Sono ritornato nei luoghi della memoria storica, sul territorio di Caria, il luogo più ricco di SITI ARCHEOLOGICI del Promontorio del Poro, racchiude in una lingua di terra, reperti documentati di diversi millenni di storia, e la cosa che più mi ha colpito è che ciò ch’è scampato alla mano distruttrice dell’uomo, viene lasciato alle intemperie, pur essendo l’inesauribile degrado sotto gli occhi di tutti, tombe depredate e distrutte, tetti che sprofondano, muri che cadono sotto una generale indifferenza nascondendo, come lo struzzo, la testa nella sabbia.
Iniziamo il nostro percorso storico dal sito più rilevante di questo territorio:
la Necropoli di Torre Galli.
Dagli scavi effettuati da Paolo Orsi nella zona del Poro in località Torre Galli, venne alla luce una vasta necropoli che rivelava l’uso prevalente della inumazione in fosse delimitate e coperte di pietre e i cadaveri erano deposti vestiti: i corredi funerari recuperati appartengono in massima parte all’età del ferro (IX secolo a.C.); solo in otto casi si costatò la pratica della cremazione dovuta certamente a infiltrazione greca del VII-VI secolo.
È altrettanto vero che la massa dei vasi di fattura locale, in parte rozza, presuppone una popolazione di lavoratori dell’argilla che, con alti e bassi giunge fino ai nostri giorni.
Questa industria paesana, che manifatturava vasi con creta del luogo, non si è mantenuta stazionaria nelle forme primitive; anzi, come scrive l’Orsi, storicamente il fatto saliente notato a Torre Galli, è quello dell’evoluzione dell’industria dall’impasto indigeno alle forme tornite greche e grecizzanti.
Dagli stessi ritrovamenti si nota chiaramente che le due industrie nella fase finale finiscono per incontrarsi e fondersi.
Dalle esplorazioni e dallo studio delle Necropoli si deduce che le popolazioni indigene gravitanti su detto territorio avevano caratteri fondamentali comuni, salvo talune divergenze di forma, dovute ad ambienti culturali diversi. Non c’è ancora dato modo di poter conoscere con una certa fondatezza la vita intima delle tribù che durante le prime fasi dell’industria del ferro abitarono la bassa valle del Crati, gli altipiani del Poro e le colline del suburbio di Locri, perché nulla sappiamo delle loro abitazioni e dei relitti industriali in esse lasciati.
Tuttavia la loro concezione dell’oltre tomba ha fornito elementi tali da poter trarre qualche utile considerazione non solo sulle industrie, ma anche sullo stato morale e politico di quella gente. Sembra che essa sia vissuta promiscuamente, senza distinzione fra ricchi e poveri o fra alti comandanti e umili gregari della vita militare, come si rileva dalle stesse disposizioni sepolcrali, talora abbastanza dense e addossate le une alle altre.
Ci appare così una tribù che si è di preferenza data alla lavorazione dei boschi. Infatti, da alcuni indizi sepolcrali che hanno dato tenui tracce di legno, si può dedurre che sia stata anche in grado di ricavare delle rozze tavole, unendole a incastro più che a chiodatura, per farne delle casse mortuarie. Il pane in bitume trovato nel sepolcro 206, ci fa ancora argomentare come abbia saputo trarre dalle foreste, non solo legname ed erbe, ma anche pece e materie resinose, infatti, è noto quanta fama godesse nell’antichità classica la pece della Brettia e l’Orsi non esita a pensare che anche nell’antichità greca i veri lavoratori dei boschi fossero i Brettii …
Il Pacciarelli integra e completa la documentazione grafica e fotografica fornita da Paolo Orsi con nuovi corredi di particolare rilevanza esaminati negli scavi successivi effettuati da Kiliam (1970), Peroni (1970, 1974, 1976, 1979, 1994), Carancini (1984), Holbl (1979) e Schauer (1982) e, quello che maggiormente conta, è stata eseguita a partire dal 1982 una campagna di documentazione grafica di tutti i reperti ancora conservati e parallelamente si è iniziato a raccogliere e vagliare criticamente tutti i documenti d’archivio utili per una ricostruzione filologicamente corretta dei dati di scavo, che, a sua volta ha portato alla formulazione di una sistematica analisi della cronologia relativa .
Così, ad esempio, gli scarabei delle tombe 54 e 67 costituiscono la più rilevante prova archeologica della presenza di naviganti levantini, verosimilmente fenici e/o ciprioti nel mediterraneo occidentale tra la seconda metà del X e gli inizi del IX secolo a.C.
Il pane di ambra rinvenuto nella tomba 206, con spade, lance e schinieri, dalle analisi comparative, rileva una provenienza dalla Sicilia centro-meridionale.
Secondo Pier Giovanni Guzzo “I corredi ci permettono scarse informazioni sulle produzioni: solo le fusaiole indiziano sicuramente della filatura, e della necessaria pastorizia.
L’esigua presenza di oggetti importanti non illumina sulla natura e l’origine degli scambi. La precoce presenza di oggetti in ferro (entro la fine del XI secolo), e per di più costruite con tecniche sviluppate (come, ad esempio, le lame delle spade), può essere un ulteriore indizio per l’esistenza di scambi con culture esterne. Che queste ultime siano greche (euboiche), oppure fenicie, è problema ancora tutto da affrontare. Questa fase culturale sembra terminare prima della metà dell’VIII secolo”. Il Guzzo sui ritrovamenti successivi di tombe a fossa (VII-VI) nella stessa zona, le quali talvolta tagliano quelle più antiche e i cui corredi, oltre ad oggetti di tradizione locale, contengono piccoli recipienti di produzione corinzia, contenitori di oli profumati, e oggetti ornamentali in argento di produzione coloniale, suppone che “la fase cronologica, sicura per oggetti non indigeni, è la stessa del periodo più antico testimoniato a Hipponion. È probabile, continua Guzzo, che lo stanziamento della sub-colonia locrese abbia attivato le popolazioni della zona: rimangono tuttavia oscure sia la causa dell’interruzione della fase più antica di torre Galli sia la zona nella quale gli indigeni vissero prima di ritornare sul Poro”.
Ancora oggi il panorama visto dal castello dei Galli è un panorama mozza fiato, domina tutto il territorio a 360 gradi, le falde del Poro che scendono verso Spilinga fino al mare inclusi i paesi di Spilinga , Panaia, Coccorino e Ricadi e dall’altra risalta il paese di Zaccanopoli e tutto il golfo di S. Eufemia.
Questo è ciò che rimane della nostra storia ci piaccia o no. Li vogliamo cancellare?
Agostino Gennaro
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