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L’affaccio dei sospiri di Tropea

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Una terrazza alla fine di una via, con una ringhiera appoggiata su due lati, libera il tuo sguardo verso l’orizzonte. Come uno squarcio si apre tra le pareti nude dei palazzi che, offesi dalla violenza subita, le voltano le spalle, alzando le loro cortine e murando le poche finestre. Cercano in ogni modo di ridurre la sua bellezza lasciandosi anche violentare dalle scritte del passante sulle pareti dai colori spenti. Aride come la terra che le ha alzate, ignare aumentano soltanto il contrasto con il suo vivo colore blu, reso brillante dalla luce dorata del sole.

Tre linee orizzontali compongono il disegno; parallele si incontrano all’infinito mantenendo così distinti i propri colori: il nero del metallo e della pietra lavica, il bianco della granella di sabbia e l’azzurro dell’acqua salata.

Non c’è  abitante che non abbia interrotto la sua discesa senza aver toccato il freddo ferro, con la mano si appoggia alla ringhiera e con lo sguardo si appoggia all’orizzonte. Respira l’aria di mare che, sbattendo sulla sabbia bianca, gli giunge sino al viso, lo accarezza e gli ricorda di riportare lo sguardo dall’infinito al finito. Là dove si è arenato il suo pensiero che si era liberamente tuffato nella sua trasparenza bagnata.

La sua generosità spinge il mare a ridare il pensiero al suo abitante, lo trascina con le onde sulla bianca battigia e lo riconsegna tramite la brezza che fresca risale la roccia.

È questo  il segreto che circolare mantiene sempre vivo il desiderio nell’abitante  di ritornare su questo luogo, che ogni volta lascia a malincuore esternato da un sospiro. Un respiro profondo che trattiene il suo salato ricordo, alleviato dalla promessa del suo prossimo ritorno.

 Marcello Macrì

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