, polli e un maialino per farlo ingrassare, venderlo e ricavarne un po’ di denaro. In pochi mesi si fece una piccola posizione economica. Era pieno di iniziativa e conobbe un altro tedesco, di nome Essler. Costui faceva quadri e cercava di venderli. Insieme allevarono polli a Drapia, dove Essler viveva. Costui col tempo mise su un ristorante. Essler morì anni prima dell’amico Bosk e i familiari hanno dato in gestione il ristorante che c’è ancora, come ricezione alberghiera completa: l’Hotel Maddalena di Drapia.
I due “Tedeschi”, Bosk ed Essler, sono stati i pionieri e i promotori, negli anni ’60, del turismo tedesco a Tropea e nel comprensorio.
Finché visse la Zia Anna, Giovanni visse con lei, nella casa di Brattirò. Nel 1958 Zia Anna morì e Giovanni andò a vivere a Tropea, nel palazzo Toraldo. A Brattirò aveva moltissimi amici, ma preferì andare a vivere a Tropea che presentava maggiori possibilità di occupazione. Lì con l’aiuto della sindachessa signora Lidia Toraldo Serra, regolarizzò la sua permanenza in Italia. Fece molte iniziative volte a promuovere la nascita di servizi utili alla collettività come gli Istituti Scolastici Parificati. Negli anni ’50 aprì a Tropea un Convitto, cioè un Istituto di Istruzione nel quale gli allievi conducevano vita comune, che in inverno ospitava studenti dei paesi vicini. Li studiavano e facevano ripetizioni integrative. In estate, poi, affittava i locali a turisti, per lo più tedeschi, dando così inizio e impulso al turismo teutonico in Tropea. Visse rispettato da tutti e con tutti era sempre cordiale. Aveva un comportamento gentile e una voce stridula e suadente. La sua cultura era globale.
Ormai viveva a Tropea, ma anche dopo la morte della Zia Anna, saliva sempre a Brattirò, dove aveva tantissimi veri amici. Giocava con loro a poker, specialmente nel periodo di Natale, spesso a casa del parroco del paese, don Pasquale Bagnato. Un compagno fisso del gioco era mio suocero, il professore Francesco Rombolà. Non mancava mai alle ricorrenze, alle feste paesane, ai funerali e a ogni evento che si faceva a Brattirò. Una volta, negli anni ’60, alla grande festa patronale che ogni anno si celebra il 25-26-27 settembre, in onore dei Santi Cosma e Damiano, venne con la mamma e il figlio. Il figlio venne altre volte.
Giovanni fu presente alle mie nozze, nel 1973, quasi come un familiare. Io abito in quella che era stata la casa della Zia Anna, ereditata da mia moglie, pronipote della suddetta Zia Anna. Questa era stata anche la “sua casa”, quella in cui lo accolse la Zia Anna e dove lui iniziò, nell’immediato dopoguerra, a costruire la sua vita post-bellica, la sua “vita italiana”. Era un’Italia in crescita in quel periodo post-bellico e il boom economico che ne seguì, contribuì alla sistemazione dell’amico Giovanni, per come lui sognava di rifarsi una nuova vita, e ci riuscì per la sua caparbietà, la sua competenza e il suo saper fare.
Io iniziai a svolgere, a Brattirò e nel circondario, la mia professione di medico e ci incontravamo spesso, con Giovanni, a Tropea. Ma lui saliva almeno due-tre giorni la settimana a Brattirò. Io lo pregavo sempre di averlo ospite a casa, a pranzo o a cena o almeno per prendere un caffè. Lui, cortesemente, ringraziava ma mi ripeteva sempre: “Non posso venire in quella casa a me tanto cara”, ma non mi diede mai una ragione di tale suo comportamento e io non capivo cosa lo impediva di “rivedere” la “sua” casa di una volta.
Ma una spiegazione me la diede alcuni anni dopo. Una domenica sentii suonare il campanello. Mi affacciai e vidi Giovanni. Lo invitai a salire. Ma lui mi disse. “Mi sono preso di nostalgia e sono appositamente salito da Tropea, ma non me la sento di salire su. Ti prego di comprendermi e ti chiedo: nella stanza dove sei affacciato, cosa c’è”. Io gli risposi: “Qui ho la cucina”. E lui mi disse: “Io in quella stanza tenevo i conigli”. Poi lui mi chiese: “E nella prima stanza che dà sulla strada, cosa c’è”. Io gli risposi: “Quella è la stanzetta dove dormono i miei figli”, (si era nel 1977 e io avevo allora due figli, poi sarebbero nati gli altri due). E lui mi disse: “In quella stanza dormivo io”. E mi chiese ancora: “E nella stanza attigua a questa?”. “Quella è la mia camera da letto” gli risposi. E lui mi disse: “Là dormiva la cara Zia Anna”. E mi chiese ancora: “E nella stanza vicina a questa, cosa c’è?”. Io gli risposi: “Lì ho il salotto” e lui mi disse: “In quella stanza tenevamo l’olio, il vino, e fungeva da deposito, tenevamo persino la chiocciola per la cova dei pulcini”. Io insistetti, ma lui non volle entrare.
Allora sono sceso e ho notato che Giovanni era emozionato e malinconico. Con la voce rotta dall’emozione mi disse: “ Sono salito apposta da Tropea perché mi è venuta una forte nostalgia. Da sempre rimugino e ripasso nella mia mente i bei ricordi che mi legano a quella casa e alla cara Zia Anna, che ricordo sempre con l’affetto di un figlio per una madre, sapendo che lei aveva per me un affetto materno. Il fatto che mi rifiuto di vedere come è ora quella casa è che io VOGLIO mantenere nel mio animo il “ricordo” originale per come io ho vissuto la mia vita in quella dimora. Tu me l’hai descritta come è adesso, ma io non voglio “vederla” perché se così fosse, mi “scorderei” come io l’ho vissuta, quando sono stato accolto da Zia Anna, perché questa casa è stato il punto di inizio e di partenza della mia nuova vita, post-bellica e “italiana”.
Giovanni era molto conosciuto a Tropea e nel circondario al punto che nel 1977 è stato cooptato nel Rotary Club della città. Fu segretario del nostro club Rotary dal 1983 al 1985. Era di salute cagionevole e soffriva spesso di bronchite. Io lo curai spesso. Quando morì, il 13 luglio 1993, c’era tanta gente ai suoi funerali, tanti amici e tanti conoscenti, compresi molti rotariani. Salutai in chiesa il figlio e fu l’ultima volta che lo vidi. Lui mi guardò e mi disse: “Io la conosco. Lei è il dottore di Brattirò, caro amico di mio padre che mi parlava tanto di lei, come uno tra gli amici più affettuosi e premurosi. Lei ha spesso curato mio padre e vive nella casa di Zia Anna di cui il mio papà me ne parlava sempre. Io la ringrazio per quello che ha fatto per mio padre, e spero di incontrala ancora…”
Pasquale Vallone