Esiste un comparto dell’economia italiana, quello delle imprese culturali, che contrariamente a quanto pensava un noto ministro berlusconiano e appresso a lui tanti altri politici, ministri, assessori regionali alla cultura, è fondamentale per l’economia italiana e per il turismo.
Si tratta di un comparto molto articolato che comprende numerosi filoni (architettura, produzione di beni e servizi, comunicazione e branding, design, libri e stampa, videogiochi e software, film, video e radio-tv, musica, rappresentazioni artistiche, intrattenimento, convegni, festival e fiere, musei, biblioteche, archivi, gestione di luoghi e monumenti storici), un’autentica filiera che complessivamente, dati Unioncamere-Symbola, vale 214 miliardi di euro annui e fa da supporto al turismo culturale in Italia, soprattutto per gli stranieri.
Si consideri che tra i turisti di altri paesi che decidono di visitare il nostro paese le percentuali di interesse per la nostra cultura globalmente intesa è molto elevata e va dal 47,5 % dei francesi al 68,8% dei giapponesi.
Anche l’export legato all’industria culturale è cresciuto del 35% negli anni della crisi (2007-2014) passando da 30,7 a 41,6 miliardi di euro, il 10% di tutto l’export del nostro paese.
E’ appena il caso di evidenziare che la Calabria, malgrado che in ogni convegno e in ogni occasione televisiva si vantino tesori, bellezze e straordinari talenti, figura agli ultimi posti tra le regioni italiane, appena sopra delle micro regioni quali la Valle d’Aosta e il Molise.
Dai dati raccolti dalla Fondazione Symbola che ha realizzato un report molto interessante sull’industria culturale in Italia e sta curando una ricerca sulle eccellenze calabresi, in Calabria sono state censite 10.612 imprese operanti nel settore, con 73.000 addetti e 1.060.000 euro annui di valore aggiunto.
Sono i dati di una grande debolezza, soprattutto se si guarda al rapporto Imprese valore aggiunto (il valore medio prodotto da ogni singola impresa) è pari a 0,01 e il rapporto imprese occupati (tasso di occupazione medio per ogni impresa), pari allo 0,1. Sono dati che ci dicono che moltissime delle 10.612 imprese culturali calabresi sono solo sulla carta, non hanno dipendenti e non producono nulla in termini di valore.
Sono anche dati e per questo si ritiene utile evidenziali, che bocciano la politica di settore seguita in Calabria negli ultimi anni, fatta di forti riduzioni della spesa ordinaria e di quella europea. La Regione, per esempio, rispetto alla spesa ordinaria ha tagliato tutto: contributi alle associazioni, ai teatri, alle biblioteche, agli archivi, ai musei, alle attività musicali.
Le risorse europee per cultura e beni culturali, anche per responsabilità di una burocrazia inadeguata, sono state in gran parte utilizzate per iniziative edilizie, pavimentazioni di centri storici, restauri e recuperi di immobili che poi non si sono saputi adeguatamente mettere a sistema, o non ancora come nel caso del Museo archeologico di Reggio Calabria, rendendo marginali le attività di valorizzazione e creative quali festival, residenze teatrali, arte contemporanea e poli culturali urbani intesi come elemento qualificante dell’accoglienza e della qualità della vita nelle città, oltre che incubatori di creatività.
A questo punto gli operatori del settore e le imprese pubbliche e private che operano in questo comparto non possono che attendere un profondo cambiamento del paradigma con cui affrontare le problematiche di questo settore e, alla luce dei risultati globali conseguiti in Italia, delle politiche finalmente espansive che consentano di migliorare le performance dell’industria culturale calabrese.
Gilberto Floriani,
Direttore del SBV (Sistema Bibliotecario Vibonese)