EXTRACT DEL LIBRO “BRATTIRO’ E LA SUA STORIA, ANEDDOTI, FATTI, MISFATTI” SCRITTO DA PASQUALE VALLONE PUBBLICATO NEL 2012 DALLA THOTH EDIZIONI DI CAPO VATICANO:
Scorrendo il libro dei morti, scritto in latino, della parrocchia di Brattirò che data dal 1736, in data 11 maggio 1797 si legge: “Magnificus Domenicus Adamo ed Magnificus Franciscus Lancillotti in obsidione habita a militi bus in domo sua esque ac in domo patris sui, morte violenta correptus diem suprenunabiit nullo sacramento munitos. Domenicus decanus Rombulà curatos”. Questa è la traduzione: “Il magnifico Domenico Adamo e il Magnifico Francesco Lancillotti perirono di morte violenta, uccisi dai soldati uno nella sua casa (Domenico Adamo) e l’altro (Francesco Lancillotti) in quella di suo padre. Morirono senza essere muniti dei sacramenti. Ebbero una sepoltura cristiana nella chiesa di San Pietro apostolo. Il curato, don Domenico Rombolà”.
Si tratta di un latino, diremmo oggi, con un eufemismo di moda, maccheronico, cioè con inflessioni dialettali e/o italianizzanti, scritto dal curato Domenico Rombolà. Maccheronico vuol dire: un latino parlato dai cuochi dei conventi. La parola deriva da “macaroni! (gnocchi, maccheroni). E’ un linguaggio goffo e a volte scherzoso, fatto di termini latini e di termini italiani e dialettali e, con la definizione “latino maccheronico”, si volle indicare un latino ricco di grossolani errori, tipico dei notai e dei predicatori incolti.
Fatta questa breve precisazione, torniamo al nostro racconto.
Dunque, traducendo lo scritto, in latino, del curato di Brattirò, don Domenico Rombolà, si viene a conoscenza che il Magnifico Domenico Adamo, figlio di Nicola Adamo e il suo amico e parente Francesco Lancillotti, furono uccisi dai militi. “Magnifico” era un titolo dato a chi si elevava per generosità, intelligenza e magnanimità.
Il quindici agosto di quello stesso anno, il 1797, giorno di mercato, a Tropea furono uccisi Rombolà Giuseppe, Ferraro Pasquale e De Vita Serafina; furono poi seppelliti nella chiesa di Sant’Agostino.
Si è riusciti a venire a capo di questa tragedia leggendo un manoscritto di Carlo Rombolà.
Le idee rivoluzionarie che serpeggiarono in Italia alla fine del 1700, ebbero una presa forte nel nostro territorio e nel nostro paese. Erano le idee giacobine della Rivoluzione Francese, idee rivoluzionarie, estremiste ed intransigenti. Queste idee erano arrivate a Brattirò per mezzo dei giovani Adamo Domenico e Lancillotti Francesco, uccisi nelle loro case dai soldati borboni. Erano idee avallate pure dal prete, don Domenico Rombolà, il che era, per quel periodo, una rara eccezione, da parte di un clero ostile ad ogni segno di cambiamento e schierato con la corona borbonica.
I giovani uccisi, Adamo Domenico e Lancillotti Francesco, e don Domenico Rombolà, il parroco di Brattirò, aderirono ad un movimento che si ispirava alle idee del Jerocades.
I giovani Adamo e Lancillotto avevano piantato l’albero della libertà “avanti u cianu”, una piazzetta di Brattirò ancora esistente, nell’attuale via Vittorio Emanuele, all’altezza del numero civico 245. Questo stava a significare che, la maggioranza degli abitanti di Brattirò, erano seguaci delle idee carbonare: si svegliava ed era desto in essi lo spirito libero, sopito da secoli di sottomissione. La feroce repressione che seguì, con lutti e rovine, diede inizio a quel fenomeno sanguinario detto brigantaggio.
Antonio Jerocades nacque a Parghelia l’1 novembre 1738 e morì a Tropea il 18 novembre 1805. Egli fu acceso propugnatore e propagatore delle idee repubblicane, anticlericali e massoniche, per cui il suo nome è legato alle origini del giacobinismo napoletano sul finire del XVIII secolo. Emissario delle società massoniche francesi, con cui prese contatto a Marsiglia (1771), fondò logge di “Liberi Muratori” in Calabria. Processato e imprigionato dalla Giunta di Stato, riebbe la libertà nel 1795 per indulto. Fu in esilio a Marsiglia. Insegnò all’Università di Napoli Filologia (1791) ed Economia e Commercio (1793) seguendo le orme di A. Genovesi, che nel 1754, aveva ricoperto a Napoli la prima cattedra di Economia istituita in Europa. Elaborò a Napoli anche un programma di riforme della scuola elementare, proponendone la gratuità e la generalizzazione, e una riorganizzazione della scuola superiore tesa a privilegiare l’insegnamento scientifico.
Il padre di Domenico Adamo, il Magnifico Nicola Adamo, riuscì ad appurare chi aveva denunciato, presso i Borboni, suo figlio Domenico e suo nipote Francesco Lancillotti. Il giorno di Ferragosto di quell’anno, i tre delatori: Rombolà Giuseppe, Ferraro Pasquale e Serafina De Vita si recarono a Tropea per il mercato. Il Magnifico Nicola Adamo li trucidò vendicando così il figlio e il nipote ma soprattutto rivendicando le loro idee rivoluzionarie e innovative per il periodo. Erano le idee carbonare.
La Carboneria era una società segreta di carattere politico, e si diffuse nella prima metà dell’800. Forse è nata in Francia, in funzione anti-bonapartista. In Italia si diffuse, anche e soprattutto nel Meridione, probabilmente portata da elementi dell’esercito, nella gente comune e nella borghesia, assumendo un carattere nazionale e indipendentista. Ebbe una forte penetrazione tra le masse popolari sfruttando il simbolismo religioso dei rituali segreti. Dopo la restaurazione del 1815, conobbe un profondo mutamento e divenne il punto di incontro dei gruppi borghesi che aspiravano a un regime costituzionale. L’associazione entrò in una fase discendente dopo il fallimento dei moti del 1820 – 21, nonostante l’interesse di Giuseppe Mazzini che cercò di rivitalizzarla ma che poi vi rinunciò per fondare, nel 1831, la Giovine Italia.
Anche a Brattirò ci furono i carbonari; me ne parlava, con cognizione di causa, don Francesco Pugliese (1916 – 1997), teologo, uomo di immensa, profonda e provata cultura. Mi raccontava che la sede delle riunioni era nell’attuale via Armando Diaz, in una casa tuttora esistente. I carbonari avevano un modo proprio per comunicare e per trasmettersi ogni sorta di informazione, specie in caso di un incombente e grave pericolo, come poteva essere la notizia di un imminente arrivo di soldati e di gendarmi o nel caso di un controllo già in atto; fingevano di salutarsi stringendosi la mano e con le dita, palpando sul palmo della mano avversa, si “trasmettevano” quanto era silenziosamente lecito sapere
Pasquale Vallone
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