La Chiesa di Santa Ruba in stile bizantino sorge sulla via che va da S. Gregorio d’Ippona a Vibo Valentia “in una spianata tra il verde degli ulivi”. Secondo una prima ipotesi, inizialmente i monaci basiliani avevano eretto una modesta chiesetta, con la tipica cupola, per le preghiere e per accogliere i fedeli delle campagne circostanti. In seguito la chiesetta fu ampliata, furono costruite le stanze annesse ed i monaci basiliani vi avrebbero dimorato a lungo, oltre il XVI secolo.
P. Orsi l’ha definita “un gioiello di origine bizantino-basiliana con architettura barocca”. Il prof. Gregorio Vaianella, invece, sostiene che la chiesa non è bizantina ed espone le ragioni di tale sua affermazione in un articolo apparso, poco tempo fa, su un giornale locale: «Ricerche da me compiute nell’Archivio di Stato di Napoli, nell’Archivio del Collegio Greco di Roma, nella Sezione dell’Archivio di Stato di Vibo Valentia e nell’Archivio Storico Diocesano di Mileto, portano ad una impostazione radicalmente diversa del dibattuto problema della chiesa di Santa Ruba di Vibo Valentia, della sua fondazione e della sua storia. La denominazione “S. Ruba” deriva dalla località nella quale fu costruita la chiesetta, dedicata in realtà alla Madonna della Sanità. L’appellativo “chiesa della Madonna della Sanità” venne trascurato nel corso degli anni e prevalse, nell’uso comune quello di “Santa Ruba”. La fondazione della chiesa si deve all’iniziativa di un cittadino di Monteleone (oggi Vibo Valentia), il notaio Ottavio Giovane originario di Cava dei Tirreni. Disponiamo finalmente del relativo documento contenente la richiesta della costruzione della chiesa rivolta nel 1610 dal notaio Giovane al Viario Generale dell’Abbazia benedettina di Mileto del tempo, Giovanni Andrea Strati. Dal documento si evince con molta chiarezza, a) la richiesta dell’erezione di un oratorio b) l’oratorio sarebbe dovuto sorgere sul luogo denominato “Santa Ruba”; c) sullo stesso luogo non c’era alcun edifìcio sacro preesistente; d) la chiesa doveva servire per le popolazioni dei casali viciniori. Alla richiesta del notaio segue la risposta da parte dell’Abate Strati, Vicario Generale dell’Abbazia di Mileto, contenente la licenza di costruzione».
La chiesa fu abitata fino al 1908 quando l’ultimo ed unico Frate rimasto andò via a causa dei danni del terremoto, da allora fu abbandonata e divenne cadente. In quel periodo alcuni abitanti di Mezzocasale, per evitare che la statua della “Madonna della Salute” venisse trafugata la portarono a casa loro per poi consegnarla al sacerdote don Teti. Molto incerte sono le notizie riguardanti il nome dato a questa chiesa poiché nella tradizione locale non esiste e non è mai esistito il nome Ruba per cui si suppone fosse “Santa Rupe” ad indicare il luogo impervio dove si ritiravano i monaci per pregare.
La chiesa è stata restaurata per opera della Sovrintendenza alle Belle Arti e riaperta al culto, così come si legge in un documento dell’archivio parrocchiale di Zammarò del 20 marzo 1977: «alle ore 11 … con grande partecipazione di popolo delle parrocchie del comune di S. Gregorio d’Ippona e dei paesi viciniori, abbiamo aperto al pubblico la vetusta chiesa della Sanità, comunemente denominata Santa Ruba con la celebrazione della Santa Messa e nel pomeriggio con la visita del nostro Vescovo Monsignore Vincenzo De Chiara…». Esiste una leggenda secondo la quale la chiesa fu fatta costruire dal Conte Ruggero il Normanno per farsi perdonare, dal Papa suo fratello, un grosso peccato commesso. Questa leggenda forse si ricollegava alla venuta in Calabria del Papa Callisto II.
Macchiatosi nascostamente d’un ignobile peccato e roso dal senso di colpa, Ruggero il Normanno chiese di esserne assolto al papa Callisto II, suo fratello, il quale gli impose a titolo espiatorio la costruzione d’un certo numero di chiese. Ruggero si sobbarcò di buon grado a tale «castigo», anche perché di suo non ci rimetteva niente; e fra gli edifici sacri da lui fatti costruire ci fu pure, in quel di Monteleone, come si chiamava una volta Vibo, la chiesetta rurale di Santa Ruba, un gioiello di architettura bizantino-basiliana, per la cui consacrazione egli volle la presenza del pontefice in persona. Ma, mentre Callisto II era in viaggio verso Monteleone, Ruggero improvvisamente passò a miglior vita. Adelaide, la sua vedova, ritenendo che se il papa avesse saputo del decesso sarebbe tornato indietro e, quindi, non avrebbe officiato la consacrazione, cosa sulla quale lei invece contava per accrescere il proprio prestigio, ricorse ad un perfido espediente: non informò il papa della morte del fratello e, al suo arrivo a Monteleone, gli trovò la scusa che Ruggero, impegnato in una partita di caccia, sarebbe giunto da un momento all’altro; poi, solo a cerimonia conclusa, gli diede la ferale notizia. Callisto II, sconvolto dal dolore e, nello stesso tempo, indignato per la presa in giro, fulminò con occhi di fuoco la cognata e la maledì: «Donna mendace, lo stesso serpente che t’ha suggerito l’inganno ti roderà il cervello».All’istante apparve un serpente che cominciò a strisciare minaccioso verso la contessa: lei, terrorizzata, si prostrò ai piedi del pontefice e, dicendosi pentita, lo implorò di rinviare la terribile condanna almeno a dopo morta. Fu accontentata. Però, anche nella richiesta di temporaneo perdono, Adelaide non era stata priva di malizia, perché in cuor suo era intenzionata a cautelarsi: infatti, appena Callisto II se ne tornò a Roma, in Santa Ruba lei si fece fare un sepolcro con la pietra più dura che c’era. Ma… «Dio in cielo e il papa in terra»: quando lei morì e fu inumata nella tomba a prova di serpente, il rettile della maledizione a poco a poco, inesorabilmente, perforò la pietra, penetrò all’interno del sepolcro e le rosicchiò il cervello, realizzando così l’anatema papale. Il suo fantasma scervellato, da allora, s’aggira nell’edificio, e, nelle notti di tempesta, si ascolta chiaramente mentre alterna grida stridule a risate isteriche senza posa.
(Pubblicato su http://www.facebook.com/CalabriaMystery, di Luciana Loprete)
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