SMUTAMENTI E PAROLE: SONO INCAVOLATO
L’uomo grida dovunque
Le sorti di una Patria
(S. Quasimodo)
Le parole sono il segno dell’esistenza di un qualcosa. Che la parola indichi cose visibili o invisibili, sentimenti, oggetti creati dall’uomo il meccanismo logico che ne comunica e veicola la presenza non può che essere una parola, la parola.
È per questo che la parola conserva un aspetto del divino: è lo stesso Dio, nella tradizione biblica, che pronuncia la parola e mette al mondo la cosa: sia fatta luce e la luce fu.
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La parole poi appena nate si tuffano nel mondo degli uomini. È ne vivono e documentano la storia. Vivono, si trasformano, muoiono.
E muoiono allorché cessano di essere usate. Intere lingue sono considerate lingue morte: nessun popolo le parla più.
E veri e propri archivi dei viventi sprofondano nel nulla quando i vecchi, la memoria vivente di un popolo e di un modello di vita, di professioni obsolete spazzate via dal progresso muore.
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Le parole hanno una caratteristica preziosa: accettano docilmente di essere investite di nuovi significati, di nuove accezioni.
Pur conservando sempre il significato originario diventano veicoli di novità o di vere e proprie metamorfosi semantiche.
È come se avessero in sé il dono della rappresentazione, del recitare: indossano via via l’abito più idoneo a rendere credibile il monaco che viaggio sulle loro gambe.
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Questa premessa parte da lontano per, spero, rendere più chiara una risposta a un quesito che parte da vicino: un viaggiatore curioso del sito Vibonesiamo, mi ha telefonato per chiedere di chiarire se è come è cambiato il significato del termine incavolato.
Non sono un linguista, ma ci provo. Da storico.
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Il significato originario di incavolato è noto, quello di arrabbiato, irato, incazzato.
E spesso l’ira era funesta (siamo cresciuti con quella classica del Pelide Achille).
Sapevamo perciò che dalle persone incavolate ci saremmo dovuti guardare in quanto portatori potenziali di atti violenti, ove fossimo stati all’origine o la causa della loro ira.
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C’era poi l’incavolato nero. Uno che più arrabbiato non si può. Uno pronto a tirare fuori il coltello per sbudellare l’incauto provocatore o pronto a correre a casa e a dare mano al fucile, decisione preannunciata dalla terribile frase fazzu i canni russi (sparerò così a lungo da arroventare le canne del fucile, farò una strage).
L’incavolato proietta comunque e sempre all’esterno la sua minaccia di persona che reagisce con ira a qualcuno e qualcosa.
E oggi?
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Questo significato della parola consacrata dal tempo resta.
Ad essa si può aggiungere – è la mia risposta al quesito – quello di persona infettata da morbo di tipo tumorale maligno per avere consumato nei pasti cavoli avvelenati e perciò di alimenti veicoli di infezioni.
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Perché l’avvelenamento dei terreni e della falde acquifere ha corrotto la catena alimentare.
Gli ortaggi assorbono dal terreno e dall’acqua i veleni di cui la zona di coltivazione è inquinata e fanno da portati che inzufflano, attraverso il loro consumo come cibo, i veleni stessi nell’organismo umano.
Il ciclo si chiude.
Passerà poco tempo e i contesti dei discorsi ci diranno con chiarezza il significato vero della parola incavolato all’interno del discorso.
Capiremo così immediatamente se l’incavolato è uno da cui guardarsi perché momentaneamente o è uno da commiserare e aiutare sul piano medico perché ignoti hanno introdotto fraudolentemente attraverso gli ortaggi nel suo corpo i semi della morte per tumore.
E sarebbe meglio non vederlo mai incavolato nero. Sarebbe solo il segno che i guasti del tumore sarebbero visibili a occhio nudo.
Saverio Di Bella