Libro d’arte e di ricordi: “Guerra d’amore” di Maria Teresa Cipri
Un nodo stretto complicato dall’amore
Relazione di Pasquale De Luca
“Guerra d’amore”, è un titolo strano per un libro che vuole essere un libro di narrativa, un romanzo. Un titolo che fa pensare e meditare chi legge, ma soprattutto chi ne deve parlare. Un titolo certamente non improvvisato, non rubato al primo pensiero ch’è passato per la mente, un titolo, certamente ricercato, soppesato, studiato e voluto dall’autrice, che simboleggia in inciso i due aspetti salienti e nello stesso tempo contraddittori, che contraddittori poi non sono, del libro: guerra e amore, morte e vita, scienza (nel senso di sapere, conoscenza) e sentimento (nel senso di sensazioni, emozioni), storia e quotidianità del vivere umano.
L’autrice, che ha sangue calabro nelle sue vene che scoppiano di amore e di passione per questa terra che non l’ha vista nascere ma che la riconosce a pieno titolo come sua figlia, ha affidato per la pubblicazione il suo lavoro ad un giovane editore calabrese che con coraggio in questa terra è rimasto e che porta alto e onora il suo nome con il lavoro giornaliero fatto con entusiasmo e precisione. E ha voluto, insistentemente ha voluto, che questa sua creatura venisse alla luce qui, in Calabria, e venisse portata al pubblico a Tropea, città piena di fascino e di cultura dove più nessun bambino nasce.
Mi sento onorato di parlare di questo libro che, per strane circostanze, ho tenuto in mano prima ancora della sua stessa mamma naturale e l’ho letto per primo.
È un libro intenso, carico di scrittura e di sentimento, dove ti addentri con curiosità e ti abbandoni ad una lettura coinvolgente e avvincente in un intreccio di azioni, di argomenti, che ti legano a sé come un nodo stretto complicato dall’amore. Un nodo che ti stringe sempre più in un viluppo di situazioni, mai statiche o fini a se stesse, in continuo movimento che vanno insieme in un costante cammino senza soste pari pari con la storia. È un libro di umanità e storia, dove, accanto all’uomo con le sue caratteristiche, con tutti i suoi errori, le sue debolezze, le sue manchevolezze, tu trovi la storia. La grande storia, quella fatta di guerra, di sangue, di odio, quella fatta dal popolo che la vede, la subisce, col sangue la scrive, e la piccola storia, quella vissuta giorno per giorno dall’uomo, o la donna, che al mattino si affaccia alla nuova luce e lotta per vivere e per continuare. Una guerra fatta di piccoli drammi, di problemi da risolvere, una guerra per il pane dove si mescolano gioie e dolori, sensazioni e emozioni, sogni e delusioni, progetti disegnati e mai realizzati, una guerra combattuta e da combattere, una guerra subita non evitata. Una guerra combattuta con amore, per amore. È questo il significato del titolo, apparentemente contraddittorio, ma che in effetti non è perché l’amore ci porta a lottare senza domandarci il perché. Ci sono battaglie infinite da combattere, e che vengono combattute da te, con te e contro di te, e che combatti con o contro la tua volontà. Battaglie vinte e perse, battaglie che messe insieme diventano una guerra. Una guerra vera, quella con sangue vero, quella che lacera e distrugge, quella che fa la storia che, vuoi o non vuoi, non ti dimentica, ma ti prende e ti porta con sé strappando le radici dal suolo che ti nutre per schizzarti lontano dove non sei mai stato e dove non vorresti esserci.
“Guerra d’amore”, un libro fitto fitto di scrittura, dove la parola non lascia mai spazio, 350 pagine, è la storia di un uomo che attraversa controvoglia la grande storia, vi partecipa di persona e ne scrive capitoli importanti. È la grande storia che lo prende di forza alla sua terra e lo trascina via in altri luoghi sconosciuti e distanti, non suoi ma dove vive e sopravvive aiutato dall’arte e dalla poesia. È essa che ne disegna il cammino e lo pone in momenti e situazioni tragici e delicati riportati nei libri di scuola (basti ricordare la mobilitazione per la guerra in Africa, i bombardamenti di Roma, l’attentato di via Rasella, e poi lo sfollamento, l’abbandono del paesello calabro, la ricostruzione, il “miracolo italiano”, il ’68 e gli anni di piombo, la trasformazione italiana). È essa che si intreccia alla sua piccola storia, quella storia personale e familiare vissuta al minimo e in silenzio per non disturbare, e ne fa un groviglio che nessun Alessandro Magno con un colpo di spada potrebbe districare. La routine quotidiana del lavoro non distoglie l’uomo dal suo essere, dal suo fare. Egli attraversa un secolo della storia italiana e si affaccia all’altro da protagonista, trovando guida e conforto nella parola, una caterva di parole, parole d’ogni genere che egli accatasta nella sua casa di Roma sottraendo spazio vitale alla famiglia, e che con cura aveva seppellito quasi un tesoro, come si faceva una volta, prima di partire sotto i grandi ulivi di Calabria. Come pure aveva seppellito desideri, progetti e sentimenti. Non aveva seppellito, però, il suo grande amore per la cultura e per l’arte. I suoi grandi amori di tutta la vita, impersonati da due giganti della pittura, della scultura, della poesia: Dante e Michelangelo, che, da sempre componenti privilegiati della sua famiglia, angeli custodi della sua persona, lo hanno accompagnato fino all’ultimo giorno della sua vita.
