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Il “Cielo arancio” di Vittoria Saccà

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A volte può succedere di prendere il tempo, di lasciarlo andare per dir poi: “Il tempo vola”. Ma cosa è il tempo? Un’illusione, una realtà? Né l’una, né l’altra cosa. È la sequela della vita con un inizio e una sua fine, in tutte le forme materiali, animali, umane. È un processo (dal latino procaedo = vado avanti) continuo, un andare avanti sul cammino quotidiano della vita identificabile nei suoi ritmi, nei suoi bisogni, nei suoi mutamenti. Quante volte abbiamo osservato una piantina attecchire alla terra, sviluppare, crescere, fare i fiori, appassire e poi morire? Quante volte abbiamo visto un gattino, un cane, un uccellino, o altro animale a cui siamo stati particolarmente affezionati, crescere, giocare, fare i cuccioli, ammalarsi e poi morire? Quante volte abbiamo partecipato alla gioia di una mamma per il bambino appena nato, alla sofferenza di una persona cara ammalata, o alla tristezza e al dolore per la perdita di un conoscente, un amico, un nostro intimo familiare? Quante volte è successo! Non per ciò abbiamo smesso di procedere sul cammino, non sempre facile e agevole, tracciato dalla vita scandito momento per momento da variazioni e mutamenti. Variazioni e mutamenti che sono l’essenza stessa della vita dall’inizio dei tempi e continueranno in forme e maniere diverse fino alla fine dei tempi.

     Non vogliamo fare una disamina sul concetto di tempo, che, in quanto tale, cioè puramente concetto, è un’astrazione, un’invenzione della mente umana (badate bene: un’invenzione, non una creazione; dall’altronde non sarebbe stato possibile all’uomo creare alcunché data la sua limitatezza per quanto si avvicini a Dio per immagine e somiglianza. Non è forse vero che, a detta dei latini, deligato non deligandum? Cioè, in modo semplice: chi è stato creato (l’uomo) non può a sua volta creare, ma può manipolare ciò che da altri (Dio) è stato creato trasformandolo per gli usi e i bisogni secondo le proprie necessità, di breve o lungo tempo, che le esigenze della vita richiedono). Ma vogliamo dire, questo sì, che noi siamo il tempo nei nostri continui mutamenti, fisici, morali, intellettuali, e non ci accorgiamo di essi, forse perché guardiamo sempre nello stesso specchio, che ci riguardano direttamente e ci illudiamo che i mutamenti, o cambiamenti che dir si voglia, sono di noi all’esterno, che interessino altri, o altro, e non noi. Forse perché quelli esterni sono più visibili, più evidenti, perché percepibili con i nostri sensi, la vista, l’udito, l’olfatto, il gusto, il tatto, sia che riguardino esseri animali o vegetali (anche questi hanno una loro vita),  sia che riguardino cose e oggetti inanimati (anche loro vivono e si trasformano più lentamente, nel tempo). E allora?

     Allora può succedere che un pomeriggio di noia ti ritrovi sul terrazzo avvinto dalla pigrizia che ti prende tutto, nel corpo e nell’animo, che ti consuma il tempo, e ti convince a non far niente. E in questo non far niente ti avvolgi e ti rinchiudi come bruco, che ha finito il suo tempo, in morbida bambagia riscaldata. Come lui, che muta e cambia, aspetti. Aspetti che il tempo passi e in questa attesa spingi lo sguardo lontano, all’orizzonte sul mare, o sulle nuvole in cielo al tramonto (non so perché si guarda e si ammira il tramonto e mai l’alba, che è ancora più bella, piena di vita e di speranza), che lentamente assume e riflette i colori, i colori cangianti  dei raggi del sole che piano, piano piano, sull’orizzonte muore. Bianco, rosso, grigio, viola, azzurrino, turchino in mille sfumature diverse, ti colpisce un colore nuovo, diverso, che confronti al colore giallo rossiccio delle arance che tu vedi giù nel tuo giardino: arancio. Inconsciamente tu dici: “Il cielo è arancio”. E non sai, poi rifletti “Cielo arancio” è il colore di un libro, della copertina di un libro che hai messo in qualche parte della tua casa e che lì è rimasto in attesa di un tempo migliore.

