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…E proprio a Firenze, durante quegli anni difficili, pervasi dalla paura e dall’incertezza, avvenne qualcosa in Salvatore, come una folgorazione, che gli mutò profondamente l’animo. Accadde quando mise piede nella sala delle tombe medicee di San Lorenzo, la Sacrestia Nuova che Michelangelo, avvalendosi di un linguaggio ardito e innovativo, nella sua idea architettonica, aveva diviso in riquadri e lunette con un taglio rigido, orli affilati e mordenti
Tante volte al Liceo, Salvatore aveva studiato nel suo libro d’arte quell’architettura alla maniera moderna, quelle figure di marmo perfette e, altrettante volte, le aveva ammirate con interesse.
Ma non aveva mai provato quello che provava ora.
Il cuore gli batteva forte ed era impietrito, immobile come quelle statue terribili e stregate. Michelangelo era lì, presente, vivo, ne avvertita il palpito, la fatica della mano, il respiro affannoso dovuto all’instancabile lavoro; udiva i colpi irosi dello scalpello, misurava il peso della subbia, lo sforzo dello spirito per raggiungere la perfezione e con essa Dio.
In quella stanza angosciosa e magnifica votata a eterno sepolcro, lo spirito di Michelangelo era rimasto intrappolato nelle figure drammatiche da lui stesso scolpite. Gli pareva di vederlo lavorare, notte e giorno, prigioniero e dolente, con un pensiero fisso nella mente: quello di lasciare impresso nel marmo il suo travaglio interiore e una traccia che il tempo non potesse consumare…
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