Non ci sono fantasie, immaginazioni. Nel libro ci sono immagini vere, racconti reali in un dialogo continuo che sconfina a volte nello scontro verbale fra protagonista e comparse in una difficoltà di comunicazione che nessuna pila di libri, custodi di segreti e di momenti cari, potrebbe mai eliminare.
È un percorso a due dimensioni: l’uomo protagonista del libro visto nel suo vivere giorno per giorno, il suo ambiente familiare, i suoi affetti, i suoi progetti, i suoi sogni, le sue ansie, le sue paure, le sue gioie, i suoi dolori, il suo realizzarsi; la storia che lo segue e lo tampona, lo persegue, gli va accanto, lo avvolge, lo circonda, gli corre contro, lo sostiene, lo sommerge. E poi i grandi, che gli stanno sempre vicino, lo ispirano con la parola, con le immagini. Sono loro che riempiono per intero tutta la sua giornata, e la sua vita, spesso rattristata da litigi, mugugni, da incomprensioni. Lui che ha annullato il tempo, che lo controlla e lo corregge con paziente attenzione, è sopraffatto dal tempo misurato sul battito del suo cuore che non lo tradisce mai fino all’ultimo minuto che gli è dato da vivere. Tutto ciò è ammantato dalla presenza dominante di Dante e delle sue “divine commedie”, di Michelangelo con le sue “pietà”, con i suoi dipinti, e gi altri: i Tiziano, i Tintoretto, e altri ancora.
Sarebbe riduttivo dire che il libro è uno spaccato sulla società del periodo narrato, è qualcosa di più. È due in uno: è storia narrata con precisione di fatti, di episodi, di eventi che hanno scandito il suo tempo; è romanzo reale di una vita che corre parallela alla storia sul binario accanto e ad essa si mescola con automatismi di scambi non richiesti all’accendersi o spegnersi del semaforo all’inizio della stazione. Sul tutto si innesta l’Arte, con la A maiuscola, che nella sua meticolosa descrizione, illumina di luce e di colori tutta la narrazione che costringe, senza forzature, a immergersi nella maestosità delle figure realizzate con il pennello, con lo scalpello, con la parola.
Non è da credere che l’Autrice, di cui volutamente abbiamo detto poco, rimanga fuori dal narrato. Lei ne è impigliata in tutto, è presente e non lo nega, con la sua penna nello scrivere, nel dire, nel raccontare. Vede le cose, gli eventi, le persone nella loro tangibilità; partecipa attivamente alla narrazione e non si nasconde dietro il sipario della terza persona o dell’io narrante, ma è lei, anche lei là dove i fatti si svolgono e porta con sé il lettore che la segue passo passo, rigo dopo rigo, parola per parola, fino alla fine in un crescendo narrativo che emoziona. È lei stessa che si emoziona.
Ci sarebbe ancora molto da dire sul libro, sul contenuto, sull’espressione; gli argomenti son tanti. Ma voglio osservare soltanto come nell’intreccio narrativo e nel racconto l’Autrice, Maria Teresa Cipri, che ha usato al meglio la parola in uno sviluppo descrittivo intelligente e confacente al taglio che all’opera ha voluto dare, non lascia a se stesso il lettore, non lo lascia in abbandono in mezzo al guado, ma lo porta dall’inizio alla fine in un percorso sicuramente lungo, e non certo facile, senza stancarlo mai, anzi facendogli superare agilmente i vari passaggi obbligati col fargli assaporare con gusto il piacere di una buona lettura in cui, chi come me ha in parte vissuto qualche pagina di questa storia, in essa si specchia e si ritrova.
Non mi resta che augurare, forse è una pia illusione, che nel mondo non ci sia più guerra ma, come vorrebbe l’autrice, solo amore.
Tropea, venerdì, 16 ottobre 2015, Biblioteca Comunale “Albino Lorenzo”, ore 17.00
Pasquale De Luca
PER RICHIEDERE UNA COPIA DEL LIBRO VISITA IL SEGUENTE LINK: CLICCA QUI
Commenti
comments