     “Cielo arancio” è un libro di poesie. L’autrice è Vittoria Saccà.

     Vittoria Saccà. Vittoria Saccà, nome unico nell’onomastica del nostro paese, è una donna venuta da un aspro monte della Calabria ad abitare e vivere nella nostra cittadina. E, come per Roma che conquistata la Grecia da questa fu poi a sua volta conquistata (Graecia capta ferum victorem cepit – Orazio, Epistole), lei, conquistata e ammaliata dalla bellezza di Tropea, questa perla incastonata fra cielo e mare nei mille colori della natura, ha accolto come figlia in un abbraccio affettuoso, questa donna piccola e gentile che ha saputo conquistare l’ammirazione, l’affetto, la stima delle persone fino a identificarla col suo nome, Vittoria, o con quello familiare, “la Saccà”, cioè lei e lei sola. Sì, perché, con umiltà e riservatezza, senza “spennacchiamenti” agitati dal vento, con dedizione e passione, con fatica e impegno, ha conquistato un posto nella storia del giornalismo tropeano, tanto da essere definita “’a giornalista”, e ha dato un’impronta indelebile alla cultura del posto che rimarrà incisa per sempre negli annali della sua storia.

     La Saccà scrive e dipinge. La Saccà dipinge e compone. La Saccà cuce e cucina. La Saccà è una fucina. La Saccà si agita e muove. A volte ci si chiede: “Che fa la Saccà?”. Perché la Saccà è un marasma di idee, la Saccà è la realtà. Ogni giorno ti stampa un articolo, ogni tanto ti butta in mano un suo libro. Sempre una sorpresa, sempre una novità: la Saccà. È questa la Saccà.

     E il cielo è arancio. Un colore nuovo, non sapevo che esistesse, forse la diminuzione di arancione; come che sia, è un colore che prende il cuore, un colore che fa poesia. Un colore che si insinua, dipinge la sera. Un colore che dà forma, che dà vita alle nuvole che vanno, si fanno, disfanno, in cielo che è arancio.

     “Cielo arancio” è il titolo del libro. Un libro, anzi “il libro” della Saccà, dove l’Autrice mescola insieme, amalgama, fonde e confonde, parole e colori sulla pagina bianca in una cesellatura di immagini e suoni dove ognuno trova posto, con giusta dimensione, in una dinamica strutturale adeguata all’assunto che si propone. È per questo che il libro, la copertina fa da cornice e da sfondo, contiene poesie e dipinti in indovinata simbiosi di colori e di parole dove i primi, con tocco delicato di spatola e di pennello, danno risalto alle parole che incidono nella scrittura il foglio di carta che, a sua volta, nella materialità pratica dell’oggetto, diventa strumento veicolare di pensieri e impressioni proposti con arte poetica da Vittoria.

     Con umiltà e modestia, due doti caratteristiche della Saccà donna, l’Autrice, come se volesse scusarsi con il lettore, quasi a farsi perdonare, ad inizio, a mo’ di premessa, in forma di poesia, dice: “Cielo arancio” / insieme di semplici versi / nati dal cuore e dalla mente / che, come note vibranti  / su di un pentagramma, / trasformano in suoni / momenti di vita”. E sono, certamente, momenti di vita, della propria vita o della vita di altri a cui la poetessa/giornalista/scrittrice è stata, è, particolarmente legata da intimi sentimenti di affetto, di amicizia, di amore, che danno il “la” alla tematica delle sue liriche vibranti come suono di diapason al tocco di mano maestra. Semplicità non vuole dire semplicismo, ma sta a essenzialità mista a razionalità di pensiero supportata da precisione nella tecnica compositiva che varia, come il tempo, di pagina in pagina, e come i colori delle immagini che accompagnano nel loro fluire le parole. Parole semplici, parole facili quelle che usa la Saccà. Parole che esprimono con intensità tutti i sentimenti che l’uomo, o la donna, vivono nel proprio intimo e che la poetessa porta fuori dal cuore in una dimensione, che solo apparentemente potrebbe apparire personale, ma che si proietta in uno spazio, questo sì che è reale, in uno spazio universale.

