PUBBLICHIAMO UN EXTRACT DEL LIBRO “GUERRA D’AMORE” DI MARIA TERESA CIPRI, VOLUME DELLA THOTH EDIZIONI CHE PROPRIO IN QUESTI GIORNI E’ STATO INVIATO NUOVAMENTE IN STAMPA.
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“Sul marciapiede all’ingresso dei Musei Vaticani, in attesa del gruppo dell’Università, ti ho scorto, d’un tratto, farti largo tra una fila di ordinati e compassati turisti tedeschi.
Eri tu, non avevo dubbi.
Ho smesso, per un attimo, di parlare di politica e futilità con il collega di corso, scollegandomi dal mio mondo per cercare di entrare nel tuo, subito, per seguirti, toccarti, tentare di fermarti.
Che ci facevi là?!
Le spalle curve per il peso degli anni, quei pantaloni grigi un po’ buffi, panciuti, sempre troppo corti, la cinta nera di pelle sbrindellata ai lati – ma nei tuoi ultimi capricci di vecchio volevi mettere solo quella – la camicia verde arabescata con le maniche corte, la Settimana Enigmistica e Il Tempo stretti sotto al braccio e quel tuo andare lento, a piccoli passi.
Tu qui?!
Ma sono passati anni, ormai, purtroppo… perché proprio qui… adesso… in questo luogo affollato, caotico, quando invece ti ho sempre cercato, speranzosa, anche nell’ultimo dei miei sogni?
Sarà forse perché, l’altra mattina, terminata la lezione di disegno di una lunetta della Cappella Sistina, di ritorno a casa, sono scoppiata improvvisamente a piangere.
Sarà forse perché hai sentito che in quell’aula ti cercavo. Avrei voluto portarti con me o magari tornare a casa e trovarti, raccontartelo, quello che stavo facendo, invece di chiedermi inutilmente dove mai andranno a finire le anime di chi lascia questa terra. La preparazione dei cartoni per il trasferimento del disegno sulla parete, la tecnica dello spolvero, la matita tra le mani come quando ero bambina, la preparazione dell’affresco e… su quella parete da dipingere il tuo sguardo acquoso e glauco ormai spento per sempre…
Ero io a portarti il mondo negli ultimi giorni e, come Marco Polo, lo deponevo ai piedi di quella poltrona a fiori grandi mai vuota, che conserva ancora l’impronta del tuo corpo stanco.
Gli inserti del tuo quotidiano preferito, le lamentele per l’autobus affollato e sempre in ritardo, una raccolta delle stampe più belle di Michelangelo comprata per te a Firenze, i pastelli Giotto che hai afferrato svelto con l’emozione di un bimbo che sta per iniziare l’anno scolastico, le battute colorite di quel sottosegretario arrogante che ti divertivano tanto. E ancora… una bustina di chicchi di caffé ricoperti di fondente da sgranocchiare di nascosto, la schedina del superenalotto da giocare immancabilmente il sabato perchènonsisamai, i cruciverba con gli schemi in bianco che ancora riempivi diligentemente con una grafia sempre più piccola e tremolante.
L’ultimo viaggio – Venezia – che ti ho potuto raccontare… Sarà forse perché mi hai voluto accompagnare ancora una volta ai musei come quando li ho visti con te per la prima volta e sei qui per farmi sapere che in qualche parte dell’universo esisti ancora. Ma, intanto, questione di un attimo, sei già sparito dietro ad uno spilungone tedesco e signora. Abbandono la fila per guardare meglio. Mi sporgo per scorgerti ancora, non resisto, mi scuso con il collega e tento affannosamente di raggiungerti. Seguo i tuoi passi fatti d’aria e raggiungo lo spilungone, ma non un angolo del tuo giornale che ancora intravedo.
Nessuno.
Non ci sei più.
Scavalco tutti, agito il tesserino fingendo di cercare il mio gruppo, sorpasso giapponesi, macchine fotografiche, cappelli, guide turistiche sciorinate larghe come lenzuoli…
Nessuno neanche più avanti.
Perché?
Ma che volevi dirmi? Che significa sparire così?”
E allora torno indietro sconsolata, rovisto febbrilmente nella mia anima in subbuglio che non smetterà mai di cercarti e comincio, emozionata e tremante, la stesura dell’affresco che giace incompiuto dentro di me.
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