Venerdì scorso è stato presentato a Francica il libro di Franco Pagnotta “Gli anni dei sogni brevi” (Thoth Edizioni). Si tratta della terza presentazione del volume del noto giornalista vibonese.
Sono intervenuti, oltre all’autore: l’editore e giornalista Mario Vallone, mons. Giuseppe Fiorillo, il sindaco di Francica Giovanni Manfrida.
Di seguito: la relazione del prof Pasquale De Luca e una galleria fotografica curata da Nancy Riso.
Breve, è l’aggettivo che, già nel titolo, qualifica, nella sua essenzialità il libro di Franco Pagnotta. Un libro di ricordi impastati di nostalgia, di sentimenti, di rimpianti, di emozioni. Non un libro fine a se stesso, un raccontare tanto per raccontare, un dire tanto per dire. Ma tutto è misurato, tutto è calibrato sull’andamento lento della parola, che rispecchia lo scorrere della vita nel tempo, immenso e sconfinato, come acqua limpida di ruscello che si fa strada nella terra antica degli avi e scende limpida fino al mare per poi perdersi nell’immensità dell’infinito.
Tutto è breve, volutamente breve, in questo libro. La vita che nasce e si forgia in una “ruga”, la strada breve del paese. Paese piccolo fatto di poche, piccole case, pieno di vitalità, di umanità, di affetti, di socialità, di sentimenti, di emozioni. Paese di contraddizioni, umane e sociali, che affondano le radici nella storia, come i vecchi ulivi piantati nella terra che si appiccica in ogni dove, nelle scarpe c’attacci dei contadini, nelle mani dure di calli che spaccano le zolle, nelle carezze dei genitori ai figli, nei visi dolci dei bambini, nei loro sorrisi che si aprono al mondo e alla vita.
È un libro che va sul sociale e sulla storia, vista questa in uno sfumato di sottofondo dove si intravvedono i grandi fatti del “secolo breve”: la guerra, il miracolo economico, l’emigrazione. La trasformazione della società: l’abbandono dei paesi, della campagna, il ’68, la contestazione. È una visione che si apre dal breve orizzonte delimitato dalla famiglia, dalla terra intorno, o dalla pietra ingobbita sul viottolo stretto dove appena appena ci passava l’asino, dove le donne sostavano andando a piedi con la cesta in testa e con i figli attaccati al petto a prendere fiato, quella pietra che da secoli e secoli racchiudeva nella favola della “chiocciola con i pulcini d’oro” tutto il mistero dell’esistenza e della vita. E l’immaginazione della vita.
È un libro, questo, che racconta la vita, con l’input dal particolare, dal personale, al familiare, che si allarga man mano agli altri in un abbraccio d’insieme dove i sentimenti di uno sono i sentimenti di tutti, dove al centro c’è sempre l’uomo con le sue debolezze, con le sue fatiche, le sue delusioni, con i sudori, anche con gli amori. È la vita di un tempo che passa parola dopo parola, rigo dopo rigo, pagina dopo pagina, capitolo dopo capitolo in questo libro. Che puoi leggerlo in un’ora, in un giorno, in un mese, in una settimana, perché non ti annoia, non ti stanca mai. Un libro dove tutto è studiato, tutto è meditato: dalla parola alla collocazione della parola nella pagina, dalla titolazione alla strutturazione del periodo, dal fatto alla narrazione, tutto in funzione dell’assunto dell’Autore, sempre presente nella narrazione, che intinge la sua penna nei ricordi e la fa scorrere leggera sul foglio in un effluvio di sentimenti che coinvolgono ed emozionano il lettore. È un tornare indietro nel passato, per descrivere il modo di vivere di una piccola comunità identificata nella festa d’agosto, racchiusa in piccole rughe, in piccole case, e nei pagliai che disegnavano, con la loro architettura di legno, di paglia e di felci, la terra e le campagne dove si andava ogni giorno al lavoro, da mattina a sera, sulla terra che era del padrone. Che, istruito, altero, superbo e avaro, controllava anche la maturazione dei fichi d’estate sulla pianta perché i ragazzi non li mangiassero.
L’Autore non trascura nulla: la guerra del padre, il saluto e il distacco, il gioco e la scuola, gli amici e il sussidiario, la banda e il frate missionario, la mamma e l’amore. L’amore sognato, immaginato. Piccoli quadretti di vita reale in naif, messi in breve spazio, che non rubano il tempo, tratteggiati con sobrietà di stile come sa fare un pittore che, con tocchi leggeri di mano, dà colore e luce alla tela piccola della vita. Piccoli quadretti dove la parola è il segno dell’autore, che non si dilunga, non abbonda, lascia la sua impronta, spinge all’immaginazione. Egli, volutamente, non va al dialogo, non lo sviluppa nella sua dimensione strutturale: non è necessario, perché il dialogo è qualcosa di personale. Il dialogo è fra sé e sé, qualcosa di intimo che si trasforma in universale, il dialogo è fra sé e la natura, un dialogo intimo al quale ognuno partecipa col proprio vissuto personale senza intromissione, senza disturbare. Ed è proprio per questo che l’Autore rinuncia al dialogo fatto di interferenze non volute, per non disturbare.
Il libro è un bel libro. Non solo, è anche, e soprattutto, un inno poetico dove la scrittura, tutta la scrittura è una poesia. Una poesia fatta non di versi, ma di narrazione, che, dalle miserie, dalle sofferenze, dai dolori, solleva in alto, porta al sublime nell’accostamento delle parole, nella musicalità della parola e colpisce nell’anima. Un libro per tutti, per noi avanti con gli anni per ricordare, per quelli più vecchi per farli ritornare coi ricordi a quegli anni, per i giovani per fargli capire e conoscere la vita di allora. Per i figli, per i nipoti. Per chi verrà dopo.
Ed è per questo che ringrazio l’Autore, Franco Pagnotta, perché ha fatto un’opera buona, che è un’opera d’arte.
Pasquale De Luca
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