Quel che avvenne in Europa e nel mondo durante gli anni della Seconda Guerra Mondiale riguarda la grande storia e non ha bisogno di ulteriori parole. Ma ciò che i lutti, le fughe, i fili spinati, le deportazioni, la grande fame, il terrore, la morte di centinaia di migliaia di esseri umani scrissero nell’animo di ognuno è cosa che riguarda la piccola storia di piccoli uomini tirati in mezzo a stagioni di follia. Per raccontare come i grandi eventi abbiano il potere di entrare nella vita dei singoli individui, nei loro cuori, nelle loro anime, bisognerebbe narrare dei sopravvissuti; di tutte le esistenze qualsiasi spazzate via come fuscelli d’erba, degli eroi ignoti e per questo dimenticati; di famiglie intere sterminate da assurdi bombardamenti; di barbarie perpetrate da altri uomini divenuti ad un tratto nemici; soffermarsi a ricucire le fila di vite interrotte appartenute a migliaia di croci anonime erette sommariamente da mani pietose.
Roma non era una città – rifletteva Salvatore – né un posto come un altro dove vivere, bello senz’altro, carico di storia, affascinante come in Italia tanti ce n’erano. Era molto, molto di più. Un album da disegno, un trattato di architettura, il tempio della poesia, il luogo dell’anima. Una creatura millenaria, ma viva, donna dai piedi alla testa che respirava, gioiva, soffriva, si emozionava. C’era stato qualcuno che, ignorando e calpestando tutto ciò, l’aveva invasa di divise, fucili, carri armati, seminando tra le sue strade orrori, lutti, devastazioni
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Ciò che accadde all’uomo Aldo Moro, prima che al politico, scosse profondamente il tuo animo. Quando andavi a passeggiare a Villa Borghese e ad omaggiare, per la millesima volta, la statua di Paolina Bonaparte che ti aveva preso il cuore, ti capitava di scorgerlo seduto su una panchina in fondo al Parco dei Daini, solitario e pensoso, immerso nelle sue letture; in qualche rara occasione scambiaste pure qualche parola. Per non parlare di quella volta che te lo ritrovasti accanto in piazza San Pietro ad acclamare la fumata bianca per l’elezione del Cardinale Angelo Roncalli, Papa Giovanni XXIII.
Ti piaceva quella persona mite, seria, educata, con l’espressione sempre un po’ triste, forse profetica dell’amaro destino che lo attendeva. Il 9 maggio 1978, quando apprendesti la notizia del ritrovamento del suo cadavere in Via Caetani, il visibile dolore che ti colse di fronte a quella Renault dal portabagagli aperto che non era ancora diventata storia, la vista di quel corpo inerte consegnato alla morte, la testa reclinata di lato, le braccia abbandonate, mi rammentò il giorno dell’attentato alla Pietà.
Sconfitto al cospetto della crudeltà dell’uomo e rassegnato alla violenza insita della natura bestiale di alcuni individui, eri di nuovo sgomento, incredulo, profondamente addolorato e per giorni e giorni, con gli occhi umidi, muto, leggesti, ritagliasti e archiviasti la vita che ti scorreva davanti.
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Il tempo, tiranno, impone delle regole, e la Cappella Sistina è di tutti; bisogna uscire e lasciare il posto ad altri visitatori. Allora, mi stacco dal gruppo e torno indietro sui miei passi.
Ma questa volta non per cercare la tua ombra.
Non ti rivedrò più, papà, né in questo e né nell’altro mondo. Non ci ho mai creduto a queste riunioni familiari al di là delle nuvole.
Noi siamo fatti di polvere di stelle e alle stelle torniamo quando l’involucro della materia che ci conteneva si disperde nell’etere.
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