     Non ci fermiamo sui temi, contenuti, di ciascuna poesia, né chiediamo, ma ritorniamo al prima per confermare, a proposito della Saccà, che nella sua opera, in tutta la sua opera (da quella giornalistica a quella artistica e poetica), è il tempo a incidere con forza in tutte le sue manifestazioni ciò che a parole vien detto, ciò che con i colori vien dato di vedere. Sono emozioni, che la poetessa ci fa vivere o rivivere in un afflato di intimo rapporto di uomo, essere sensibile e razionale, con se stesso, con gli altri, con la natura. E la parola scava e affonda nell’animo umano e si staglia precisa e indelebile sul foglio di carta che diviene un tutt’uno con essa nei versi piccoli o dilungati, continui o spezzati, liberi o rimati che danno vita e forma alla pagina nel suo aspetto definitivo. E i colori? I colori non sono un riempitivo, un qualcosa per riempiere il vuoto (teniamo presente, però, che in una pagina stampata di poesia anche i vuoti, gli spazi bianchi, parlano unitamente alle parole che quella poesia costituiscono, come qualunque altro segno in essa presente). No, essi partecipano con la stessa intensità all’emozione, alla funzionalità della parola, la supportano e la completano in una visibilità di immagini che, con tecniche sicuramente diverse, descrivono anche esse il tempo, meglio i tempi, della vita. Il nascere, il crescere, il morire. La gioia, il dolore, l’amore. L’uomo, la donna, la natura. Tutto ciò che sta a indicare la vita: il formarsi e trasformarsi, il divenire.

    Le poesie che andiamo a leggere sono un insieme di emozioni, di sensazioni, di riflessioni che tracciano il tempo della Saccà visto nella sua dinamicità da angolature e da momenti diversi. È un continuo andare, anche quando ci si sofferma a riflettere, a ritroso nel tempo (il passato), ad osservare (il presente), a desiderare (il futuro), è un continuo andare in ciò che il tempo per l’uomo, che il tempo ha inventato, nella sua esistenza rappresenta. I giorni, i mesi, gli anni, le stagioni (autunno, inverno, primavera, estate), le ore, sono presenti come filo conduttore nel libro della Saccà, che li proietta nel tempo e nello spazio con intelligenza e con cuore, con intensità di rappresentazione e con emozione. Ricordi, sentimenti, emozioni, che lei artisticamente colora e a cui dà ritmo e voce “come note vibranti  / su di un pentagramma, / (che) trasformano in suoni / momenti di vita”. Sono certamente momenti di vita quelli che la Poetessa mette su carta, momenti belli e meno belli, momenti di gioia, di allegria, di felicità e momenti di tristezza, di dolore, di pianto. Momenti che ti danno emozione nell’intimo tuo quotidiano e che l’A. ha saputo cogliere e rappresentare con sfumature di immagini, di colori, di suoni, come solo un’artista con maestria e genialità sa fare utilizzando tecniche e strumenti di cui dispone: parole e colori. A noi non compete dare giudizi o emettere sentenze, ma osservare e capire, entrare nell’animo del poeta, comprenderlo, rigettare o condividere il messaggio che ci  viene dato. E il messaggio, che Vittoria con questo libro ci dà, è chiaro e universale, è un messaggio di vita e di speranza, un invito ad andare oltre, a tracciare noi il cammino del tempo, del tempo di noi. Quindi, facciamo nostro questo invito: guardare il “Cielo arancio” e leggere non in nulla è una perdita di tempo.

     Tropea, 9 gennaio 2015

Pasquale De Luca

A Vittoria Saccà,

con amicizia e stima

e con l’augurio che continui sempre

con penna e pennello

a dare onore e lustro

a questa nostra/sua città

per tutto il tempo

di sua lunga vita

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