Tropea: TRA SOGNO E INCUBO
La pietà e l’ira scavano trincee di paure e di dolore nella memoria di una terra amata.
Perché le ferite inflitte dalla ndrangheta alla mia Calabria sono diventate piaghe purulente, carne infetta che consuma la carne viva, perché una fonte di putrefazione si è avvinta a un vivo condannato, dai traditori della Repubblica, a restare avvinto a questa fonte di morte.
Fino a quando?
Come fare per recidere i lacci mortali, cosa fare perché la bellezza e la libertà tornino a camminare sulle rive dei mari e sulle creste di monti della Patria di Pitagora e Campanella, Gioacchino da Fiore e Galluppi, Cassiodoro e Telesio?
E’ questa la sfida che dobbiamo, che vogliamo affrontare.
Con la forza della ragione, con l’ira dei giusti.
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E’ per prepararsi a questo duello mortale che il cuore dei calabresi onesti brucia e brilla come stelle nei cieli sulla palude rosso sangue creata dalla criminalità organizzata e dai suoi complici o nemici inetti e vili.
E’ per vincere questo duello che i cervelli dei calabresi, amanti della vita e della libertà, diventan lava di roccia granitica indistruttibile. Fuoco alimentato dallo sdegno e dall’ira dei giusti.
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L’ultima ferita è lo scioglimento per mafia del Comune di Tropea.
L’ultimo pugnale piantato nel nostro curoe è il sequestro e conseguente chiusura al pubblico di Capo Vaticano.
La perla del Tirreno, deturpata da un’immagine di mafiosità che si sovrappone a quella di città bella e fiera, ospitale e sapiente che ne ha costruito storia, memoria, identità.
La Patria ideale di tanti amanti della bellezza, il balcone dal quale migliaia di turisti hanno visto, ancora più bella, la luce sognata del Mediterraneo; di tramonti incantati col sole che cala sulle isole Eolie e si nasconde nella bocca vulcanica di Stromboli, resi impossibili da vedere.
La bellezza e l’armoni della natura, la musica del mare imprigionati da uno Stato incapace ancora di punire solo i colpevoli.
Quali colpe hanno consumato i cittadini o i turisti, quali pene deve scontare la bellezza di Capo Vaticano?
La fruizione dei beni di cui all’art. 9 della Costituzione dev’essere garantita dallo Stato. Non impedita.
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Una classe dirigente meschina che cede – anche solo su parte del territorio – le chiavi della bellezza alla criminalità organizzata, non dimostra certo capacità di governo.
Anzi.
Fa emergere incapacità disastrose, lacune normative inaccettabili, viltà civile e corruzione.
Va spazzata via, perché ove questo non avvenisse la vittoria sulle mafie diventerebbe una chimera.
Saverio Di Bella
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